In materia di violazioni
al codice della strada, il c.d. "pagamento in misura ridotta" di cui
all’art. 202 C.d.S., corrispondente al minimo della sanzione comminata dalla
legge, da parte di colui che è indicato nel processo verbale di contestazione
come autore della violazione, implica necessariamente l’accettazione della
sanzione ed il riconoscimento, da parte dello stesso, della propria
responsabilità e, conseguentemente, la rinuncia ad esercitare il diritto alla
tutela amministrativa o giurisdizionale esperibile immediatamente anche avverso
il suddetto verbale.
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Oggetto: opposizione a
sanzione amministrativa; oblazione; successiva
proposizione di condictio
indebiti o actio damni, inammissibilità.
FATTO E DIRITTO
Il Comune di Torre Annunziata
impugna per cassazione la sentenza 8.3.05 con la quale il G.d.P. del luogo, accogliendo
la domanda di Rita De Martino, l’ha condannato al risarcimento dei danni ex
art. 2043 CC nei confronti della parte attrice, nel1.a misura di € 144,63,
per avergli quest’ultima corrisposte pari somma, ex art. 202 CdS, a seguito di
contestatele infrazioni all’art. 41 CdS in relazione all’art. 146/III CdS;
somma che l’attrice aveva sostenuto essere stata corrisposta
ingiustificatamente, attesa l’invalidità della contestazione in quanto effettuata
sulla base di documentazione proveniente da apparecchiatura elettronica non
omologata all’epoca delle pretese infrazioni e, quindi, inidonea
all’accerta-mento delle stesse senza la presenza d’un. agente all’uopo addetto.
A tale decisione il giudice a quo è pervenuto sulla considerazione
che il pagamento sella sanzione pecuniaria non costituisse né ammissione di colpa né
rinunzia all’ impugnazione; che la proposta azione fosse da
qualificare come domanda risarcitoria ex art. 2043 CC; che alla data delle
contestate infrazioni l’accertamento delle stesse a mezzo dell’apparecchiatura
in questione senza la presenza d’un agente addetto al servizio fosse
illegittimo; che il Comune, asserendo nel verbale notificato l’insussistente legittimità
dell’accertamento mediante apparecchiatura elettronica, avesse artatamente
indotto in errore il destinatario della comunicazione sulla consequenziale
legittimità della pretesa e sulla convenienza del pagamento immediato; che tale
comportamento avesse determinato un danno
ingiusto all’interesse legittimo alla correttezza dell’azione amministrativa;
che tale danno fosse da considerare risarcibile ex art. 2043 CC. Di detta decisione si duole
il ricorrente denunziando: con un primo motivo, nel quale deduce la violazione degli
artt. 22 e 23 L. 689/81 e 203-204-204bis CdS
nonché vizi di motivazione, che il giudice a quo non
abbia considerato con le invocate norme consentano i ricorso amministrativo e
giurisdizionale solo ove non sia stato effettuato il pagamento in misura
ridotta e, quindi, precludano la contestazione per altra via dell’accertamento,
specie una volta decorsi i termini per l’adempimento e per le impugnazioni
espressamente previstivi; con un secondo motivo, nel quale deduce la violazione degli artt. 4 e 5 L
2248/1865 all. E nonché vizi di motivazione, che il giudice a quo abbia illegittimamente
disapplicato il provvedimento amministrativo e riconosciuto la risarcibilità del
preteso danno, decidendo della disapplicazione in via principale e non
incidentale; con un terzo motivo, nel quale deduce la violazione di norme di
diritto e vizi di motivazione, che il giudice a quo non abbia rilevato l’effetto
preclusivo del pagamento della sanzione; con un quarto motivo, denunziando vizi
di motivazione, che il giudice l r cpo abbia
erroneamente provveduto sulle spese. Parte intimata resiste con
controricorso. Attivatasi procedura ex art.
375 CPC, il Procuratore Generale fa pervenire requisitoria scritta nella quale conclude
chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per avere il ricorrente
Comune agito in difetto di delibera autorizzativa della Giunta e svolto motivi
incompatibili con la pronunzia equitativa del G.d.F. Entrambe le parti hanno
depositato memorie. La richiesta del P.G. non merita
accoglimento sotto alcuno dei prospettati profili, per i motivi di cui in seguito,
né l’espresso parere osta ad una decisione ex art. 375 CPC. Al riguardo devesi
considerare che l’inammissibilità della pronunzia in camera di consiglio è ravvisabile
solo ove la Suprema Corte ritenga che non ricorrano le ipotesi di cui al primo
comma dell’art 375 CPC, ovvero che emergano condizioni incompatibili con una
trattazione abbreviata, nel qual caso la causa deve essere rinviata alla
pubblica udienza; ove, per contro, la Corte ritenga che la decisione del
ricorso presenti aspetti d’evidenza compatibili con l’immediata decisione, ben
può pronunziarsi per la manifesta fondatezza dell’impugnazione, anche nel caso
in cui le conclusioni del P.G. fossero, all’opposto, per la manifesta
infondatezza, e viceversa (Cass. 11.6.05 n. 12384, 3.11.05 n. 21291 SS.UU.). Peraltro, lo stesso P.G., intervenuto
all’adunanza in Camera di Consiglio, melius
re perpensa ha poi concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso. Preliminarmente, va disattesa
l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per difetto di valida procura ad litem, con la quale infondatamente
si sostiene che l’impugnazione sia stata invalidamente promossa in difetto dell’autorizzazione
ai Sindaco da parte della Giunta, dacchè in atti sin dal deposito del ricorso,
come da indice vistato del fascicolo di parte ricorrente, la delibera di Giunta 1.6.05 n. 96,
immediatamente esecutiva (Cass. 30.8.04 n. 17411), con la
quale si autorizza la presente impugnazione. Al riguardo, è appena
il caso di ricordare altresì: che l’omessa menzione, nel ricorso per cassazione
proposto dal Sindaco di un Comune, della delibera della Giunta di
autorizzazione a costituirsi non è causa di
nullità dello stesso né incide sulla regolarità della costituzione dell’organo
rappresentativo dell’ente, allorquando detta delibera sia depositata unitamente
al ricorso nella cancelleria della Corte (Cass. 20.9.00
n. 12435); che la delibera di Giunta autorizzativa può essere depositata anche
sino al momento della discussione (Cass. 30.5.00 n. 7190) e, nella specie, pur senza
previa notifica ex art. 372 CPC, essendo presente in adunanza il difensore di controparte;
che l’autorizzazione a stare in giudizio è condizione
di efficacia e non requisito di validità della costituzione in giudizio
dell’ente pubblico e può, quindi, intervenire anche nei corso del giudizio,
sanando retroattivamente le irregolarità inficianti la precorsa fase del procedimento
stesso, onde, quand’anche il ricorso per cassazione proposto da un’amministrazione
comunale sia stato depositato prima che sia stata rilasciata l’autorizzazione della
Giunta municipale, il successivo deposito di questa sana retroattivamente la
precedente irregolarità del giudizio (Cass. 19.13.04 n. 16263). Va, poi, disattesa l’eccezione
d’inammissibilità dei motivi in relazione alla natura equitativa ex art. 113
CPC della decisione impugnata. E’ pacifico, per ormai costante
indirizzo giurisprudenziale, che le sentenze pronunziate
dal G. d. P. ex art. 113 CPC siano impugnabili con ricorso per cassazione, oltre
che per i motivi e 13 violazione previsti dai numeri 1 e 2 dell’art. 360 CPC,
solo (con riferimento al n. 3 dello stesso articolo) per violazioni della
Costituzione, delle norme di diritto comunitario sovranazionali, della legge
processuale, nonché, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 206
del 2004, dei principi informatori della materia, restando pertanto escluse,
anche dopo tale pronuncia, le altre violazioni di legge, mentre sono soggette a
ricorso per cassazione (in relazione al n. 4 dell’art. 360 CPC) per nullità
attinente alla motivazione, solo ove questa sia assolutamente mancante o apparente,
ovvero fondata su affermazioni contrastanti o perplesse o, comunque, inidonee
ad evidenziare la ratio decidendi. Nella specie, le dedotte
violazioni delle norme che presiedono alla proposizione delle impugnative, in
materia di sanzioni amministrative il generale e di sanzioni attinenti a
violazioni del CdS in particolare, nonché ai limiti dei poteri del giudice
ordinario nei confronti dei provvedimenti della Pubblica Amministrazione, rientrano,
rispettivamente, nelle ipotesi delle norme processuali e dei principi
informatori della materia per le quali è consentito il ricorso
per cassazione anche avverso le sentenze equitative ex art. 113 CPC. Ciò posto, può passarsi
all’esame dei motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente per
la evidente connessione e risultano, per quanto di ragione, manifestamente
fondati. Devesi preliminarmente
ricordare: come l’art. 202/I CdS preveda che "Per le violazioni per le
quali il presente codice stabilisce una sanzione amministrativa pecuniaria, ferma
restando l’applicazione delle eventuali sanzioni accessorie, il trasgressore è ammesso
a pagare, entro sessanta giorni dalla contestazione o dalla notificazione, una
somma pari al minimo fissato dalle singole norme."; come l’art. 203/I CdS
preveda che "Il trasgressore o gli altri soggetti indicati nell’art. 196, nel termine di giorni
sessanta dalla contestazione o dalla notificazione, qualora non sia stata effettuato
il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito,
possono proporre ricorso al prefetto ..."; come
l’art. 204bis/I CdS preveda che "Alternativamente alla proposizione del
ricorso di cui all’art. 207, il trasgressore o gli altri soggetti indicati
nell’art. 196, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta
nei casi in cui è consentito, possono proporre ricorso al giudice
di pace ...". In riferimento alla ricordata
normativa, il principio richiamato dal giudice a quo, per il quale “in tema di sanzioni
amministrative il pagamento della somma portata dall’ordinanza ingiunzione,
potendo ricollegarsi alla volontà dell’intimato di sottrarsi
all’esecuzione forzata esperibile in base a detto provvedimento (il quale è titolo
esecutivo e la cui efficacia non è di
regola sospesa dall’opposizione) non comporta di per sé acquiescenza né incide
sull’interesse ad insorgere avverso il procedimento medesimo", è all’evidenza
non pertinente, in quanto, nella specie, il pagamento non è avvenuto
a seguito d’intimazione mediante ordinanza-ingiunzione ma a seguito di
contestazione mediante verbale d’accertamento notificato ed, inoltre, il detto
principio opera in relazione alle sanzioni amministrative irrogate, appunto, a
mezzo d’ordinanza-ingiunzione sulla base di normative diverse dal codice della
strada, per le quali non è consentita l’impugnazione immediata in
sede giudiziaria del verbale ma solo quella dell’ordinanza-ingiunzione stessa,
mentre le impugnazioni tanto in sede amministrativa quanto in sede giudiziaria
sono autonomamente regolate dal codice della strada con la normativa
surrichiamata che consente, tra l’altro, l’immediata impugnazione del verbale
così in sede amministrativa come in sede giudiziaria e connette il potere dell’Amministrazione
di formare il titolo esecutivo, diverso ed. autonomo rispetto al verbale (del
che in seguito) solo all’acquiescenza del destinatario. Per il che risulta del tutto
priva di giustificazione la tesi
per cui l’ammissibilità d’un pagamento della sanzione con riserva, non previsto
dalla richiamata normativa, troverebbe la propria ragion d’essere e la propria
ammissibilità nello scopo d’evitare la riscossione coattiva della sanzione,
riscossione che non può verificarsi sino all’esito dei procedimenti oppositori
amministrativo e giurisdizionale, mentre
il pagamento ex art. 202 CdS, proprio perché previsto in misura ridotta,
costituisce solo una forma d’agevolazione accordata al contravventore in considerazione
della sua rinunzia ad avvalersi dei mezzi oppositivi. In vero, la richiamata
normativa, regolando compiutamente la materia, si pone con carattere di
specialità e, consequenzialmente, con vis derogatoria, rispetto a quella generale
sulle impugnazioni delle sanzioni amministrative di cui alla L 689/81. Va, pertanto, anzi tutto
sottolineato come il tenore letterale degli artt. 203/I e
203bis/I CdS non ammetta altra lettura se non quella per cui, una
volta effettuato il pagamento in misura ridotta consentito dal precedente art.
202/I entro sessanta giorni dalla contestazione o notificazione del verbale, id est entro
il medesimo termine nel quale sono consentiti, alternativamente, i ricorsi in sede
amministrativa o giurisdizionale, rimane preclusa la possibilità d’impugnare
l’accertamento dell’infrazione nell’una come nell’altra sede. La ratio di
tale disposizione è evidente ed analoga a quella
dell’istituto dell’oblazione - beneficio che, come evidenziato
dalla Corte Costituzionale riconoscendo la legittimità proprio dell’art. 202
CdS in esame (sent. 25.7.94 n. 350), è offerto
al contravventore in funzione deflattiva dei procedimenti contenziosi, sia
amministrativi che giurisdizionali, alla pari di analoghi istituti presenti in
altre discipline processuali - con la quale s’intende estinguere
la specifica controversia con il versamento d’una somma di danaro, precludendo,
peraltro, ad entrambe parti qualsivoglia possibilità di successiva
contestazione in ordine ai presupposti ed alle condizioni d’applicazione delle
sanzioni; per il che, come già evidenziato da questa Corte, la formulazione
dell’art. 202 CdS, prevedendo, al pari
dell’art. 16 L. 24.11.81 n. 689, il "pagamento in misura ridotta”
corrispondente al minimo della sanzione comminata dalla legge da parte dell’indicato
(nel processo verbale di contestazione) autore della violazione, implica
necessariamente l’accettazione della sanzione e, quindi, il riconoscimento, da
parte dello stesso, della propria responsabilità e,
conseguentemente, nel sistema delineato dal legislatore anche ai fini deflazione dei processi, la
rinuncia ad esercitare il proprio diritto alla tutela amministrativa o giurisdizionale,
anche quest’ultima esperibile immediatamente avverso i verbali di contestazione
delle violazioni alle norme del CdS. (Cass. 11.2.05 n. 2862). Devesi, infatti, al riguardo
ulteriormente precisare che il processo verbale d’accertamento e contestazione
delle violazioni al CdS non costituisce atto impositivo e non determina di per sé
l’assoggettamento concreto ed attuale
del contravventore all’obbligo di pagamento della sanzione pecuniaria
conseguente 2112 violazione constatata dagli agenti verbalizzanti - com’è
invece per l’ordinanza-ingiunzione, che consegue alla reiezione del ricorso in sede amministrativa - ma
costituisce solo il primo atto d’un procedimento a formazione progressiva,
all’esito del quale, in mancanza d’impugnazione parte dell’interessato in sede
amministrativa o giudiziaria nel prescritto termine di sessanta giorni,
l’Amministrazione cui appartengono gli agenti accertatori può procedere
all’iscrizione a ruolo della somma corrispondente alla sanzione effettivamente
irrogata, determinata tra il minimo ed
il massimo edittali, e predisporre, in tal modo, il titolo esecutivo in base al
quale far poi luogo all’esazione forzata previa notificazione della cartella
esattoriale che del ruolo costituisce un estratto. Il contravventore, ove ritenga
che i rilievi dei verbalizzanti siano infondati od ingiustificati, può esporre le
sue ragioni e le sue contestazioni nello stesso verbale e, comunque, può
proporle e riproporle, sia in sede amministrativa con il ricorso al Prefetto, sia
direttamente in sede giudiziaria con l’opposizione innanzi al G.d.P., per far
riconoscere l’infondatezza, totale o parziale, della contestazione, come in
concreto in quell’atto verbalizzata, così per quanto riguarda l’infrazione
propriamente detta, come per quanto riguarda la sua contestazione e la sanzione
indicata. Quanto a quest’ultima,
peraltro, la legge, con la disposizione contenuta nell’art. 202 CdS, ammette a
favore del contravventore la possibilità di prevenirne l’irrogazione e di
impedirne l’esercizio, mediante il versamento all’Amministrazione, nei termine
di sessanta giorni dalla data della contestazione immediata o della
notificazione del verbale, id est, nello stesso termine
stabilito per la proposizione delle impugnazione in sede amministrativa o giurisdizionale,
di una somma pari al minimo della sanzione pecuniaria edittale prevista dalla
legge per le violazioni contestate nel verbale stesso. Si tratta d’una facoltà d’oblazione
concessa dalla legge, il cui esercizio è
rimesso alla libera valutazione e determinazione del contravventore, con
funzione ed effetto di chiudere immediatamente e definitivamente, in termini e
secondo modalità e parametri oggettivi prefissati dalla legge stessa, in
rapporto tra contravvenzione ed Amministrazione in ordine alle conseguenze
sanzionatorie delle violazioni rilevate, definizione dalla quale l’Amministrazione
trae il vantaggio della pronta e incontestata riscossione d’una somma
oggettivamente commisurata nel minimo della sanzione pecuniaria edittale, ed il
contribuente quello dell’abbandono totale ed incondizionato d’ogni altra e
maggiore pretesa sanzionatoria da parte dell’Amministrazione. Ma proprio per ciò, perché la
detta funzione non venga ad essere vanificata, una volta che la facoltà di
oblazione è stata esercita, essa, impedendo in maniera definitiva l’esercizio
del potere sanzionatorio da parte dell’ufficio, non può non comportare
correlativamente, stante la sua sostanziale natura transattiva, la definitiva
preclusione per il contravventore di contestare e mettere in discussione i
presupposti di fatto della sanzione, id
est la
legittimità dell’accertamento della violazione, e
la sua applicabilità in concreto; in caso contrario, essendosi ormai
estinto il potere sanzionatorio dell’Amministrazione, che non può determinare la misura della
sanzione pecuniaria questa rapportando alla concreta gravità della violazione, sia pur tra il
minimo ed il massimo edittali, ne deriverebbe un inammissibile ed ingiustificabile
privilegio per il contraavventore. D’altra parte – espressamente
preclusi, come inequivocamente precisato dal primo coma sia dell’art. 203 sia
dell’art. 204 bis CdS., entrambi i mezzi oppositori nell’ipotesi in cui il
contravventore si sia avvalso della facoltà di pagamento ridotto e non
prevedendo le disposizioni citate alcuna possibilità di pagamento, con riserva
di ripetizione - l’operata soluzione comporta la legittimità
dell’incasso della somma da parte dell’amministrazione titolare della pretesa
sanzionatoria, la cui fondatezza non può più essere rimessa in discussione
attraverso un tardivo sindacato sul pregresso accertamento dell’illecito; diversamente
argomentando, sarebbero surrettiziamente aggirati i termini e
le preclusioni previsti dalle norme sul relativo contenzioso sia in
sede amministrativa sia in sede giurisdizionale e si darebbe ingresso ad un
inammissibile sindacato - peraltro
diretto ad hoc e non
meramente incidentale, quale previsto dalle fondamentali regole di riparto
poste dalle disposizioni degli artt. 4 e 5 della L. 20.3.1965
n. 2248
all. E – sul diritto-dovere della P.A. a far proprie le somme derivanti dal
pagamento delle sanzioni, ormai divenute inoppugnabili con conseguente liceità
della relativa percezione e ritenzione. Per tutte le esposte ragioni,
l’effetto di definitività e preclusione dell’oblazione s’estende, poi, a qualsiasi attività delle
parti, onde anche un’eventuale revisione
della situazione ad iniziativa dell’Amministrazione, con annullamento d’altri
provvedimenti ancora in itinere, non
consentirebbe interventi sui procedimenti ormai definiti con oblazione. TaLe conclusione vale,
parimenti, per le azioni di qualsivoglia natura con le quali il contravventore
pretenda di rimettere in discussione la legittimità dell’accertamento dell’infrazione
- sulla quale, per quanto sopra evidenziato, con il pagamento in misura
ridotta ha fatto acquiescienza - e, quindi, non solo per l’impugnazione
ex art. 204 bis CdS, ma anche per eventuali pretese civilistiche quali la condictio e l’actio damni. Le ulteriori ragioni di
censura restano assorbite. Il ricorso va, pertanto,
accolto per le esposte ragioni e l’impugnata sentenza va, consequenzialmente, cassata,
peraltro senza rinvio, potendo la rilevata improponibilità dell’originaria
domanda essere dichiarata in questa sede ex art. 384/I CPC con
reiezione della domanda stessa. Le spese, liquidate come in
dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE
accoglie il ricorso, cassa
senza rinvio l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, respinge l’originaria
domanda; condanna
parte intimata alle spese che liquida in € 100,00 per esborsi ed € 580,00 per onorari oltre ad accessori di
legge.
Così deciso i n Camera d i Consiglio il 16.1.2007.
Depositato in cancelleria il 19 marzo 2007. |