Al
fine di stabilire se una sentenza del giudice di pace sia appellabile o
ricorribile in Cassazione si deve fare riferimento al valore della domanda e
non al modo in cui il giudice ha deciso. E’
quanto stabilito dalla Sezione III Civile della Corte di Cassazione con la
sentenza n. 4061 depositata il 21 febbraio 2007. Con
riferimento alla questione in oggetto, si rileva, in via preliminare, che la
medesima investe l’art. 339 c.p.c. nella formulazione antecedente alla modifica
di cui al D.L. 40/2006. Secondo la precedente formulazione non erano
appellabili le sentenze pronunciate dal giudice di primo grado (tribunale o
giudice di pace) secondo equità, ex art.114 c.p.c.. Il d.l. n.40/2006 ha
mantenuto l’inappellabilità per le sentenze del Tribunale, mentre per le
sentenze del giudice di pace l’appellabilità è consentita, anche se solo per
violazione delle norme sul procedimento, per violazione delle norme
costituzionali o comunitarie e per violazione dei principi regolatori della
materia. Il
limite della giurisprudenza equitativa del giudice di pace è, pertanto, quella
fissata dall’art. 113, comma 2, c.p.c.; riguarda, quindi, le cause di valore
non superiore a millecento euro. Ciò
premesso, nella sentenza in commento, con atto di citazione al giudice di pace
erano state richieste due somme, per diverse voci di danno, la prima pari a
euro 801,75, per il danno emergente, e la seconda pari a euro 1000,00, per la
lesione della reputazione imprenditoriale. Il limite anzidetto era stato
superato. E non rileva il fatto che il giudice di pace avesse accolto la
domanda parzialmente nella misura di euro 500,00. Ciò che rileva ai fini della
appellabilità o meno della sentenza del giudice di pace è quindi il valore
della causa. Nel caso de quo, la liquidazione del danno per euro 500,00
era stata fatta espressamente in via equitativa, ma detta liquidazione deve essere
qualificata come avvenuta ai sensi dell’art. 1226 c.c. in causa da decidersi
secondo diritto. Vi
sono due aspetti da sottolineare. Il
mezzo di impugnazione proponibile – secondo la S.C. – deve essere individuato
in relazione al valore della domanda proposta, e non alla somma liquidata dal
Giudice di pace, che rappresenta il contenuto concreto della decisione. Con ciò
è stato ribadito il principio già espresso con la sentenza della Cassazione,
Sezioni Unite, n. 13917/06, con cui si era risolto il contrasto esistente tra
due orientamenti della giurisprudenza in relazione all’individuazione del mezzo
di impugnazione esperibile avverso le sentenze del giudice di pace. Il primo
orientamento riteneva infatti inappellabili le sentenze emesse sulla base del principio
di equità, in considerazione degli artt. 339, comma 2, c.p.c. e 113 c.p.c. e
riteneva, quindi, che il mezzo di impugnazione deve essere determinato in base
al contenuto, al valore della domanda; il secondo orientamento faceva
riferimento al c.d. principio dell’apparenza, secondo cui la scelta del
mezzo di impugnazione dipende dalla qualificazione giuridica data dal giudice
all’azione. Il primo orientamento si fondava a sua volta su alcune decisioni
delle S.U. della Cassazione Civile, tra cui le sentenze nn. 9493/1998 e 12542
del 14.12.1998; quest’ultima in particolare aveva stabilito che la sentenza del
Giudice di Pace sarà appellabile qualora il giudice di pace abbia deciso una
controversia di valore superiore a lire due milioni (oggi, euro 1.100,00) e ciò
anche nell’ipotesi in cui abbia erroneamente pronunciato secondo equità e non
secondo diritto. Lo stesso criterio era stato ribadito nelle sentenze S.U.
Cassaz. Civ. n. 803/1999; n. 16162/2002; n. 11701/2005 (quest’ultima ribadiva
lo stesso principio relativo al solo contenuto della domanda sia essa
principale che riconvenzionale). In
secondo luogo, nel caso di specie, il giudice di pace ha sì deciso secondo
equità, ma ex art. 1226 c.c., ai sensi del quale se il danno non può
essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con
valutazione equitativa. A questo riguardo va tenuto infatti presente che
l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa ex
art. 1226 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c.,
dà luogo non ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto,
caratterizzato dalla c. d. equità correttiva od integrativa (Cass.
16202/2002). Il giudice applica una norma di legge, ma questa presenta una
fattispecie normativa incompleta, tale per cui il legislatore rimette alla
valutazione equitativa del giudice stesso la determinazione di un elemento del
rapporto controverso. La decisione era quindi appellabile. (Altalex,
3 maggio 2007. Nota di Giuseppe De Marco) La Corte Suprema di Cassazione Sezione Terza Civile Sentenza n. 4061, 21 febbraio
2007
Ritenuto
in fatto quanto segue: Con citazione notificata il 17
dicembre 2003 la E.S. e A. S.r.l. conveniva in giudizio i D… per sentire
accertare la responsabilità per l’abusiva occupazione dei propri impianti
pubblicitari e condannare, in conseguenza, la convenuta, a titolo di
risarcimento del danno per la somma di euro 801,75, nonché, per lesione della
sua reputazione imprenditoriale dell’ulteriore somma di euro 1000,00. Nella resistenza della parte
convenuta il Giudice di Pace, con sentenza del 1 giugno 2004, accoglieva
parzialmente nel quantum la domanda, condannando la convenuta al pagamento, a
titolo di risarcimento del danno liquidato in via equitativa la somma di euro
500,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo. Contro la sentenza hanno
proposto ricorso per cassazione i D.. La E.S. ha resistito con
controricorso. Il Procuratore Generale presso
la Corte ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso in camera di
consiglio. La parte ricorrente ha
depositato memoria. Considerato quanto segue: il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile, come richiesto dal Procuratore Generale, in quanto la
sentenza impugnata avrebbe dovuto essere sottoposta ad appello, secondo il
regime vigente anteriormente al d.lgs. n. 40 del 2006. Invero, com’è pacifico per
quanto emerge dallo stesso ricorso e comunque dalla sentenza impugnata, la
domanda aveva un valore superiore al limite della giurisdizione equitativa del
giudice di pace, essendo state richieste due somme, per diverse voci di danno,
la prima di euro 801,75 e la seconda di euro 1000,00. Ora, sia che la domanda
si consideri come un’unica domanda di risarcimento danni, sia che si ritengano
proposte due domande che si sommavano fra loro ai sensi dell’art.10 cod. civ.,
il superamento di quel limite appare palese, a nulla rilevando che il Giudice
di Pace abbia accolto la domanda parzialmente nella misura di euro 500,00, cioè
entro il limite della giurisprudenza equitativa. Al fine di stabilire se una
sentenza del giudice di pace sia appellabile o ricorribile in cassazione si
deve fare riferimento, infatti, al valore della domanda e non al modo in cui il
giudice ha deciso, onde nella specie resta irrilevante che la liquidazione del
danno nella misura riconosciuta sia stata fatta espressamente equitativamente,
dovendosi qualificare questa liquidazione come avvenuta ai sensi dell’art.1226
cod.civ. in causa da decidersi secondo diritto (in termini, da ultimo, per tali
principi si veda Cass. sez. un. N. 13917 del 2006). È sufficiente, del resto,
osservare, che riconoscendo il danno per un ammontare inferiore a quello
richiesto, il Giudice di Pace ha deciso anche sulla parte di domanda relativa
alla somma non riconosciuta, ritenendola in ordine ad essa inondata. Il ricorso è, dunque, dichiarato
inammissibile. Le spese seguono la soccombenza
e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La
Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla
rifusione alla parte resistente delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate in euro settecento, di cui cento per esborsi, oltre spese generali ed
accessori come per legge. Così deciso nella Camera di
Consiglio della Terza Sezione Civile l’8 gennaio 2007. Depositata 21 febbraio 2007. |
|
|
© asaps.it |