La cintura di sicurezza? Il passeggero è obbligato ad indossarla se vuole
evitare settanta euro di multa, il conducente a fargliela allacciare se non vuole
finire in Tribunale. Con questa decisione (Cass. pen. sez. VI, sentenza 12
settembre 2006, n. 30065) la Suprema Corte ha affermato anche nel campo
della responsabilità penale, un principio già noto in giurisprudenza civile in
tema di risarcimento del danno. In sostanza chi guida l’auto, al pari del
pilota d’aereo, deve assicurarsi, prima della partenza, che i trasportati
abbiano osservato le regole della sicurezza a bordo poiché, in caso contrario,
risponde direttamente della loro incolumità personale. La decisione ha fatto
naturalmente discutere, presupponendo un potere, da parte di chi sta al
volante, di ordinare un comportamento la cui inosservanza comporta, peraltro,
una sanzione amministrativa direttamente irrogabile al passeggero. Infatti,
l’art. 172 del codice della strada obbliga chi è trasportato, pena la sanzione
di 70 euro, ad allacciare le cinture di sicurezza. Ma un conto è il rapporto
tra il trasportato che non lo fa ed il vigile che controlla e sanziona, altro
conto è la responsabilità di chi guida in caso di incidente. Secondo la
Cassazione, qualora i passeggeri non abbiano allacciato le cinture, il
conducente non deve mettersi in marcia e se lo fa, se ne assume ogni negativa
conseguenza al limite della condanna penale. A sollevare il caso è stata una
signora, automobilista di Asti, che in primo e secondo grado aveva riportato
una lieve condanna
per lesioni personali colpose. La sua negligenza stava, secondo i giudici,
nell’aver omesso di controllare che tutti fossero ben incollati al sedile
mediante quelli che tecnicamente si chiamano dispositivi di ritenuta. Così,
quando ha perso il controllo dell’autovettura andando a collidere, le lievi
contusioni del trasportato le erano state addebitate. La pena irrogata era poco
più che simbolica (200 euro) ma evidentemente, la signora condannata non si
capacitava di come potessero addossarle ogni addebito quando, a non osservare
le norme di comune cautela ancor prima che la legge, era stata la persona
trasportata la quale aveva deciso di viaggiare senza cintura. In proposito la
Cassazione è stata lapidaria: “è obbligo del conducente - ha sentenziato
il Collegio - verificare che i trasportati facciano uso delle cinture di
sicurezza” . Ora la domanda di fondo, nel caso in esame è: con l’uso delle
cinture, le lesioni si potevano evitare? Certamente sì, e su questo le parti si
sono trovate d’accordo. Perciò - ha sostenuto la signora che guidava - era il
passeggero che avrebbe dovuto allacciarle, dato che è un suo obbligo sanzionato
addirittura per legge (art. 172 c.d.s.). Nient’affatto - ha stabilito la
Cassazione - poiché la signora non avrebbe dovuto mettere in marcia il veicolo,
constatato che il passeggero non aveva fatto il suo dovere relativamente
all’utilizzo dei sistemi di ritenuta: senza partire non avrebbe provocato un
incidente; partendo dopo aver controllato il corretto uso del sistema di
ritenuta l’incidente sarebbe accaduto ugualmente ma con esiti meno gravi. In realtà, per verificare che non si tratta di un
orientamento del tutto nuovo basta dare uno sguardo alla giurisprudenza di
merito. All’inizio degli anni ‘90, la Pretura di Milano (sentenza, 23 gennaio
1991) aveva stabilito che dovevano rispondere del reato di omicidio colposo due
conducenti di automobile i quali, nell’impegnare contemporaneamente a velocità
sostenuta, alle due di notte, un incrocio con fondo stradale bagnato e semafori
lampeggianti, senza minimamente curarsi se altri sopraggiungessero, si erano
urtati provocando la morte di una donna priva di cintura di sicurezza, passeggera
di una delle due autovetture. Nella specie, la determinazione percentuale del
concorso di colpa era stata fissata nella misura del venti per cento riguardo
alla violazione dell’obbligo di indossare la cintura di sicurezza e la
rimanente responsabilità era stata attribuita, rispettivamente, per il settanta
per cento al conducente che aveva trasgredito l’obbligo di dare la precedenza,
di moderare la velocità e di far rispettare l’obbligo di indossare la cintura,
e per il trenta per cento all’altro conducente che si era limitato a non
moderare a sufficienza la velocità. Il pretore di Lecco poi nel 1996 aveva
condannato un conducente per omicidio colposo, avendo accertato che durante
l’incidente il malcapitato passeggero non indossava la cintura di sicurezza. Qualche
anno dopo, il giudice di pace di Catanzaro (sentenza, 4 ottobre 2000), aveva
stabilito: “posto che la cintura di sicurezza è una misura introdotta
obbligatoriamente al fine di evitare il rischio di lesioni del conducente o del
passeggero, risponde a titolo di concorso di colpa, nella misura del trenta per
cento, il passeggero danneggiato che non abbia osservato tale obbligo”.
Intorno alla maggiore o minore corresponsabilità nella colpa, tra conducente e
passeggero privo di cintura, oscillerà poi la giurisprudenza civile. In questo
senso è estremamente rilevante un’altra decisione della Cassazione (sentenza 11
marzo 2004, n. 4993) passata pressoché in sordina. Il caso, questa volta è
tragico: l’auto esce di strada, cozza violentemente contro un muro e nel
terribile impatto una giovane trasportata viene addirittura sbalzata fuori
dall’abitacolo e rimane in coma per sempre. Il Tribunale di Ragusa stabilisce
che una piccola percentuale (5%), è da ascriversi all’infortunata che non
indossava la cintura, il resto della responsabilità viene invece ascritta al
conducente che, peraltro, dal sinistro era uscito solo con qualche graffio. In
appello, a Catania, le percentuali di colpa vengono riviste: trenta
all’infortunata, il resto al conducente. Piuttosto articolati saranno poi i
motivi del ricorso in Cassazione. Tra questi, di rilievo, c’è la contestazione
della sussistenza di colpa dell’automobilista. Ritorna lo stesso ragionamento:
il codice della strada obbliga il passeggero ad allacciare la cintura e se non
lo fa è lui che si assume il rischio di maggiori danni e più gravi lesioni,
oltre che di essere direttamente sanzionato (salvo si tratti di minore) dalla
polizia stradale. E se la colpa è tutta sua si applica l’art. 1227, comma 1 del
codice civile, secondo cui il danneggiato non può ottenere il risarcimento
quando lui stesso sia stato causa del danno. Qui però, secondo la Cassazione,
il problema della violazione al codice della strada ed il principio della
responsabilità aquiliana sono da tenersi ben distinti: il passeggero
pagherà la multa, ma deve essere al tempo stesso indennizzato per la parte di
responsabilità che non ha, che poi è la più cospicua.
Tra le forme della colpa
(cioè della negligenza rilevante ai fini del diritto) non c’è solo quella specifica, per inosservanza delle
leggi, ma anche quella generica, che nel caso di specie consiste nell’essersi
messo il conducente in marcia senza pretendere che la ragazza allacciasse la
cintura. Certo, un po’ di colpa si attribuisce a chi non ha utilizzato gli
strumenti di ritenuta, ma questa cooperazione colposa, ricorda la Corte, non
interrompe il nesso causale fra condotta del conducente e danno, né, come la
Cassazione aveva già avuto modo di affermare (sentenza 1816/1982), vale ad
integrare un valido consenso alla lesione patita, dal momento che si verte in
materia di diritti indisponibili. In altre parole, non è che chi non indossa la
cintura acconsente tacitamente al danno. Infine, la Corte, recentemente aveva
sciolto un altro nodo intorno alla questione: quello del trasporto di cortesia.
Non appariva del tutto giusto che, oltre ad aver fatto un favore concedendo un
passaggio all’infortunato, oltre al fatto che lui stesso, l’infortunato, non
aveva protetto adeguatamente la propria incolumità omettendo di allacciare la
cintura, a pagare alla fine dovesse essere il conducente generoso. In materia
di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli - ha detto la
Cassazione nella sentenza 31 Ottobre 2005, n. 21115 – l’art. 2054 cod. civ. esprime,
in ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale,
applicabili a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano
danni, e quindi anche ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di
cortesia, ovvero contrattuale (oneroso o gratuito); in particolare, per vincere
la presunzione di responsabilità posta a suo carico dall’art. 2054, primo
comma, cod.civ. il conducente del veicolo deve fornire la prova positiva di
aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Nella specie, la Corte
Suprema ha cassato la sentenza di merito, rilevando che, da un lato,
l’esistenza di una insidia stradale, risultante da un’altra sentenza relativa
agli stessi fatti, non costituiva accertamento idoneo ad escludere la
responsabilità del conducente, né poteva dirsi raggiunta la prova liberatoria a
suo carico per il solo fatto che il soggetto rimasto ferito nel sinistro,
trasportato a titolo di cortesia, indossasse le cinture di sicurezza
allacciate, corrispondendo ciò ad una elementare regola di prudenza imposta per
legge. Andando alle conclusioni, un po’ come nel codice della navigazione, il
conducente è il capitano del veicolo, responsabile della sicurezza interna come
della rotta.
* Funzionario della Polizia
di Stato e Docente di Politiche della Sicurezza Presso l’Università di Bologna
Da “Il Centauro” n.111
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