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Articoli 03/05/2007

Appunti di Comunicazione Ostensiva
Fattori di rischio per la sicurezza stradale, loro prevalenza e loro impatto nella genesi dell’incidentalità

 

 

Foto Blaco

Introduzione

 I problemi della sicurezza stradale sono oggi sotto l’attenzione di tutti. Le ragioni di questo interesse appaiono diverse, ma quella più importante sembra essere l’eco suscitata dall’obiettivo che l’Unione Europea ha proposto ai Paesi che la costituiscono: diminuire per il 2010 del 50% le conseguenze devastanti degli incidenti stradali (morti, invalidi, ricoveri, ecc.). Questa decisione dell’Unione rappresenta una delle prove tangibili di un profondo cambiamento culturale che si sta verificando da qualche tempo su questo tema. Per fare un solo esempio, la visione (da tempo confutata) dell’ineluttabilità degli incidenti stradali sta lentamente scomparendo: l’evidenza che questi eventi possono essere prevenuti con efficacia si sta imponendo a tutti i livelli, tra il pubblico, tra i decisori. Ciononostante, l’impressione di chi scrive è che - sia pur nel favorevole cambiamento di scenario - alcuni concetti fondamentali che sono alla base di scelte e decisioni volte a migliorare la sicurezza stradale restino ancora troppo vaghi, anche tra gli addetti ai lavori. Invero, le cose non sono così semplici in quanto gli incidenti stradali costituiscono un fenomeno di “sistema” ad elevata complessità; tuttavia, per quanto arduo possa apparire, vale sempre la pena tentare di esplicitare con accresciuta chiarezza certi punti di comprensione non immediata, che sono alla base di un approccio razionale al fenomeno e al suo controllo. In questo ordine di idee, nel breve articolo che segue cercherò di mettere a fuoco quattro concetti-base: - quello di “Fattore di Rischio”; - quello di “Forza” del fattore di rischio; - quello di “Prevalenza” del fattore di rischio”; - quello di “Impatto” del fattore di rischio (in base alla sua forza e alla sua prevalenza) sul quadro osservato dell’incidentalità.

 Il “Fattore di Rischio”

 Per “Fattore di Rischio” si intende una certa caratteristica che, se presente in un soggetto, tende a rendere più probabile il realizzarsi di un certo evento indesiderato (più probabile rispetto a quanto può accadere ad un soggetto a lui molto simile, che però non presenta la detta caratteristica). Per chiarirci le idee, supponiamo che la caratteristica in questione sia quella di fumare tabacco e che l’evento indesiderato sia l’insorgenza di un tumore polmonare. Orbene, numerosi studi dimostrano che la probabilità di ammalarsi di tumore polmonare entro un dato periodo di tempo è maggiore per soggetti che fumano rispetto a coloro che non hanno mai fumato. Detto in parole crude, in un periodo di 20 anni, un gruppo di 1000 fumatori “produrrà” più casi di tumore polmonare che non un gruppo di 1000 non-fumatori, simili ai primi per sesso, età ed altre caratteristiche. Mettere in luce una relazione di questo genere non è sempre semplice come potrebbe apparire a prima vista, ma è possibile: studi di questo tipo fanno parte di una disciplina a cavallo tra la statistica e la medicina, che viene chiamata “Epidemiologia”. Nel momento in cui disponiamo di prove concrete sull’effetto indesiderato della caratteristica in studio, potremo indicare detta caratteristica come “Fattore di Rischio”. Riferendoci all’esempio precedente, possiamo oggi affermare che il fumo di tabacco è inequivocabilmente un fattore di rischio per l’insorgenza di tumore polmonare. Si osservi che un certo fattore può essere un fattore di rischio per più eventi indesiderati: sempre in relazione al fumo di tabacco, esso risulta fattore di rischio anche per altri tipi di tumore, malattie cardiovascolari, broncopneumopatia cronica ostruttiva, enfisema, ed altro ancora. Venendo alla sicurezza stradale, di fattori di rischio ben studiati e messi in luce, ce ne sono molteplici. D’altra parte, la guida di un veicolo è un’attività delicata e complessa che può essere “disturbata” in innumerevoli modi. Ad esempio, è ormai ben noto che guidare dopo aver consumato bevande alcoliche rende più probabile che il conducente si renda responsabile di un incidente stradale grave o mortale. Questo vuol dire, parafrasando quanto esposto nel caso del fumo, che 1.000 conducenti che guidano sotto l’influsso dell’alcol “produrranno” in un dato periodo più incidenti stradali rispetto a 1.000 conducenti che, a parità di tutte le altre condizioni, guidano sobri.

 La “Forza del Fattore di Rischio”

 Una volta provato che una certa caratteristica è fattore di rischio per un certo evento indesiderato, sembra importante chiedersi di “quanto” essa aumenti il rischio nei soggetti che la presentano rispetto a quelli che non la presentano. In altre parole, sempre riferendoci al fumo di tabacco, se questa abitudine aumentasse la probabilità di ammalarsi di tumore polmonare del 3% sarebbe un conto; ben diversa apparirebbe la cosa se la probabilità aumentasse del 50% o del 150%. Tanto per la cronaca, il fumo aumenta questa probabilità del 2370%! Dunque, anche se chi non fuma ha comunque una certa probabilità di ammalarsi di tumore polmonare, questa probabilità cresce in chi fuma di circa 24 volte. A questo punto viene naturale introdurre come misura della “forza” del fattore di rischio quello che si chiama “Rischio Relativo”. Questa grandezza, che indicheremo nel seguito con la scrittura RR, è un numero puro dato dal rapporto tra la probabilità di “generare” l’evento indesiderato tra chi presenta il fattore di rischio e quella di chi non lo presenta. Riferendoci all’esempio prima dato, il fumo comporta un rischio relativo di ammalarsi di tumore polmonare pari circa a 24. Nella pratica, quindi, dati due gruppi equinumerosi di soggetti simili in tutto, tranne per il fatto che il primo è costituito da persone che non hanno mai fumato e il secondo da fumatori, se in un certo tempo nel primo gruppo una persona si ammala di tumore polmonare, nel secondo se ne ammaleranno circa 24! Tornando alla sicurezza stradale, il rischio relativo (rispetto a chi è sobrio) di provocare un incidente grave o mortale guidando in stato di ebbrezza cresce molto rapidamente con la quantità di alcol presente nel sangue del conducente (si osservi che questo avviene anche col fumo: più sigarette si fumano più elevato è il rischio di ammalarsi di qualcosa di poco piacevole). La misura della quantità di alcol che il soggetto ha in circolo si chiama “Alcolemia” e viene espressa in diverse unità, in genere in termini di peso-volume (peso dell’alcol contenuto in un certo volume di sangue). Una sigla spesso usata è BAC, acronimo di “Blood Alcohol Concentration”. Nel seguito useremo come unità i milligrammi di alcol per 100 millilitri di sangue (mg/100ml). Dunque, dire che un soggetto ha alcolemia pari a 70 mg/100ml significa che in 100 ml di sangue del soggetto ci sono 70 milligrammi di alcol puro. In base a molte sperimentazioni effettuate (anche su simulatori di guida) si è visto che alcuni soggetti risentono degli effetti negativi dell’alcol già con alcolemie di appena 20mg/100ml; e questi effetti crescono rapidamente di intensità all’aumentare dell’alcolemia, riguardando alfine la totalità dei soggetti. Effettuando studi epidemiologici su conducenti che avevano causato incidenti e su altri che non ne avevano causati (controlli), si è però messo in luce che una reale pericolosità alla guida di chi ha bevuto rispetto a chi è sobrio comincia ad evidenziarsi solo per alcolemie superiori a 50mg/100ml. Alla luce di questo risultato, confermato da più ricerche, il limite legale dellʼalcolemia dei conducenti è stato perciò fissato pari a 50mg/100ml, ovvero 0.5g/l (ciononostante, ci sono molte ragioni che segnalano come sarebbe bene evitare sempre di assumere bevande alcoliche, anche in modesta quantità, se poi si deve guidare). I numerosi studi epidemiologici svolti per quantificare l’andamento del rischio relativo di provocare un incidente grave o mortale al crescere dell’alcolemia del conducente, trovano tutti una curva del tipo di quella riportata in fig 1.

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Sull’asse delle ascisse figura l’alcolemia; su quello delle ordinate, il corrispondente rischio relativo. I punti rappresentano dati sperimentali; la curva media l’andamento complessivo dei detti punti. Come si osserva, questa curva comincia a salire intorno ad un BAC di 50mg/100ml e già a 100mg/100ml il RR è (mediamente) intorno a 5. A 120mg/100ml il RR (sempre mediamente) supera 10; a 150mg/100ml siamosopra a 30; a 180mg/100ml siamo addirittura oltre 70. Dunque, ad esempio, dati due gruppi equinumerosi di conducenti, uno costituito da soggetti sobri, l’altro da soggetti simili in tutto ai primi ma con alcolemia intorno a 150mg/100ml, se il primo gruppo genererà un incidente grave o mortale, il secondo ne genererà più di 30!

 La “Prevalenza” del Fattore di Rischio

 Come abbiamo visto, per avere obiettivi elementi di giudizio il primo passo è dimostrare se un certo fattore (o caratteristica) è davvero un fattore di rischio; il secondo passo è invece determinare quanto il fattore aumenta il rischio (e questo lo si quantifica con il rischio relativo). Ma c’è ancora un terzo passo da fare, assai importante, per poter decidere la tipologia e l’urgenza delle azioni di prevenzione da promuovere: quantificare il numero di soggetti che presentano il fattore di rischio. Cerchiamo di capire meglio la cosa, riprendendo il discorso sul fumo. Sappiamo con sicurezza, in base a tantissime ricerche, che il fumo fa male, e molto. Ma se in Italia fumasse soltanto un certo signor Mario Rossi, il problema non avrebbe quelle caratteristiche sanitarie drammatiche che invece presenta. Certo, a Mario Rossi il fumo farebbe comunque male, ma la cosa non avrebbe certo un carattere “sociale”: sarebbe un problema del signor Rossi, essenzialmente suo. Poiché invece nel nostro paese i fumatori sono milioni, la faccenda assume ben altri termini: milioni di fumatori comportano centinaia di migliaia di casi di malattia che - in assenza dell’abitudine al fumo - non verrebbero a presentarsi. E il problema diventa allora sociale, per i tanti aspetti umani, per la spesa sanitaria, per le perdite produttive, e così via dicendo. E’importante, quindi, per ben regolarsi su cosa fare in termini di prevenzione, conoscere anche quanti presentano il fattore di rischio, ovvero la proporzione di questi sulla popolazione in esame. Questa proporzione viene indicata in epidemiologia con il termine di “prevalenza”. Quando diciamo che le rilevazioni del sistema Ulisse indicano che l’attuale prevalenza del mancato uso delle cinture di sicurezza in Italia è pari al 30%, intendiamo dire che su 100 conducenti e trasportati anteriori osservati, 30 non la indossavano. Tenendo conto che ci sono circa 34 milioni di patenti di guida attive, questo significa che circa 10.200.000 conducenti (più circa 2.040.000 trasportati, visto che il tasso medio di occupazione di un veicolo è pari a 1.2) risultano nei fatti non protetti dalla cintura. In caso di incidente, poiché il rischio relativo di morire o ferirsi più gravemente per il mancato uso della cintura è circa 2, questi soggetti avranno - a parità di tipologia di incidente - una probabilità doppia di morire, come pure lesioni doppiamente gravi rispetto a chi invece porta la cintura.

 “Impatto” del fattore di rischio (e della sua prevalenza) sul quadro osservato dell’incidentalità

 Nota la forza del fattore di rischio (rischio relativo), e la sua prevalenza, è possibile quantificare con modelli matematici il suo impatto sul quadro osservato dell’incidentalità (morti, feriti, ecc.), come pure valutare cosa succederà se si riesce in qualche modo a ridurre la sua prevalenza (o se la prevalenza aumenta). L’argomento è un poco tecnico, ma credo di poter mettere in luce gli aspetti di maggiore interesse usando al minimo la matematica. Mi servirò di un modello deterministico (ulteriormente semplificato per questa occasione) messo a punto nei primi anni ‘80 allo scopo di valutare preventivamente l’impatto nella riduzione del trauma cranico grave della futura legge sull’uso obbligatorio del casco per gli utenti delle due ruote motorizzate. Torniamo indietro nel tempo e ripercorriamo il ragionamento seguito per costruire uno strumento (il modello) rivelatosi poi idoneo a stimare quello che sarebbe accaduto con l’adozione obbligatoria del dispositivo. Innanzitutto, era necessario essere sicuri che il non-portare il casco fosse realmente un fattore di rischio per il trauma cranico (ma anche che l’uso di detto dispositivo non comportasse effetti collaterali): questo risultava ben evidenziato da innumerevoli studi epidemiologici svolti in paesi diversi, dove al crescere dell’uso del casco si riscontrava sempre una riduzione dell’incidenza del trauma cranico, senza che fossero rilevati aumenti di altre lesioni indesiderate, nello specifico traumi del collo. In secondo luogo, era necessario conoscere il valore del rischio relativo di trauma cranico grave in chi non portava il casco rispetto a chi lo portava. Per stimare questa quantità, fu effettuata una meta-analisi degli studi svolti in tutto il mondo, e fu così possibile stimare il rischio relativo di riportare un trauma cranico grave in un incidente delle due ruote non indossando il casco rispetto a chi invece lo indossava. Risultava RR=2 (circa). In altre parole, l’evidenza scientifica mostrava che la probabilità di essere vittima di un trauma cranico grave era doppia nei centauri che non indossavano il casco rispetto a quelli che lo indossavano. La stessa cosa era peraltro riscontrabile anche per traumi cranici moderati o minori. Vediamo ora come possono essere ulteriormente utilizzati questi elementi. All’epoca (primi anni ‘80) quasi nessuno portava il casco. La prevalenza del non-uso del dispositivo era quindi pari a circa 100%. Questo 100% di utenti non protetto (ovvero tutti) produceva nell’anno un certo numero di traumi cranici gravi, diciamolo X. Che sarebbe accaduto se una certa quota di utenti avesse preso ad indossare il casco (ovvero se si fosse ridotta la prevalenza del fattore di rischio, nel caso presente il non uso del casco)?
In fig. 2 è sintetizzato in forma grafica il tutto.

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Come si osserva da questa figura, nella situazione in cui nessuno (100%) indossa il casco si generano in un certo periodo di tempo (es. un anno) X traumi cranici gravi per incidenti delle due ruote motorizzate. Supponiamo ora che, in seguito a certi provvedimenti, questa quota scenda al 60% (ovvero, il 40% indossi il casco). Nell’anno, evidentemente, lo strato che non porta il casco produrrà un numero di traumi cranici gravi come avveniva in precedenza, in questo caso pari a 0.6X. D’altra parte, lo strato protetto (40%) che ne avrebbe prodotti senza protezione 0.4X, ne produrrà invece la metà, cioè 0.4X / 2 = 0.2X. Avremo, quindi, in questa nuova situazione un numero totale di traumi cranici gravi inferiore al precedente, pari a 0.6X + 0.2X = 0.8X. La corrispondente variazione percentuale del numero dei traumi cranici gravi tra i due periodi sarà quindi pari a (0.8X - X)/X = -0.2, che percentualizzata indica una riduzione del 20%. Per comprendere meglio l’utilità di questo approccio nel valutare come il sistema risponderà a certe variazioni della prevalenza dei fattori di rischio, prendiamo ora in considerazione una perniciosa abitudine, in netta crescita: quello dell’uso del cellulare durante la guida. Proprio quest’anno, studi australiani hanno definitivamente dimostrato che il rischio relativo di provocare un incidente grave o mortale perché distratti dall’uso del telefono cellulare durante la guida è molto elevato, addirittura pari a 4 (lo stesso rischio relativo era stato trovato in precedenza per incidenti senza feriti). Tanto per capirci, si tratta di un rischio relativo simile a quello di un conducente che guida con un’alcolemia intorno a 100mg/100ml. I dati del sistema Ulisse riferiscono che attualmente nel nostro paese circa il 2.5% dei conducenti osservati parlava al telefonino (e questa prevalenza appare in crescita nelle ultime rilevazioni). Ora, fatti pari ad Y gli incidenti che si avrebbero se nessuno usasse il cellulare guidando, nella nuova situazione siamo dinanzi a due strati: uno, pari al 97.5% che non usa il cellulare e non avendo rischi aggiuntivi produrrà nell’anno 0.975Y incidenti; l’altro, pari a 2.5% che usando il cellulare non ne produrrà più 0.025Y, ma 0.025Y*4 = 0.10Y incidenti, quattro volte tanto. Sicché, a conti fatti, avremo 0.975Y + 0.10Y = 1.075Y incidenti, ovvero un incremento del 7.5% di tutti gli incidenti (gravi e meno gravi che siano). Si rifletta attentamente sul fatto che, dato il consistente rischio relativo in gioco, basta che una piccola quota di conducenti utilizzi il cellulare durante la guida per dar luogo ad un aumento non trascurabile dell’incidentalità stradale. Se, come risulta in alcuni paesi, questa quota raggiungesse il 7% avremmo un incremento ben superiore, pari a 0.93Y+ 0.07Y*4 = 0.93Y+ 0.28Y = 1.21Y, cioè del 21%. Peraltro, il tutto appare nei fatti ancor più critico in quanto i detti studi epidemiologici hanno mostrato che il rischio in questione resta inalterato anche se si usa l’auricolare o il viva-voce (e questa quota di conducenti non viene “contata” nelle osservazioni del sistema Ulisse). Il problema è dunque di tipo cognitivo, e riguarda in generale lo stato di attenzione del conducente che risulta “diviso” tra strada e telefonata. I cellulari usati durante la guida di un veicolo sono una spada di Damocle che incombe sulla sicurezza stradale del nostro paese. Spero che queste semplici valutazioni servano anche a far comprendere meglio come si sia in presenza di un allarme rosso (con buona pace dei gestori che nei loro continui spot televisivi non dicono una sola parola in proposito per allertare l’utenza).

 Conclusioni

 La sicurezza stradale è materia complessa, che richiede attenzione, cautela e l’utilizzo di strumenti diversi, provenienti da tante discipline. Al di là di questo modesto contributo che ho qui proposto mi auguro che, ai fini del raggiungimento dell’obiettivo per il 2010 dell’UE, la qualità delle argomentazioni utilizzate per indirizzare le azioni di prevenzione e le risorse messe a disposizione dal Piano Nazionale della Sicurezza Stradale siano sempre più basate su metodi scientifici, quantitativi, quali quelli qui mostrati, e sempre meno sull’emotività o su convinzioni personali destinate a lasciare il tempo che trovano.

 *Reparto “Ambiente e Traumi” Dipartimento Ambiente e connessa Prevenzione Primaria Istituto Superiore di Sanità

[Bibliografia]

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and the drunk driver”, Human Factors 48, 381-391 (2006)

 

Da “Il Centauro” n.111


© asaps.it

di Franco Taggi*

Da "Il Centauro"
Giovedì, 03 Maggio 2007
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