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Articoli 13/06/2005

Una domanda sulla velocità a Franco Taggi,

direttore Ambiente e Traumi dell’Istituto Superiore di Sanità

 

Una domanda sulla velocità a Franco Taggi,
direttore Ambiente e Traumi dell’Istituto Superiore di Sanità.

Il Centauro vuole farLe una domanda, una sola, ma molto diretta: cosa pensa della decisione di elevare su alcuni tratti autostradali il limite massimo di velocità a 150 km/h?
La domanda è impegnativa, perché la decisione in questione va inquadrata nel contesto di tutte le modifiche apportate al codice della strada. La risposta non può essere quindi sintetica. Siamo, d’altra parte, su un terreno molto complesso, che richiede un’attenta distinzione tra fatti ed opinioni. E a proposito di fatti, consideriamo come vanno ancora oggi le cose: i 150 km/h sono già nella pratica la velocità di crociera di molti veicoli, troppi. Sicuramente questa non è un’impressione, perché obiettivamente percepibile da ognuno, sia in base al proprio tachimetro, sia per la rapidità con cui questi veicoli si avvicinano dopo aver lampeggiato da lontano, sia per l’onda di pressione che ci investe nel momento in cui ci sorpassano.
Sere fa, seguendo una puntata della nota serie televisiva “Star Trek”, mi ha colpito una frase che il capitano dell’Enterprise diceva ad un suo ufficiale a proposito di un problema dell’ astronave: “L’ottimismo non altera le leggi della Fisica”. Parole sante. Per quanto si possano avere opinioni diverse, certamente sulla fisica possiamo essere tutti sufficientemente d’accordo. Quindi, semplificando le cose ai fini di una maggiore comprensibilità, partiamo dalla fisica.
Quando un corpo si muove uniformemente, questo possiede un’energia in proporzione al quadrato della sua velocità. Questa “energia di movimento” (energia cinetica) è anche pr
oporzionale alla massa che si muove, e risulta:


 
 
1
 
Ec
=

mv2
 
 
2
 

dove m è la massa del mobile e v la sua velocità.
Dunque, alla stessa velocità, un camion carico ha più energia cinetica di un’automobile col solo conducente. E questo, peraltro, coincide con quello che il buon senso suggerisce.
Prescindendo dalla massa del veicolo, supposta costante, se a 20 km/h ho 400 punti di energia (20 x 20 = 400), a velocità doppia, 40 km/h, ne ho 1600 (40 x 40 = 1600): in altre parole, raddoppiando la velocità, l’energia di movimento quadruplica.
Se dobbiamo improvvisamente arrestare il nostro veicolo, ad esempio per evitare uno scontro, dobbiamo scaricare tutta questa energia, cosa che avviene per attrito, frenando. Eliminare tutta l’energia cinetica è vitale: per esempio, se siamo a 100 km/h e scarichiamo il 99% della nostra energia, quel poco che ne resta (1%) comporta un impatto non già a 1 km/h come sembrerebbe a prima vista, bensì a 10 km/h!
Se non scarichiamo tutta l’energia cinetica, all’atto dello scontro quella residua si ripercuote sulle strutture del veicolo, deformandole, e su chi sta nel veicolo stesso, provocandogli lesioni, oltre a quelle che già possono essersi verificate per la rapida decelerazione. In termini neuropsicologici il problema di fondo è che noi percepiamo i cambiamenti di velocità (accelerazioni e decelerazioni), ma non l’entità di energia cinetica che accumuliamo (N.B.: si osservi che in queste considerazioni stiamo trattando, per semplicità, le cose dal punto di vista di un solo veicolo: si tenga sempre presente però che – in caso di scontro - l’energia complessiva in gioco non è solo quella del veicolo su cui uno viaggia, ma anche quella dell’altro veicolo contro cui avviene l’impatto).
Ma torniamo alla velocità. A 130 km/h ho 16.900 punti di energia (130 x 130= 16.900), a 150 km/h ne ho 22.500 (150 x 150 = 22.500), con un incremento di energia cinetica del 33.1% rispetto a quella che avevo a 130 km/h. Consideriamo poi che a 130 km/h stiamo viaggiando a 36.4 metri al secondo, a 150 km/h a 42.0 metri al secondo. Per avere un’idea concreta di queste velocità, si pensi che un centometrista di valore (10 secondi netti) corre a poco più di 35 km/h e che un campione immaginario che riuscisse a percorrere i 100 metri in 9 secondi netti non raggiungerebbe ancora i 40 km/h (correrebbe a 39.7 km/h). D’altra parte, in caso di situazione critica, prima dobbiamo percepire i segnali “fisici” di tale situazione, poi riconoscerla come pericolosa, poi ancora decidere cosa fare ed infine farlo: e questo richiede del tempo al nostro cervello. Supponiamo che tale tempo sia circa un secondo, questo vuol dire che se siamo a 100 km/h cominciamo a frenare dopo aver percorso 28 metri dalle prime avvisaglie di pericolo; ma se abbiamo bevuto, o siamo intorpiditi dalla sonnolenza, o se siamo distratti (magari dal cellulare), o altro ancora, e ci mettiamo 2 secondi, allora la frenata comincia nei fatti dopo aver percorso 56 metri!
E’ evidente che all’aumentare della velocità si accorcia il tempo a disposizione per prendere provvedimenti e cresce lo spazio netto di frenata (quello percorso da quando si comincia a frenare sino all’arresto del veicolo), che – è bene ricordarlo – va anch’esso col quadrato della velocità (in condizioni medie, a 50 km/h, dopo aver frenato, per fermarsi ci vogliono circa 25 metri, a 100 km/h circa 100 metri). Lo spazio di frenata complessivo è quindi la somma di quello percettivo-decisionale e di quello legato all’azione frenante stessa. E’ bene inoltre aver chiaro che i tempi medi che comunemente si considerano per la durata della fase percettivo-decisionale (in genere tra 0.7 secondi – 1.5 secondi) provengono da studi di laboratorio, e sono a mio parere molto ottimistici in quanto in queste prove il soggetto si aspetta un segnale e sa cosa deve fare in risposta: non c’è molto da riconoscere né da decidere (il soggetto lo sa già). Inoltre, il soggetto sa di essere osservato e, in genere, la sua “performance” è migliore di quella che avrebbe in realtà su strada. Questo è comunque un limite che riguarda tutte le prove su simulatore. Lo spazio netto di frenata è poi molto aleatorio perché dipende in concreto, oltre che dalla velocità, dalla massa, dal sistema frenante, dallo stato dei pneumatici, dalla natura del fondo stradale, dalle condizioni atmosferiche, e da altre variabili ancora.
In conclusione, maggiore è la velocità più impegnativi – a parità di condizioni - appaiono i problemi di sicurezza.
Detto questo, però, bisogna obiettivamente considerare che lo stesso ragionamento fatto per i 130 e i 150 lo si può fare a ritroso, come ad esempio per i 130 km/h verso i 110 km/h: in questo caso abbiamo a 110 km/h 12.100 punti di energia e a 130 km/h 16.900, con un incremento dell’energia pari al 39.7%. E così scendendo, sino ad arrivare a velocità zero dove, tuttavia, se uno ha la sfortuna di perdere l’equilibrio o di inciampare malamente, può sempre procurarsi un brutto trauma cranico o qualche grave frattura e, al limite, anche morire.
Il vero problema, dunque, appare il seguente: dove porre al meglio il limite di velocità massima? E’ una domanda che non ha una risposta univoca: se è vero che quando il limite va verso il basso si può rallentare la circolazione; e se va troppo in alto si possono acuire i problemi della sicurezza, è anche vero che il tutto deve essere rapportato allo specifico contesto stradale (non a caso abbiamo limiti differenziati per zona urbana e zona extraurbana).
Alla luce di tutto questo, credo sia chiaro che innalzare il limite – sia pur su alcune tratte ritenute idonee – presenta aspetti particolari, che dovrebbero essere considerati con attenzione al fine di evitare indesiderati “effetti collaterali”.
I punti a mio parere più importanti, da tenere presenti nell’applicazione della nuova normativa, ritengo siano:
1) il limite massimo dei 150 km/h, che scenderebbe comunque a 110 km/h sotto condizioni atmosferiche avverse (precipitazioni di qualsiasi natura), riguarderà un numero limitato di tratte, previa valutazione dell’idoneità del tracciato, dei flussi di traffico, dell’incidentalità rilevata nell’ultimo quinquennio. Essendo tali valutazioni effettuate dai gestori delle tratte, sembra necessario che queste siano rigorosamente validate con metodo standardizzato, e con eventuali controlli di conferma di quanto riportato, da un organismo centrale (come peraltro appare evincersi dalla direttiva del 30/4/2004);
2) è ben chiaro che non solo l’ambiente stradale deve essere adeguato alla velocità massima consentita, ma anche i veicoli e i conducenti. All’elevazione del limite, oltre al verificare che le caratteristiche di sicurezza della strada siano (e permangano) idonee, dovrebbero corrispondere anche controlli molto più frequenti e mirati sullo stato dei veicoli (pneumatici, freni, luci, ecc.) e sulle condizioni psicofisiche e comportamentali dei conducenti (guida sotto l’influenza di alcol o sostanze, guida scorretta o aggressiva, velocità pericolosa, ecc.); 3) poiché l’innalzamento del limite potrebbe apparire a molti conducenti in controtendenza con numerosi messaggi comunemente veicolati per una maggior prudenza alla guida, sembra razionale rinforzare negli utenti tutti la percezione del rischio legato alla velocità, anche intensificando i controlli della stessa su tutta la rete;
4) un punto delicato è quello che riguarda il ritiro della patente per superamento del limite di velocità: se si applicasse il criterio dei 40 km/h oltre il limite, il ritiro della patente - come da molti segnalato - sarebbe possibile solo dopo il superamento dei 200 km/h (56 m/s)! Ma dove sta scritto che quel che può aver senso per un limite di 130 km/h debba averlo anche per uno 150 km/h? A questo proposito, credo sarebbe opportuno fissare come limite per il ritiro della patente i 170 km/h, quale che sia la velocità massima consentita sulla tratta (130 o 150 km/h che siano), possibilmente aumentando il numero di punti sottratti e relative sanzioni;
5) sempre ai fini di una visione complessiva dei problemi, credo che due azioni collaterali potrebbero essere prese in considerazione: i) bisognerebbe chiarire bene una volta per tutte agli italiani, anche prima che si cominci a guidare un veicolo, che la velocità massima non è la velocità cui uno è obbligato ad andare, ma un muro insuperabile. Diciamocelo con franchezza: una buona parte dei conducenti se vede un limite di 80 km/h si sente in dovere di viaggiare ad 80 km/h (magari a 90, tanto… più o meno siamo lì…). Un limite di 150 km/h presuppone una velocità di crociera generalmente inferiore – talora anche sensibilmente – al limite stesso, correttamente adeguata al contesto (e analogamente per limiti di 130 km/h o 50 km/h che siano).
ii) andrebbe considerata la possibilità di ritoccare il valore dei punti perduti, in quanto attualmente non sempre questi riflettono il rischio fattualizzato dal conducente. Tanto per non restare nel vago, oggi chi non porta la cintura di sicurezza perde cinque punti; chi supera il limite di velocità tra i 10 e i 40 km/h ne perde due. Ora, chi non indossa i dispositivi è deleterio socialmente perché, a parte i problemi che può creare per sé e per la propria famiglia, se si fa male assorbe maggiori risorse sanitarie e riabilitative; ma rischia sostanzialmente sulla propria pelle. Chi va a velocità eccessiva rischia la propria e l’altrui salute: e questo è più grave. Viene da pensare che forse per i dispositivi basterebbe togliere un punto o due (e attivare una raffica sistematica di controlli, e conseguenti multe, tali da contribuire al risanamento dei bilanci pubblici), mentre per l’eccesso di velocità si potrebbero incrementare i punti perduti in modo da escludere rapidamente dal sistema “circolazione” chi insistesse in un comportamento così pernicioso;
6) in ultimo, se al provvedimento dovesse corrispondere un aumento della sinistrosità stradale e delle sue conseguenze sanitarie (e la valutazione potrebbe essere già effettuata anche nel primo anno di applicazione del provvedimento), sarebbe razionale rivedere il limite, come d’altra parte già previsto dalla direttiva citata.
In un certo senso, a mio parere, il tutto dovrebbe avere un preciso carattere di sperimentazione.
In conclusione, allora, Lei cosa ne pensa?
Alla luce di quanto detto, in particolare del fatto che la sicurezza è correlata anche alla velocità, ritengo che il risultato di questa decisione dipenderà da come verrà seguito il tutto. Mi auguro, in particolare, che vengano intensificati sulle tratte interessate i controlli dei veicoli e dei conducenti.
Comunque, al di là di questo problema specifico, credo sia necessario su tutta la rete stradale incrementare azioni – di controllo e di informazione - dirette a far sì che, quali che siano i limiti di velocità, i comportamenti degli utenti divengano sempre più strettamente congruenti con il Codice della Strada e, quindi, con la sicurezza di tutti.

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Biografia di Franco Taggi
Laureato in fisica all’università di Roma, ha sin dall’inizio della carriera dedicato la sua attenzione a problemi di interesse medico, epidemiologico e di sanità pubblica. Già dalla prima metà degli anni ’70 ha attirato l’attenzione sui problemi sanitari derivanti dagli incidenti stradali e sulla necessità di attivare azioni di prevenzione in merito. Negli anni ’80-‘90, in qualità di direttore del reparto “Metodologie e Modelli Biostatistici” dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha contribuito alle leggi sull’uso obbligatorio del casco e delle cinture di sicurezza, alla definizione del tasso alcolemico limite per i conducenti ed alla sua determinazione strumentale, come pure al Piano Nazionale della Sicurezza Stradale per quanto relativo agli aspetti sanitari dell’incidentalistica stradale. Dal 2004 è direttore del reparto “Ambiente e Traumi” nel Dipartimento “Ambiente e connessa prevenzione primaria” dell’ISS, diretto dalla dott.ssa Luciana Gramiccioni, dove si occupa oltre che di sicurezza stradale, dell’epidemiologia e della prevenzione degli incidenti e della violenza.
Il gruppo diretto dal dott. Taggi realizza nei fatti la necessità di un approccio multidisciplinare a queste problematiche: di esso fanno parte, tra gli altri, un informatico-statistico, un epidemiologo, un esperto di codifica dei traumi, un medico delle dipendenze, una psichiatra, un antropologo, un economista, una comunicatrice, un filosofo-metodologo, una sociologa. Dal 1980 ad oggi il dott. Taggi ha ininterrottamente svolto attività didattica presso l’università di Roma “La Sapienza”, in particolare nell’ambito della Scuola di Specializzazione in Fisica Sanitaria, di cui cura la materia “Statistica ed informatica nelle applicazioni sanitarie II”.
Autore di più di cento pubblicazioni internazionali, e di circa 300 su riviste nazionali, è stato anche autore, coautore o curatore di numerosi volumi, molti dei quali riguardanti i problemi connessi con la sicurezza degli ambienti di vita.
 

 

Lunedì, 13 Giugno 2005
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