Foto Blaco Introduzione I
problemi della sicurezza stradale sono oggi sotto l’attenzione di tutti. Le
ragioni di questo interesse appaiono diverse, ma quella più importante sembra
essere l’eco suscitata dall’obiettivo che l’Unione Europea ha proposto ai Paesi
che la costituiscono: diminuire per il 2010 del 50% le conseguenze devastanti
degli incidenti stradali (morti, invalidi, ricoveri, ecc.). Questa decisione
dell’Unione rappresenta una delle prove tangibili di un profondo cambiamento
culturale che si sta verificando da qualche tempo su questo tema. Per fare un
solo esempio, la visione (da tempo confutata) dell’ineluttabilità degli
incidenti stradali sta lentamente scomparendo: l’evidenza che questi eventi
possono essere prevenuti con efficacia si sta imponendo a tutti i livelli, tra
il pubblico, tra i decisori. Ciononostante, l’impressione di chi scrive è che -
sia pur nel favorevole cambiamento di scenario - alcuni concetti fondamentali
che sono alla base di scelte e decisioni volte a migliorare la sicurezza
stradale restino ancora troppo vaghi, anche tra gli addetti ai lavori. Invero,
le cose non sono così semplici in quanto gli incidenti stradali costituiscono
un fenomeno di “sistema” ad elevata complessità; tuttavia, per quanto arduo possa apparire, vale
sempre la pena tentare di esplicitare con accresciuta chiarezza certi punti di
comprensione non immediata, che sono alla base di un approccio razionale al
fenomeno e al suo controllo. In questo ordine di idee, nel breve articolo che
segue cercherò di mettere a fuoco quattro concetti-base: - quello di “Fattore
di Rischio”; - quello di “Forza” del fattore di rischio; - quello di
“Prevalenza” del fattore di rischio”; - quello di “Impatto” del
fattore di rischio (in base alla sua forza e alla sua prevalenza) sul quadro
osservato dell’incidentalità. Il
“Fattore di Rischio” Per
“Fattore di Rischio” si intende una certa caratteristica che, se
presente in un soggetto, tende a rendere più probabile il realizzarsi di un
certo evento indesiderato (più probabile rispetto a quanto può accadere ad un
soggetto a lui molto simile, che però non presenta la detta caratteristica).
Per chiarirci le idee, supponiamo che la caratteristica in questione sia quella
di fumare tabacco e che l’evento indesiderato sia l’insorgenza di un tumore
polmonare. Orbene,
numerosi studi dimostrano che la probabilità di ammalarsi di tumore polmonare
entro un dato periodo di tempo è maggiore per soggetti che fumano rispetto a
coloro che non hanno mai fumato. Detto in parole crude, in un periodo di 20
anni, un gruppo di 1000 fumatori “produrrà” più casi di tumore polmonare che
non un gruppo di 1000 non-fumatori, simili ai primi per sesso, età ed altre
caratteristiche. Mettere in luce una relazione di questo genere non è sempre
semplice come potrebbe apparire a prima vista, ma è possibile: studi di questo
tipo fanno parte di una disciplina a cavallo tra la statistica e la medicina,
che viene chiamata “Epidemiologia”. Nel momento in cui disponiamo di prove
concrete sull’effetto indesiderato della caratteristica in studio, potremo
indicare detta caratteristica come “Fattore di Rischio”. Riferendoci all’esempio
precedente, possiamo oggi affermare che il fumo di tabacco è inequivocabilmente
un fattore di rischio per l’insorgenza di tumore polmonare. Si osservi che un
certo fattore può essere un fattore di rischio per più eventi indesiderati:
sempre in relazione al fumo di tabacco, esso risulta fattore di rischio anche
per altri tipi di tumore, malattie cardiovascolari, broncopneumopatia cronica
ostruttiva, enfisema, ed altro ancora. Venendo alla sicurezza stradale, di
fattori di rischio ben studiati e messi in luce, ce ne sono molteplici. D’altra
parte, la guida di un veicolo è un’attività delicata e complessa che può essere
“disturbata” in innumerevoli modi. Ad esempio, è ormai ben noto che guidare
dopo aver consumato bevande alcoliche rende più probabile che il conducente si
renda responsabile di un incidente stradale grave o mortale. Questo vuol dire,
parafrasando quanto esposto nel caso del fumo, che 1.000 conducenti che guidano
sotto l’influsso dell’alcol “produrranno” in un dato periodo più incidenti
stradali rispetto a 1.000 conducenti che, a parità di tutte le altre
condizioni, guidano sobri. La
“Forza del Fattore di Rischio” Una
volta provato che una certa caratteristica è fattore di rischio per un certo
evento indesiderato, sembra importante chiedersi di “quanto” essa aumenti il
rischio nei soggetti che la presentano rispetto a quelli che non la presentano.
In altre parole, sempre riferendoci al fumo di tabacco, se questa abitudine
aumentasse la probabilità di ammalarsi di tumore polmonare del 3% sarebbe un
conto; ben diversa apparirebbe la cosa se la probabilità aumentasse del 50% o
del 150%. Tanto per la cronaca, il fumo aumenta questa probabilità del 2370%!
Dunque, anche se chi non fuma ha comunque una certa probabilità di ammalarsi di
tumore polmonare, questa probabilità cresce in chi fuma di circa 24 volte. A
questo punto viene naturale introdurre come misura della “forza” del fattore di
rischio quello che si chiama “Rischio Relativo”. Questa grandezza, che
indicheremo nel seguito con la scrittura RR, è un numero puro dato dal rapporto
tra la probabilità di “generare” l’evento indesiderato tra chi presenta il
fattore di rischio e quella di chi non lo presenta. Riferendoci all’esempio
prima dato, il fumo comporta un rischio relativo di ammalarsi di tumore
polmonare pari circa a 24. Nella pratica, quindi, dati due gruppi equinumerosi
di soggetti simili in tutto, tranne per il fatto che il primo è costituito da
persone che non hanno mai fumato e il secondo da fumatori, se in un certo tempo
nel primo gruppo una persona si ammala di tumore polmonare, nel secondo se ne
ammaleranno circa 24! Tornando alla sicurezza stradale, il rischio relativo
(rispetto a chi è sobrio) di provocare un incidente grave o mortale guidando in
stato di ebbrezza cresce molto rapidamente con la quantità di alcol presente
nel sangue del conducente (si osservi che questo avviene anche col fumo: più
sigarette si fumano più elevato è il rischio di ammalarsi di qualcosa di poco
piacevole). La
misura della quantità di alcol che il soggetto ha in circolo si chiama
“Alcolemia” e viene espressa in diverse unità, in genere in termini di
peso-volume (peso dell’alcol contenuto in un certo volume di sangue). Una sigla
spesso usata è BAC, acronimo di “Blood Alcohol Concentration”. Nel seguito
useremo come unità i milligrammi di alcol per 100 millilitri di sangue
(mg/100ml). Dunque, dire che un soggetto ha alcolemia pari a 70 mg/100ml
significa che in 100 ml di sangue del soggetto ci sono 70 milligrammi di alcol
puro. In base a molte sperimentazioni effettuate (anche su simulatori di guida)
si è visto che alcuni soggetti risentono degli effetti negativi dell’alcol già
con alcolemie di appena 20mg/100ml; e questi effetti crescono rapidamente di
intensità all’aumentare dell’alcolemia, riguardando alfine la totalità dei
soggetti. Effettuando studi epidemiologici su conducenti che avevano causato
incidenti e su altri che non ne avevano causati (controlli), si è però messo in
luce che una reale pericolosità alla guida di chi ha bevuto rispetto a chi è
sobrio comincia ad evidenziarsi solo per alcolemie superiori a 50mg/100ml. Alla
luce di questo risultato, confermato da più ricerche, il limite legale
dellʼalcolemia dei conducenti è stato perciò fissato pari a 50mg/100ml, ovvero
0.5g/l (ciononostante, ci sono molte ragioni che segnalano come sarebbe bene
evitare sempre di assumere bevande alcoliche, anche in modesta quantità, se poi
si deve guidare). I numerosi studi epidemiologici svolti per quantificare
l’andamento del rischio relativo di provocare un incidente grave o mortale al
crescere dell’alcolemia del conducente, trovano tutti una curva del tipo di quella
riportata in fig 1. Sull’asse delle ascisse figura l’alcolemia; su quello delle
ordinate, il corrispondente rischio relativo. I punti rappresentano dati
sperimentali; la curva media l’andamento complessivo dei detti punti. Come si
osserva, questa curva comincia a salire intorno ad un BAC di 50mg/100ml e già a
100mg/100ml il RR è (mediamente) intorno a 5. A 120mg/100ml il RR (sempre
mediamente) supera 10; a 150mg/100ml siamosopra a 30; a 180mg/100ml siamo
addirittura oltre 70. Dunque, ad esempio, dati due gruppi equinumerosi di
conducenti, uno costituito da soggetti sobri, l’altro da soggetti simili in tutto ai
primi ma con alcolemia intorno a 150mg/100ml, se il primo gruppo genererà un
incidente grave o mortale, il secondo ne genererà più di 30! La
“Prevalenza” del Fattore di Rischio Come
abbiamo visto, per avere obiettivi elementi di giudizio il primo passo è
dimostrare se un certo fattore (o caratteristica) è davvero un fattore di
rischio; il secondo passo è invece determinare quanto il fattore aumenta il
rischio (e questo lo si quantifica con il rischio relativo). Ma c’è ancora un
terzo passo da fare, assai importante, per poter decidere la tipologia e
l’urgenza delle azioni di prevenzione da promuovere: quantificare il numero di
soggetti che presentano il fattore di rischio. Cerchiamo di capire meglio la
cosa, riprendendo il discorso sul fumo. Sappiamo con sicurezza, in base a
tantissime ricerche, che il fumo fa male, e molto. Ma se in Italia fumasse
soltanto un certo signor Mario Rossi, il problema non avrebbe quelle
caratteristiche sanitarie drammatiche che invece presenta. Certo, a Mario Rossi
il fumo farebbe comunque male, ma la cosa non avrebbe certo un carattere
“sociale”: sarebbe un problema del signor Rossi, essenzialmente suo. Poiché
invece nel nostro paese i fumatori sono milioni, la faccenda assume ben altri
termini: milioni di fumatori comportano centinaia di migliaia di casi di
malattia che - in assenza dell’abitudine al fumo - non verrebbero a
presentarsi. E il problema diventa allora sociale, per i tanti aspetti umani,
per la spesa sanitaria, per le perdite produttive, e così via dicendo.
E’importante, quindi, per ben regolarsi su cosa fare in termini di prevenzione,
conoscere anche quanti presentano il fattore di rischio, ovvero la proporzione
di questi sulla popolazione in esame. Questa proporzione viene indicata in
epidemiologia con il termine di “prevalenza”. Quando diciamo che le rilevazioni
del sistema Ulisse indicano che l’attuale prevalenza del mancato uso delle
cinture di sicurezza in Italia è pari al 30%, intendiamo dire che su 100
conducenti e trasportati anteriori osservati, 30 non la indossavano. Tenendo
conto che ci sono circa 34 milioni di patenti di guida attive, questo significa
che circa 10.200.000 conducenti (più circa 2.040.000 trasportati, visto che il
tasso medio di occupazione di un veicolo è pari a 1.2) risultano nei fatti non
protetti dalla cintura. In caso di incidente, poiché il rischio relativo di
morire o ferirsi più gravemente per il mancato uso della cintura è circa 2,
questi soggetti avranno - a parità di tipologia di incidente - una probabilità
doppia di morire, come pure lesioni doppiamente gravi rispetto a chi invece
porta la cintura. “Impatto”
del fattore di rischio (e della sua prevalenza) sul quadro osservato
dell’incidentalità Nota
la forza del fattore di rischio (rischio relativo), e la sua prevalenza, è
possibile quantificare con modelli matematici il suo impatto sul quadro
osservato dell’incidentalità (morti, feriti, ecc.), come pure valutare cosa succederà
se si riesce in qualche modo a ridurre la sua prevalenza (o se la prevalenza
aumenta). L’argomento è un poco tecnico, ma credo di poter mettere in luce gli
aspetti di maggiore interesse usando al minimo la matematica. Mi servirò di un
modello deterministico (ulteriormente semplificato per questa occasione) messo
a punto nei primi anni ‘80 allo scopo di valutare preventivamente l’impatto
nella riduzione del trauma cranico grave della futura legge sull’uso
obbligatorio del casco per gli utenti delle due ruote motorizzate. Torniamo
indietro nel tempo e ripercorriamo il ragionamento seguito per costruire uno
strumento (il modello) rivelatosi poi idoneo a stimare quello che sarebbe
accaduto con l’adozione obbligatoria del dispositivo. Innanzitutto, era necessario
essere sicuri che il non-portare il casco fosse realmente un fattore di rischio
per il trauma cranico (ma anche
che l’uso di detto dispositivo non comportasse effetti collaterali): questo
risultava ben evidenziato da innumerevoli studi epidemiologici svolti in paesi
diversi, dove al crescere dell’uso del casco si riscontrava sempre una
riduzione dell’incidenza del trauma cranico, senza che fossero rilevati aumenti
di altre lesioni indesiderate, nello specifico traumi del collo. In secondo
luogo, era necessario conoscere il valore del rischio relativo di trauma
cranico grave in chi non portava il casco rispetto a chi lo portava. Per
stimare questa quantità, fu effettuata una meta-analisi degli studi svolti in
tutto il mondo, e fu così possibile stimare il rischio relativo di riportare un
trauma cranico grave in un incidente delle due ruote non indossando il casco
rispetto a chi invece lo indossava. Risultava RR=2 (circa). In altre parole,
l’evidenza scientifica mostrava che la probabilità di essere vittima di un
trauma cranico grave era doppia nei centauri che non indossavano il casco
rispetto a quelli che lo indossavano. La stessa cosa era peraltro riscontrabile
anche per traumi cranici moderati o minori. Vediamo ora come possono essere
ulteriormente utilizzati questi elementi. All’epoca (primi anni ‘80) quasi
nessuno portava il casco. La prevalenza del non-uso del dispositivo era quindi
pari a circa 100%. Questo 100% di utenti non protetto (ovvero tutti) produceva
nell’anno un certo numero di traumi cranici gravi, diciamolo X. Che
sarebbe accaduto se una certa quota di utenti avesse preso ad indossare il
casco (ovvero se si fosse ridotta la prevalenza del fattore di rischio, nel
caso presente il non uso del casco)? {foto3c} Come si osserva da questa
figura, nella situazione in cui nessuno (100%) indossa il casco si generano in
un certo periodo di tempo (es. un anno) X traumi cranici gravi per
incidenti delle due ruote motorizzate. Supponiamo ora che, in seguito a certi
provvedimenti, questa quota scenda al 60% (ovvero, il 40% indossi il casco).
Nell’anno, evidentemente, lo strato che non porta il casco produrrà un numero
di traumi cranici gravi come avveniva in precedenza, in questo caso pari a 0.6X.
D’altra parte, lo strato protetto (40%) che ne avrebbe prodotti senza
protezione 0.4X, ne produrrà invece la metà, cioè 0.4X / 2 = 0.2X.
Avremo, quindi, in questa nuova situazione un numero totale di traumi cranici
gravi inferiore al precedente, pari a 0.6X + 0.2X = 0.8X.
La corrispondente variazione percentuale del numero dei traumi cranici gravi
tra i due periodi sarà quindi pari a (0.8X - X)/X = -0.2,
che percentualizzata indica una riduzione del 20%. Per comprendere meglio
l’utilità di questo approccio nel valutare come il sistema risponderà a certe
variazioni della prevalenza dei fattori di rischio, prendiamo ora in
considerazione una perniciosa abitudine, in netta crescita: quello dell’uso del
cellulare durante la guida. Proprio quest’anno, studi australiani hanno
definitivamente dimostrato che il rischio relativo di provocare un incidente grave o mortale perché distratti
dall’uso del telefono cellulare durante la guida è molto elevato, addirittura
pari a 4 (lo stesso rischio relativo era stato trovato in precedenza per
incidenti senza feriti). Tanto per capirci, si tratta di un rischio relativo
simile a quello di un conducente che guida con un’alcolemia intorno a
100mg/100ml. I dati del sistema Ulisse riferiscono che attualmente nel nostro
paese circa il 2.5% dei conducenti osservati parlava al telefonino (e questa
prevalenza appare in crescita nelle ultime rilevazioni). Ora, fatti pari ad Y
gli incidenti che si avrebbero se nessuno usasse il cellulare guidando,
nella nuova situazione siamo dinanzi a due strati: uno, pari al 97.5% che non
usa il cellulare e non avendo rischi aggiuntivi produrrà nell’anno 0.975Y incidenti;
l’altro, pari a 2.5% che usando il cellulare non ne produrrà più 0.025Y,
ma 0.025Y*4 = 0.10Y incidenti, quattro volte tanto. Sicché, a
conti fatti, avremo 0.975Y + 0.10Y = 1.075Y incidenti,
ovvero un incremento del 7.5% di tutti gli incidenti (gravi e meno gravi che
siano). Si rifletta attentamente sul fatto che, dato il consistente rischio
relativo in gioco, basta che una piccola quota di conducenti utilizzi il
cellulare durante la guida per dar luogo ad un aumento non trascurabile
dell’incidentalità stradale. Se, come risulta in alcuni paesi, questa quota
raggiungesse il 7% avremmo un incremento ben superiore, pari a 0.93Y+
0.07Y*4 = 0.93Y+ 0.28Y = 1.21Y, cioè del 21%.
Peraltro, il tutto appare nei fatti ancor più critico in quanto i detti studi
epidemiologici hanno mostrato che il rischio in questione resta inalterato
anche se si usa l’auricolare o il viva-voce (e questa quota di conducenti non
viene “contata” nelle osservazioni del sistema Ulisse). Il problema è dunque di
tipo cognitivo, e riguarda in generale lo stato di attenzione del conducente
che risulta “diviso” tra strada e telefonata. I cellulari usati durante la
guida di un veicolo sono una spada di Damocle che incombe sulla sicurezza
stradale del nostro paese. Spero che queste semplici valutazioni servano anche a far comprendere meglio
come si sia in presenza di un allarme rosso (con buona pace dei gestori che nei
loro continui spot televisivi non dicono una sola parola in proposito per
allertare l’utenza). Conclusioni La
sicurezza stradale è materia complessa, che richiede attenzione, cautela e
l’utilizzo di strumenti diversi, provenienti da tante discipline. Al di là di
questo modesto contributo che ho qui proposto mi auguro che, ai fini del
raggiungimento dell’obiettivo per il 2010 dell’UE, la qualità delle
argomentazioni utilizzate per indirizzare le azioni di prevenzione e le risorse
messe a disposizione dal Piano Nazionale della Sicurezza Stradale siano sempre
più basate su metodi scientifici, quantitativi, quali quelli qui mostrati, e
sempre meno sull’emotività o su convinzioni personali destinate a lasciare il
tempo che trovano. *Reparto
“Ambiente e Traumi” Dipartimento Ambiente e connessa
Prevenzione Primaria Istituto Superiore di Sanità [Bibliografia] F. Taggi “Un modello matematico per
valutare la variazione della mortalità
Da “Il Centauro” n.111 |
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