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Corte di Cassazione 27/04/2007

Giurisprudenza di legittimità - CIRCOLAZIONE STRADALE - SANZIONI AMMINISTRATIVE – PAGAMENTO IN MISURA RIDOTTA - ACQUIESCENZA

(Cass. Civ., sezione II, 19 marzo 2007, n. 6382)

 

In materia di violazioni al codice della strada, il c.d. "pagamento in misura ridotta" di cui all’art. 202 C.d.S., corrispondente al minimo della sanzione comminata dalla legge, da parte di colui che è indicato nel processo verbale di contestazione come autore della violazione, implica necessariamente l’accettazione della sanzione ed il riconoscimento, da parte dello stesso, della propria responsabilità e, conseguentemente, la rinuncia ad esercitare il diritto alla tutela amministrativa o giurisdizionale esperibile immediatamente anche avverso il suddetto verbale.  


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Oggetto: opposizione a sanzione amministrativa; oblazione; successiva proposizione di condictio indebiti o actio damni, inammissibilità.

 
FATTO E DIRITTO

Il Comune di Torre Annunziata impugna per cassazione la sentenza 8.3.05 con la quale il G.d.P. del luogo, accogliendo la domanda di Rita De Martino, l’ha condannato al risarcimento dei danni ex art. 2043 CC nei confronti della parte attrice, nel1.a misura di 144,63, per avergli quest’ultima corrisposte pari somma, ex art. 202 CdS, a seguito di contestatele infrazioni all’art. 41 CdS in relazione all’art. 146/III CdS; somma che l’attrice aveva sostenuto essere stata corrisposta ingiustificatamente, attesa l’invalidità della contestazione in quanto effettuata sulla base di documentazione proveniente da apparecchiatura elettronica non omologata all’epoca delle pretese infrazioni e, quindi, inidonea all’accerta-mento delle stesse senza la presenza d’un. agente all’uopo addetto.
A tale decisione il giudice
a quo è pervenuto sulla considerazione che il pagamento sella sanzione pecuniaria non costituisse ammissione di colpa rinunzia all’ impugnazione; che la proposta azione fosse da qualificare come domanda risarcitoria ex art. 2043 CC; che alla data delle contestate infrazioni l’accertamento delle stesse a mezzo dell’apparecchiatura in questione senza la presenza d’un agente addetto al servizio fosse illegittimo; che il Comune, asserendo nel verbale notificato l’insussistente legittimità dell’accertamento mediante apparecchiatura elettronica, avesse artatamente indotto in errore il destinatario della comunicazione sulla consequenziale legittimità della pretesa e sulla convenienza del pagamento immediato; che tale comportamento avesse determinato un danno ingiusto all’interesse legittimo alla correttezza dell’azione amministrativa; che tale danno fosse da considerare risarcibile ex art. 2043 CC.
Di detta decisione si duole il ricorrente denunziando: con un primo motivo, nel quale deduce la violazione degli artt. 22
e 23 L. 689/81 e 203-204-204bis CdS nonché vizi di motivazione, che il giudice a quo non abbia considerato con le invocate norme consentano i ricorso amministrativo e giurisdizionale solo ove non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta e, quindi, precludano la contestazione per altra via dell’accertamento, specie una volta decorsi i termini per l’adempimento e per le impugnazioni espressamente previstivi; con un secondo motivo, nel quale deduce la violazione degli artt. 4 e 5 L 2248/1865 all. E nonché vizi di motivazione, che il giudice a quo abbia illegittimamente disapplicato il provvedimento amministrativo e riconosciuto la risarcibilità del preteso danno, decidendo della disapplicazione in via principale e non incidentale; con un terzo motivo, nel quale deduce la violazione di norme di diritto e vizi di motivazione, che il giudice a quo non abbia rilevato l’effetto preclusivo del pagamento della sanzione; con un quarto motivo, denunziando vizi di motivazione, che il giudice l r cpo abbia erroneamente provveduto sulle spese.
Parte intimata resiste con controricorso.
Attivatasi procedura ex art. 375 CPC, il Procuratore Generale fa pervenire requisitoria scritta nella quale conclude chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per avere il ricorrente Comune agito in difetto di delibera autorizzativa della Giunta e svolto motivi incompatibili con la pronunzia equitativa del G.d.F.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
La richiesta del P.G. non merita accoglimento sotto alcuno dei prospettati profili, per i motivi di cui in seguito, né l’espresso parere osta ad una decisione ex art.
375 CPC.
Al riguardo devesi considerare che l’inammissibilità della pronunzia in camera di consiglio
è ravvisabile solo ove la Suprema Corte ritenga che non ricorrano le ipotesi di cui al primo comma dell’art 375 CPC, ovvero che emergano condizioni incompatibili con una trattazione abbreviata, nel qual caso la causa deve essere rinviata alla pubblica udienza; ove, per contro, la Corte ritenga che la decisione del ricorso presenti aspetti d’evidenza compatibili con l’immediata decisione, ben può pronunziarsi per la manifesta fondatezza dell’impugnazione, anche nel caso in cui le conclusioni del P.G. fossero, all’opposto, per la manifesta infondatezza, e viceversa (Cass. 11.6.05 n. 12384, 3.11.05 n. 21291 SS.UU.).
Peraltro, lo stesso P.G., intervenuto all’adunanza in Camera di Consiglio, melius re perpensa ha poi concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Preliminarmente, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per difetto di valida procura ad
litem, con la quale infondatamente si sostiene che l’impugnazione sia stata invalidamente promossa in difetto dell’autorizzazione ai Sindaco da parte della Giunta, dacchè in atti sin dal deposito del ricorso, come da indice vistato del fascicolo di parte ricorrente, la delibera di Giunta 1.6.05 n. 96, immediatamente esecutiva (Cass. 30.8.04 n. 17411), con la quale si autorizza la presente impugnazione.
Al riguardo,
è appena il caso di ricordare altresì: che l’omessa menzione, nel ricorso per cassazione proposto dal Sindaco di un Comune, della delibera della Giunta di autorizzazione a costituirsi non è causa di nullità dello stesso né incide sulla regolarità della costituzione dell’organo rappresentativo dell’ente, allorquando detta delibera sia depositata unitamente al ricorso nella cancelleria della Corte (Cass. 20.9.00 n. 12435); che la delibera di Giunta autorizzativa può essere depositata anche sino al momento della discussione (Cass. 30.5.00 n. 7190) e, nella specie, pur senza previa notifica ex art. 372 CPC, essendo presente in adunanza il difensore di controparte; che l’autorizzazione a stare in giudizio è condizione di efficacia e non requisito di validità della costituzione in giudizio dell’ente pubblico e può, quindi, intervenire anche nei corso del giudizio, sanando retroattivamente le irregolarità inficianti la precorsa fase del procedimento stesso, onde, quand’anche il ricorso per cassazione proposto da un’amministrazione comunale sia stato depositato prima che sia stata rilasciata l’autorizzazione della Giunta municipale, il successivo deposito di questa sana retroattivamente la precedente irregolarità del giudizio (Cass. 19.13.04 n. 16263).
Va, poi, disattesa l’eccezione d’inammissibilità dei motivi in relazione alla natura equitativa ex art. 113 CPC della decisione impugnata.
E’ pacifico, per ormai costante indirizzo giurisprudenziale,
che le sentenze pronunziate dal G. d. P. ex art. 113 CPC siano impugnabili con ricorso per cassazione, oltre che per i motivi e 13 violazione previsti dai numeri 1 e 2 dell’art. 360 CPC, solo (con riferimento al n. 3 dello stesso articolo) per violazioni della Costituzione, delle norme di diritto comunitario sovranazionali, della legge processuale, nonché, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 206 del 2004, dei principi informatori della materia, restando pertanto escluse, anche dopo tale pronuncia, le altre violazioni di legge, mentre sono soggette a ricorso per cassazione (in relazione al n. 4 dell’art. 360 CPC) per nullità attinente alla motivazione, solo ove questa sia assolutamente mancante o apparente, ovvero fondata su affermazioni contrastanti o perplesse o, comunque, inidonee ad evidenziare la ratio decidendi.
Nella specie, le dedotte violazioni delle norme che presiedono alla proposizione delle impugnative, in materia di sanzioni amministrative il generale e di sanzioni attinenti a violazioni del CdS in particolare, nonché ai limiti dei poteri del giudice ordinario nei confronti dei provvedimenti della Pubblica Amministrazione, rientrano, rispettivamente, nelle ipotesi delle norme processuali e dei principi informatori della materia per le quali
è consentito il ricorso per cassazione anche avverso le sentenze equitative ex art. 113 CPC.
Ciò posto, può passarsi all’esame dei motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente per la evidente connessione e risultano, per quanto di ragione, manifestamente fondati.
Devesi preliminarmente ricordare: come l’art. 202/I CdS preveda che "Per le violazioni per le quali il presente codice stabilisce una sanzione amministrativa pecuniaria, ferma restando l’applicazione delle eventuali sanzioni accessorie, il trasgressore
è ammesso a pagare, entro sessanta giorni dalla contestazione o dalla notificazione, una somma pari al minimo fissato dalle singole norme."; come l’art. 203/I CdS preveda che "Il trasgressore o gli altri soggetti indicati nell’art. 196, nel termine di giorni sessanta dalla contestazione o dalla notificazione, qualora non sia stata effettuato il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito, possono proporre ricorso al prefetto ..."; come l’art. 204bis/I CdS preveda che "Alternativamente alla proposizione del ricorso di cui all’art. 207, il trasgressore o gli altri soggetti indicati nell’art. 196, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito, possono proporre ricorso al giudice di pace ...".
In riferimento alla ricordata normativa, il principio richiamato dal giudice a quo
, per il quale “in tema di sanzioni amministrative il pagamento della somma portata dall’ordinanza ingiunzione, potendo ricollegarsi alla volontà dell’intimato di sottrarsi all’esecuzione forzata esperibile in base a detto provvedimento (il quale è titolo esecutivo e la cui efficacia non è di regola sospesa dall’opposizione) non comporta di per sé acquiescenza né incide sull’interesse ad insorgere avverso il procedimento medesimo", è all’evidenza non pertinente, in quanto, nella specie, il pagamento non è avvenuto a seguito d’intimazione mediante ordinanza-ingiunzione ma a seguito di contestazione mediante verbale d’accertamento notificato ed, inoltre, il detto principio opera in relazione alle sanzioni amministrative irrogate, appunto, a mezzo d’ordinanza-ingiunzione sulla base di normative diverse dal codice della strada, per le quali non è consentita l’impugnazione immediata in sede giudiziaria del verbale ma solo quella dell’ordinanza-ingiunzione stessa, mentre le impugnazioni tanto in sede amministrativa quanto in sede giudiziaria sono autonomamente regolate dal codice della strada con la normativa surrichiamata che consente, tra l’altro, l’immediata impugnazione del verbale così in sede amministrativa come in sede giudiziaria e connette il potere dell’Amministrazione di formare il titolo esecutivo, diverso ed. autonomo rispetto al verbale (del che in seguito) solo all’acquiescenza del destinatario.
Per il che risulta del tutto priva di
 giustificazione la tesi per cui l’ammissibilità d’un pagamento della sanzione con riserva, non previsto dalla richiamata normativa, troverebbe la propria ragion d’essere e la propria ammissibilità nello scopo d’evitare la riscossione coattiva della sanzione, riscossione che non può verificarsi sino all’esito dei procedimenti oppositori amministrativo e giurisdizionale, mentre il pagamento ex art. 202 CdS, proprio perché previsto in misura ridotta, costituisce solo una forma d’agevolazione accordata al contravventore in considerazione della sua rinunzia ad avvalersi dei mezzi oppositivi.
In vero, la richiamata normativa, regolando compiutamente la materia, si pone con carattere di specialità e, consequenzialmente
, con vis derogatoria, rispetto a quella generale sulle impugnazioni delle sanzioni amministrative di cui alla L 689/81.
Va, pertanto, anzi tutto sottolineato come il tenore letterale degli artt. 203/I
e 203bis/I CdS non ammetta altra lettura se non quella per cui, una volta effettuato il pagamento in misura ridotta consentito dal precedente art. 202/I entro sessanta giorni dalla contestazione o notificazione del verbale, id est entro il medesimo termine nel quale sono consentiti, alternativamente, i ricorsi in sede amministrativa o giurisdizionale, rimane preclusa la possibilità d’impugnare l’accertamento dell’infrazione nell’una come nell’altra sede.
La
ratio di tale disposizione è evidente ed analoga a quella dell’istituto dell’oblazione - beneficio che, come evidenziato dalla Corte Costituzionale riconoscendo la legittimità proprio dell’art. 202 CdS in esame (sent. 25.7.94 n. 350), è offerto al contravventore in funzione deflattiva dei procedimenti contenziosi, sia amministrativi che giurisdizionali, alla pari di analoghi istituti presenti in altre discipline processuali - con la quale s’intende estinguere la specifica controversia con il versamento d’una somma di danaro, precludendo, peraltro, ad entrambe parti qualsivoglia possibilità di successiva contestazione in ordine ai presupposti ed alle condizioni d’applicazione delle sanzioni; per il che, come già evidenziato da questa Corte, la formulazione dell’art. 202 CdS, prevedendo,  al pari dell’art. 16 L. 24.11.81 n. 689, il "pagamento in misura ridotta” corrispondente al minimo della sanzione comminata dalla legge da parte dell’indicato (nel processo verbale di contestazione) autore della violazione, implica necessariamente l’accettazione della sanzione e, quindi, il riconoscimento, da parte dello stesso, della propria responsabilità e, conseguentemente, nel sistema delineato dal legislatore anche ai fini deflazione dei processi, la rinuncia ad esercitare il proprio diritto alla tutela amministrativa o giurisdizionale, anche quest’ultima esperibile immediatamente avverso i verbali di contestazione delle violazioni alle norme del CdS. (Cass. 11.2.05 n. 2862).
Devesi, infatti, al riguardo ulteriormente precisare che il processo verbale d’accertamento e contestazione delle violazioni al CdS non costituisce atto impositivo
e non determina di per sé l’assoggettamento concreto ed attuale del contravventore all’obbligo di pagamento della sanzione pecuniaria conseguente 2112 violazione constatata dagli agenti verbalizzanti - com’è invece per l’ordinanza-ingiunzione, che consegue alla reiezione del ricorso in sede amministrativa - ma costituisce solo il primo atto d’un procedimento a formazione progressiva, all’esito del quale, in mancanza d’impugnazione parte dell’interessato in sede amministrativa o giudiziaria nel prescritto termine di sessanta giorni, l’Amministrazione cui appartengono gli agenti accertatori può procedere all’iscrizione a ruolo della somma corrispondente alla sanzione effettivamente irrogata, determinata tra il minimo ed il massimo edittali, e predisporre, in tal modo, il titolo esecutivo in base al quale far poi luogo all’esazione forzata previa notificazione della cartella esattoriale che del ruolo costituisce un estratto.
Il contravventore, ove ritenga che i rilievi dei verbalizzanti siano infondati od ingiustificati, può esporre le sue ragioni e le sue contestazioni nello stesso verbale e, comunque, può proporle e riproporle, sia in sede amministrativa con il ricorso al Prefetto, sia direttamente in sede giudiziaria con l’opposizione innanzi al G.d.P., per far riconoscere l’infondatezza, totale o parziale, della contestazione, come in concreto in quell’atto verbalizzata, così per quanto riguarda l’infrazione propriamente detta, come per quanto riguarda la sua contestazione e la sanzione indicata.
Quanto a quest’ultima, peraltro, la legge, con la disposizione contenuta nell’art. 202 CdS, ammette a favore del contravventore la possibilità di prevenirne l’irrogazione e di impedirne l’esercizio, mediante il versamento all’Amministrazione, nei termine di sessanta giorni dalla data della contestazione immediata o della notificazione del verbale, id est,
 nello stesso termine stabilito per la proposizione delle impugnazione in sede amministrativa o giurisdizionale, di una somma pari al minimo della sanzione pecuniaria edittale prevista dalla legge per le violazioni contestate nel verbale stesso.
Si tratta d’una facoltà d’oblazione concessa dalla legge, il cui esercizio
è rimesso alla libera valutazione e determinazione del contravventore, con funzione ed effetto di chiudere immediatamente e definitivamente, in termini e secondo modalità e parametri oggettivi prefissati dalla legge stessa, in rapporto tra contravvenzione ed Amministrazione in ordine alle conseguenze sanzionatorie delle violazioni rilevate, definizione dalla quale l’Amministrazione trae il vantaggio della pronta e incontestata riscossione d’una somma oggettivamente commisurata nel minimo della sanzione pecuniaria edittale, ed il contribuente quello dell’abbandono totale ed incondizionato d’ogni altra e maggiore pretesa sanzionatoria da parte dell’Amministrazione.
Ma proprio per ciò, perché la detta funzione non venga ad essere vanificata, una volta che la facoltà di oblazione è stata esercita, essa, impedendo in maniera definitiva l’esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’ufficio, non può non comportare correlativamente, stante la sua sostanziale natura transattiva, la definitiva preclusione per il contravventore di contestare e mettere in discussione i presupposti di fatto della sanzione, id est
 la legittimità dell’accertamento della violazione, e la sua applicabilità in concreto; in caso contrario, essendosi ormai estinto il potere sanzionatorio dell’Amministrazione, che non può  determinare la misura della sanzione pecuniaria questa rapportando alla concreta gravità della violazione, sia pur tra il minimo ed il massimo edittali, ne deriverebbe un inammissibile ed ingiustificabile privilegio per il contraavventore.
D’altra parte – espressamente preclusi, come inequivocamente precisato dal primo coma sia dell’art. 203 sia dell’art. 204 bis CdS., entrambi i mezzi oppositori nell’ipotesi in cui il contravventore si sia avvalso della facoltà di pagamento ridotto e non prevedendo le disposizioni citate alcuna possibilità di pagamento, con riserva di ripetizione
- l’operata soluzione comporta la legittimità dell’incasso della somma da parte dell’amministrazione titolare della pretesa sanzionatoria, la cui fondatezza non può più essere rimessa in discussione attraverso un tardivo sindacato sul pregresso accertamento dell’illecito; diversamente argomentando, sarebbero surrettiziamente aggirati i termini e le preclusioni previsti dalle norme sul relativo contenzioso sia in sede amministrativa sia in sede giurisdizionale e si darebbe ingresso ad un inammissibile sindacato - peraltro diretto ad hoc e non meramente incidentale, quale previsto dalle fondamentali regole di riparto poste dalle disposizioni degli artt. 4 e 5 della L. 20.3.1965 n. 2248 all. E sul diritto-dovere della P.A. a far proprie le somme derivanti dal pagamento delle sanzioni, ormai divenute inoppugnabili con conseguente liceità della relativa percezione e ritenzione.
Per tutte le esposte ragioni, l’effetto di definitività
e preclusione dell’oblazione s’estende, poi, a qualsiasi attività delle parti, onde anche un’eventuale revisione della situazione ad iniziativa dell’Amministrazione, con annullamento d’altri provvedimenti ancora in itinere, non consentirebbe interventi sui procedimenti ormai definiti con oblazione.
TaLe conclusione vale, parimenti, per le azioni di qualsivoglia natura con le quali il contravventore pretenda di rimettere in discussione la legittimità dell’accertamento dell’infrazione
- sulla quale, per quanto sopra evidenziato, con il pagamento in misura ridotta ha fatto acquiescienza - e, quindi, non solo per l’impugnazione ex art. 204 bis CdS, ma anche per eventuali pretese civilistiche quali la condictio e l’actio damni.
Le ulteriori ragioni di censura restano assorbite.
Il ricorso va, pertanto, accolto per le esposte ragioni e l’impugnata sentenza va, consequenzialmente, cassata, peraltro senza rinvio, potendo la rilevata improponibilità dell’originaria domanda essere dichiarata in questa sede ex art.
384/I CPC con reiezione della domanda stessa.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.


P.Q.M.

LA CORTE

accoglie il ricorso, cassa senza rinvio l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, respinge l’originaria domanda; condanna parte intimata alle spese che liquida in 100,00 per esborsi ed €  580,00 per onorari oltre ad accessori di legge.

Così deciso i n Camera d i Consiglio il 16.1.2007.

 

Depositato in cancelleria il 19 marzo 2007.

© asaps.it
Venerdì, 27 Aprile 2007
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