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Articoli 17/09/2011

Dedicato a Donne che hanno amato la divisa

 
Non vogliamo celebrare eroi, in queste pagine, perché in fondo la retorica non ci piace. Ci fa solo male, ci dà la sensazione di piangerci addosso. Ci sono storie da raccontare, semmai, a volte a denti stretti, altre ancora con le lacrime agli occhi, ma sempre con tutto l’amore di cui siamo capaci. Sono storie di donne che ci hanno lasciato, che sono “partite” da dove noi ricominciamo ogni giorno, quando facciamo il nodo alla cravatta della divisa e quando finito il turno lo sciogliamo di nuovo, scandendo il ritmo della nostra vita. Raccontarle insieme, queste storie, è un tributo alla forza di quelle donne, alla loro capacità di farci sentire comunque protetti e che sentiamo come un privilegio: perché quelle donne sono tutte un po’ speciali. Erano belle, bellissime, come possono esserlo le donne che si realizzano, che raggiungono il sogno di una vita che hanno lasciato quasi subito, e comunque troppo presto. O che hanno visto cambiata la loro esistenza di mogli di un uomo impegnato fuori con noi, ogni giorno armi in spalla per marciare verso il fronte che c’è fuori di ogni porta di casa. Uomo che non è tornato. Credeteci quando vi diciamo che non è facile scrivere di loro, che è stato doloroso ancora una volta parlare con chi le ha conosciute, con chi le ha messe al mondo e le ha cresciute, fino al momento in cui alla porta di casa si è presentata una divisa familiare col viso atterrito di chi deve dare una terribile notizia. Però glielo dobbiamo. È l’unico atto d’amore di cui siamo capaci, oggi, per non permettere che il mondo vada troppo avanti senza mai guardarsi indietro. Raccontiamo quattro storie, perché sono quelle delle donne che più abbiamo vicino, ma non dimentichiamo le altre. Sono nei nostri cuori, nella nostra gratitudine.

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Gabriella Vitali
nel giorno
del matrimonio con
Luigi D’Andrea




























 
Storia di Gabriella
Gabriella Vitali D'Andrea è la moglie fedele di Luigi, un “soldato” arruolato giovanissimo nei ranghi delle Guardie di PS, che era riuscito a diventare brigadiere e che era in servizio dove tutti i poliziotti dell’epoca ambivano: la Polizia Stradale. Morì ammazzato, insieme al suo compagno Renato Barborini, il 6 febbraio 1977. Un bandito feroce e la sua banda incrociarono la rotta dei due Centauri, che reagirono al fuoco ma che pagarono con la vita l’essere dalla parte giusta (vedi servizio a pagina 48). Da quella mattina, la vita di Gabriella è un continuo atto d’amore, ed è come se quella divisa che il suo Luigi quel giorno non poté levarsi da solo, l’avesse indossata lei per sempre. “Di quel giorno ricordo ogni minuto. Sono le 6 e mezzo e Luigi è pronto per uscire. Bellissimo, nella sua divisa, onestamente e orgogliosamente portata. Avrei dovuto alzarmi per preparare il caffé, come sempre, ma stranamente Lui mi chiede di rimanere a letto. Dopo un bacio, dispettoso come sempre, mi fa il solletico ed aggiunge un ciao amore, ci vediamo a pranzo”. È come se Gabriella ti stringesse forte le mani, mentre racconta quel momento che rivive ogni giorno da allora. Dopo 4 ore suonarono alla sua porta “… e mi trovo di fronte un collega in compagnia del cappellano. Mentalmente penso …ma vedi un po’, cercano Luigi e non sanno nemmeno che Lui è di turno… cose da pazzi… Nel giro di pochi secondi, tutto cambia. Il mondo cambia. Luigi ha avuto un incidente, dicono. Luigi è morto aggiungo io, raggelando i due ambasciatori”. Certe cose si sentono. Gabriella lo sente. “… riuscii a vederlo solo nel tardo pomeriggio, steso su un tavolaccio e ancora assorto nella sua divisa. Come dirlo alle bambine? Già, 6 e 3 anni. Non è semplice e solo al pensiero di doverlo fare vorrei morire anch’io, ma è un lusso che non mi posso permettere. Lucia e Giovanna sono Luigi, sono il suo sangue, la sua carne, il suo bene più prezioso”. Non ci sono cronisti in momenti come questo. Siamo nelle mura di una casa stordita dell’accaduto e atterrita dell’avvenire. Ci sono solo loro, le vittime rimaste in vita, quelle alle quali tutti dicono che si deve andare avanti, che bisogna farsi coraggio. “Sono passate più di 24 ore, prendo le bambine e le siedo sul tavolo, in modo che i loro occhi guardino i miei. Racconto loro la verità, vogliono i particolari. Un silenzio interminabile cala su di noi, ci guardiamo per attimi interminabili, pietrificate. Ma il peggio doveva ancora venire. Del Papà, di Papà Gigino, abbiamo parlato ogni giorno, per esorcizzarne la mancanza… o meglio, la presenza. Chiedevano, volevano sapere. Lo volevano conoscere, ma non è stato loro concesso. A Lucia e Giovanna hanno rubato anche i ricordi. Il trauma è stato così grande che hanno perso ogni ricordo. Tutto cancellato”. Papà Luigi è con loro ogni istante della vita, eppure non c’è. “Non finisce tutto con un bel funerale. Da lì comincia invece una vita rattoppata alla meglio, comincia la sofferenza di coloro che hanno perduto il loro Angelo in Giacca Blu… Si comincia a scontare una pena a vita per gli errori altrui”.

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Sabrina
Pagliarani


























 
Storia di Sabrina
Angeli in giacca blu… Come possiamo dimenticare Emanuela Loi? Era uno degli Angeli di Paolo Borsellino, e morì con lui in via d’Amelio, a Palermo, il pomeriggio del 19 luglio 1992. Saltò in aria con tutta la scorta, divenendo la prima donna poliziotto a cadere in servizio. Il suo viso apparve su tutti i giornali, su un francobollo e per le ragazze che varcano la soglia della scuola allievi è sempre stata il simbolo della loro scelta. Probabilmente lo fu anche per Sabrina Pagliarani, la seconda a cadere, la prima della Stradale. La violenza che l’uccise, il 30 settembre 1994, è più silenziosa di una bomba, ma capace di altrettanta crudeltà, pur senza una miccia, pur senza un detonatore, pur senza un movente. Aveva 24 anni quando decise di mettersi la divisa. Lasciò Cervia per Senigallia, dove 6 mesi più tardi, superato il corso, le dettero anche gli stivali e venne assegnata alla sottosezione autostradale di Busto Arsizio. Al volante delle Alfa 90, si calò subito nella parte, tanto che pochi mesi dopo venne promossa al rango di capopattuglia e la nuova vita cominciò a piacerle davvero. Sera, pomeriggio, mattina e notte, poi il riposo. Come un metronomo la vita di un agente di pattuglia è questa: scandita dal turno, programmata in funzione di ciò il giorno dopo e tutti i mesi a venire. “La mattina del 30 settembre 1994, il comandante della Polizia Stradale di Forlì suonò alla porta di casa e ci disse che Sabrina aveva avuto un incidente in servizio…” Enzo, il papà di Sabrina, capì subito che le cose non stavano così. Due agenti accompagnarono lui e la mamma della giovane poliziotta all’ospedale di Como. Qualche ora prima, nella notte, la Sabrina aveva dato l’alt ad un camion tedesco, che aveva superato un limite di avanzamento per la chiusura della frontiera svizzera. Prese i documenti dalle mani dell’autista e tornò indietro verso l’Alfa, ma il tir fece marcia indietro e l’investì. “Non so per quale motivo prese la decisione di arruolarsi… semplicemente si appassionò e fece il concorso. Qualche mese dopo partì e capii che era molto contenta del lavoro che faceva. L’avevano promossa capopattuglia, nel giro di pochi mesi”. In una manciata di settimane, raggiunto l’apice della vita, la dolcissima Sabrina ci lascia. I suoi bellissimi occhi si chiusero 12 anni fa nell’ambulanza che la portava all’ospedale di Como, senza francobolli in sua memoria, senza aperture dei telegiornali a turbare il sonno tranquillo della gente che così intensamente aveva deciso di difendere. Resta di lei il ricordo dei suoi colleghi di allora, e la voce calda di Enzo, il papà che ci racconta di lei. Triste.

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Federica Barbiero
Agente della Polizia
Municipale di Savona























 
Storia di Federica
Federica Barbiero è partita da noi il 10 maggio 2005. Il suo cuore era quello di una ragazza esplosiva, come la coppia della Honda Hornett 600 che l’aspettava in garage. “Era molto attaccata alla sua moto e prese la patente giovanissima… cominciò così a mettersi in testa che voleva fare la vigilessa, che voleva stare in sella ad una dueruote…” Maura è la mamma di Federica agente della Polizia Municipale di Savona. Parla di sua figlia al presente, sente ancora le carezze che non ha mai smesso di scambiarsi con lei. Sente i suoi pensieri, le sue parole. Ha la voce gentile, orgogliosa della creatura felice che ha sempre avuto al suo fianco, e che un giorno di 9 anni fa tornò dal comune sventolando un foglio… Mi hanno presa, comincio subito! Gioia, felicità, orgoglio, sotto gli occhi stupiti del papà, segretario comunale che le aveva imposto di fare tutto da sola. Detto e fatto… Federica mette la prima divisa in un comune piccolo, Borghetto Santo Spirito, in provincia di Savona, non lontano da Cengio, dove vive con i suoi e dove la sua vita è cominciata il 30 novembre 1976. Nemmeno Maura riesce a dire tutto quello che vorrebbe… La nostalgia, la mancanza, il dolore, sono spettri per chi sopravvive ad un proprio figlio con i quali non c’è verso di trovare pace… “I primi quattro anni passano in fretta, e Federica riesce a farsi trasferire a Savona. È una città più grande, ci sono maggiori prospettive. E lei è così creativa, così entusiasta che la Questura le affida il compito di allestire il gabinetto scientifico della Polizia Municipale… Un compito delicato”. Ma il richiamo della pattuglia è fortissimo. La sua foto è stata scattata il capodanno 2005, pochi mesi prima che ci lasciasse. “Non aveva un fidanzato e allora si offrì di sostituire un collega che si era sposato da poco. Era raggiante, quella era la sua vita e la viveva con tutta ‘l’intensità di cui era capace…” In sella alla sua moto di servizio, il 10 maggio 2005, Federica scorta coi Carabinieri e con i cuoi colleghi un convoglio militare. La strada è chiusa, ma un’auto manca uno stop e la urta sulla borsa posteriore. La moto, la sua moto, si imbizzarrisce e lei cade a terra, finendo investita dallo stesso camion che stava scortando al porto. “Mi hanno detto che non si è accorta di nulla, che non ha sentito male. Se è vero, ve lo dirò quando potrò stare di nuovo con lei, quando mi racconterà. Era serena, era felicissima, era ‘l’incarnazione della giovinezza”. I suoi colleghi della Polizia Municipale di Savona hanno organizzato per ricordarla un concorso di poesia. Federica lo meritava.

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Laura Battisti
Agente della
Polizia di Stato
di Roma




















 
Storia di Laura
Vita di sbirro, la sua. Di sbirro esperto, in prima linea. Qualcosa non va, mentre torna a casa insieme al fidanzato, anche lui Giacca Blu: vedono delinquenti in azione, e un attimo dopo aver tirato il freno a mano si lanciano all’inseguimento. Aiutano i Carabinieri a catturare un paio di topi d’appartamento e si precipitano nell’androne di un palazzo. Sale a perdifiato, segue il suo uomo e gli altri del mestiere. La corsa continua sul tetto, come nei film che qualcuno di noi vive ogni giorno. Un piede di Laura affonda in un lucernario e la sua vita finisce poche ore dopo. Laura Battisti, 38 anni, l’abbiamo conosciuta in una foto dopo un lancio d’agenzia. Eppure ci siamo dovuti inchinare subito alla sua levatura e non abbiamo potuto fare a meno di innamorarci di lei. Giuseppe, il padre, è cavaliere all’Ordine del Merito della Repubblica. Non sappiamo perché abbia meritato tale onorificenza, ma sappiamo da chi abbia preso la figlia. “Fin da bambina ci ha mostrato di avere un carattere forte e intransigente, desiderosa di farcela, in ogni cosa. Giovanissima, era già commessa al ministero degli esteri, favorita certo dalla sua bellezza”. Laura è bella davvero. I suoi capelli neri, i suoi occhi sfondano le foto. È determinata mentre si addestra al tiro e posa decisa in uniforme, col basco perfettamente calzato. “Con la sua abituale fermezza, Laura un giorno mi rivolse una richiesta… Papà, voglio entrare in polizia. Feci di tutto per esaudirla e poco dopo mi salutò con la borsa piena delle sue speranze, diretta alla scuola di Pescara… Il resto è noto”. È noto davvero. Era divenuta un’investigatrice della Polizia Scientifica, e non aveva mai mollato per un attimo. Inizialmente ignorata dai media, la storia di Laura ha fatto il giro del Paese, ed oggi la sua fotografia è pubblicata su decine di siti. È questo il suo messaggio? Sono queste le lezioni di vita che sacrifici così estremi possono darci? Siamo stati capaci di raccontarle, queste storie di donne così coraggiose? Possiamo in questo modo contribuire a non perdere la loro memoria, a mantenere fresco l’inchiostro con cui hanno scritto le loro parole silenziose di coraggio, di dedizione e, soprattutto, d’amore? Glielo dobbiamo tutti, per ricambiare quel gesto che hanno fatto proprio per noi, facendo quello che hanno scelto di fare, o restando al fianco di chi hanno sempre amato. 

Da "Il Centauro" n.111


Di Lorenzo Borselli

da "il Centauro"

Sabato, 17 Settembre 2011
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