Con una recente sentenza (n. 20173 del 2004) la Corte di Cassazione ha ribadito i principi interpretativi dell’art. 141 del codice della strada, norma che contempla la cosiddetta “velocità pericolosa”.
La Corte ha stabilito che “nel sistema delle norme sulla circolazione stradale, l’apprezzamento della velocità in funzione dell’esigenza di stabilire se essa debba o meno considerarsi eccessiva, deve essere condotto in relazione alle condizioni dei luoghi, della strada e del traffico che vi si svolge, e può quindi essere basato solo sulle circostanze del fatto e sugli effetti provocati dall’urto del veicolo, senza necessità di un preciso accertamento della oggettiva velocità tenuta dal veicolo stesso e senza che assuma decisivo rilievo l’eventuale osservanza dei limiti imposti, in via generale, dal codice della strada”. Affermazione netta e fondamentale, quindi, è che la velocità può essere eccessiva anche quando non vengono violati i limiti imposti ex lege (ad esempio, nelle aree urbane) o per atto amministrativo, in loco. Ossia, che vi è tutto un margine di apprezzamento discrezionale, in cui la velocità può essere ritenuta eccessiva anche se mantenuta sotto i limiti di velocità fissati nello specifico luogo. I criteri di questo apprezzamento discrezionale, elencati dall’art. 141 del codice della strada, come si sa, sono assai lati e, se si vuole, anche vaghi (caratteristiche, stato e carico del veicolo, condizioni della strada e del traffico, e “ogni altra circostanza di qualsiasi natura”, nonché prossimità delle curve, di intersezioni, di scuole o altri luoghi frequentati da fanciulli, di attraversamenti pedonali, forti discese, passaggi stretti e ingombranti, ore notturne, insufficiente visibilità per condizioni atmosferiche, centri abitati o tratti di strada fiancheggiati da edifici, incroci malagevoli, tratti di visibilità limitata, presenza di pedoni che diano segni di incertezza). Si tratta di un campionario ormai antico ed anche ovvio (è chiaro, ad esempio, che, in caso di dosso o di nebbia, occorre assumere un’andatura prudenziale). Ma la novità della sentenza non sta nel ribadire, in via indiretta, la vigenza di tali criteri e indici, che, come detto, sono propri del senso comune. Peraltro, a proposito di questi, la stessa Corte aveva già avuto modo di esprimersi in modo da riaffermarne la ineludibile e sufficiente forza cogente. Con sentenza n. 11182 del 2003, infatti, essa aveva definito tali criteri e indici come circostanze “indicative di comuni esperienze dei conducenti di veicoli” (per cui non si poteva tacciare l’art. 141 del codice della strada di indeterminatezza in ordine al precetto, sì da ritenerlo incostituzionale). L’importanza di questa pronuncia sta invece nella ricognizione di diversi profili sistematici, a cui va ricondotto l’apprezzamento della eccessività (e quindi della pericolosità) della velocità, profili da ricondurre, ciascuno, ad una propria ed autonoma fonte, da individuare, variamente, in norme o in principi, ossia la legge (o l’atto comunque normativo o amministrativo) nel caso di limiti predeterminati, e la valutazione in chiave logico-argomentativa sul piano fattuale nei casi in cui, comunque, non vi sia stata la violazione di tali limiti.
E la riaffermazione di un vasto margine di discrezionalità nel ritenere la velocità comunque eccessiva e/o pericolosa, è un buon segnale, al passo coi tempi, perché, col tempo, sono cresciuti i fattori di pericolosità. A cominciare dal traffico, come si può desumere dal puro dato statistico del numero delle auto circolanti. Se ne 1952 in Italia c’erano circa mezzo milione di auto, nel 2002 ve n’erano trentatré milioni, ossia sessantasei volte di più. E questa percentuale è sicuramente assai più elevata di quella con cui è cresciuta la rete stradale.
Ciò significa che un simile, parossistico affollamento sulle strade, su tutte le strade (virtuale o effettivo che sia), già impone un atteggiamento maggiormente prudenziale, comunque e a prescindere. Perché sulle strade siamo molti di più e c’è assai meno spazio per ognuno, e quindi sussiste comunque, in radice, per tutti, un obbligo di maggiore prudenza (il quale, chiaramente, poi, implica in sé, come conseguenza, la necessità di una maggior severità nel valutare le condotte di guida).
Non solo. Negli ultimi decenni sono proliferati a dismisura i luoghi di aggregazione (scuole, supermercati, ristoranti, bar, pub, locali, e simili), ossia sono aumentate considerevolmente le probabilità di assembramenti. Anche questo dato impone, in radice, maggior prudenza e maggior severità nel valutare le eventuali responsabilità. Di nuovo, muoversi adesso non è certo come muoversi cinquant’anni, o anche solo trent’anni fa.
L’insidia, in altri termini, ora è sempre più presente, perché sempre più subdola e latente. In sintonia con questo fenomeno, la discrezionalità nella valutazione della velocità eccessiva, quindi, deve dilatarsi in maniera corrispondente, ed anzi, assumere connotati più incisivi. E soprattutto, tale valutazione, come ha ribadito la Corte, deve sempre poter contare su criteri di esattezza (rectius, severità), che prescindano dalla considerazione dei limiti in loco e si fondino, invece, su dati fattuali, spazio-temporali e, ormai, anche epocali.
In altre parole, la velocità pericolosa è ormai un dato giuridico da modellare in corrispondenza dei tempi, come la morale (art. 2034 del codice civile) o il buon costume (artt. 1343, 2035 del codice civile). Ossia, mutua e completa il proprio contenuto e la propria estensione dall’evoluzione dei tempi e dalla realtà sociale.
* G.I.P. presso il Tribunale di Forlì.