Nel reato di «fuga», previsto dall’art. 189, commi
primo e sesto, c.d.s., il dolo deve investire non solo l’evento dell’incidente,
ma anche il danno alle persone e, conseguentemente, la necessità del soccorso,
che non costituisce una condizione di punibilità; tuttavia, la consapevolezza
che la persona coinvolta nell’incidente ha bisogno di soccorso può sussistere
anche sotto il profilo del dolo eventuale, che si configura normalmente in
relazione al!’ elemento volitivo, ma che può attenere anche all’elemento
intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la
sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce
reato, accettandone per ciò stesso l’esistenza. Corte di Cassazione Penale Sez. IV, 14 giugno 2006, n. 20235 Obblighi del conducente in caso di incidente - Obbligo di fermarsi -
Fermata per un lasso temporale tale da non consentire l’identificazione - Inidoneità
- Reato - Sussistenza. Integra il reato di cui all’art. 189, commi primo e sesto,
c.d.s. (cosiddetto reato di «fuga»), la condotta di colui che - in
occasione di un incidente ricollegabile al suo comportamento da cui sia derivato
un danno alle persone - effettui sul luogo del sinistro una sosta
momentanea (nella specie «per pochi istanti»), senza consentire la propria
identificazione, né quella del veicolo. ( MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con sentenza della Corte di
appello di Torino in data 13 maggio 2004 è stata
confermata quella del Tribunale di Pinerolo che ha condannato M.D . a 20 giorni
di reclusione, convertiti in 1.500.000 lire di multa, per il reato di cui
all’art. 189, commi 1 e 6, c.d.s., fatto commesso il 29 gennaio 2000. Ricorre per cassazione l’imputato e a sostegno del ricorso
deduce: 1) violazione dell’ art. 606, comma 1, lett. b) per errata
applicazione dell’art. 189 commi l e 6 c.d.s. in quanto, nell’ affermare la sua
responsabilità, si è trascurato di
tenere conto del fatto che si tratta di un reato doloso (Cass. 16 febbraio 2000
n. 5164e 18 maggio 2001 n. 20151) in cui il dolo deve investire non solo
l’evento dell’incidente ma anche il danno alle persone, mentre è irrilevante un
eventuale comportamento colposo dell’imputato; nel caso di specie, era emerso
pacificamente che a seguito dell’incidente dell’imputato si era fermato e,
senza uscire dall’abitacolo, aveva verificato l’entità delle lesioni subìte
dai coniugi B.; si era poi allontanato in preda all’agitazione ed all’affanno;
i B. non erano riversi sul parabrezza, non perdevano sangue, avevano un
atteggiamento contrariato per l’incidente subìto senza manifestare sofferenze;
in tale situazione l’affermazione di responsabilità sarebbe dunque avvenuta,
secondo il ricorrente, a titolo di colpa e non già con l’accertamento del
necessario dolo; la fuga del M. non avrebbe dovuto essere punita per la
mancanza di consapevolezza da parte dell’imputato di tutti gli elementi
costitutivi del reato: per di più il colpo di frusta subìto dalla parte offesa
era difficilmente riconoscibile; 2) totale assenza di motivazione sul secondo
motivo di ricorso in ordine al quale la corte di appello si è limitata ad
affermare che «il secondo motivo attiene a valutazioni contenute nella
sentenza impugnata che questo Giudice non ritiene di dovere esaminare e che
quindi non entrano a far parte del thema decidendum»; 3) mancanza di
motivazione sul punto riguardante la determinazione della pena. Il ricorso non merita accoglimento risultando infondati o
manifestamente infondati i motivi proposti. Va premesso che le argomentazioni svolte risultano
inammissibili nella misura in cui propongono a questa Corte la valutazione di
circostanze di fatto ulteriori o differenti da quanto risulta dalla sentenza
impugnata, che accerta pacificamente i fatti nel senso che l’automezzo della
persona offesa, fermo di sera ad un semaforo, venne tamponato con tanta
violenza da quello del M. da essere mandato a battere, a sua volta, contro
quello fermo innanzi ad esso; il M. ha ammesso di essersi dato alla fuga; ha
però sostenuto di averlo fatto, nell’agitazione conseguente all’incidente, ma
solo dopo essersi accertato con un’ occhiata che le persone che occupavano il
mezzo tamponato non avevano riportato danni; venne poi accertato a carico del
guidatore dell’auto tamponata il «colpo della strega»; hanno altresì ritenuto
entrambi i giudici di merito che per le condizioni in cui si sono svolti i
fatti (era ormai sera avanzata e si era fuori città con scarsa illuminazione,
lo stesso Marangoni ha ammesso di aver dato un’ «occhiata» alla macchina investita
e di aver verificato che entrambi gli occupanti erano regolarmente seduti
all’interno dell’ abitacolo) vi fossero elementi sufficienti per ritenere
l’elemento soggettivo del contestato reato, almeno nella forma del dolo
eventuale. Il ricorso va dunque esaminato nella parte in cui richiamandosi
alla giurisprudenza di questa Corte che ha riconosciuto la natura dolosa del
reato ed ha rilevato come il dolo deve investire non solo l’evento dall’incidente,
ma anche il danno alle persone, che non costituisce una condizione di
punibilità, sostanzialmente imputabile a titolo di responsabilità oggettiva,
atteso che la sostituzione di una fattispecie dolosa ad una colposa sarebbe
poco razionale laddove si ritenesse che la seconda è punita indipendentemente
dalla consapevolezza da parte dell’agente di tutti gli elementi della stessa,
e quindi anche delle conseguenze derivate dall’incidente stesso (Cass., sez.
IV, 16 febbraio 2000 n. 5164 rv. 216470; Cass., sez. IV, 30 gennaio 2001 n.
5164, White rv. 219837) - contesta la valutazione circa l’elemento soggettivo
del reato sostenendo, in particolare, che non si è tenuto conto che il dolo
deve investire anche il danno alle persone. Il motivo è infondato. Ed invero questa Corte ha di recente precisato (sez. IV, 10
gennaio 2003 n. 8103, Fariello rv. 223966) che il dolo del reato in questione
può sussistere anche nella forma del dolo eventuale, esprimendo il principio
che di seguito si riporta «Nel reato di fuga, previsto dall’art. 189 commi 6 e Puntuale risulta al riguardo la motivazione offerta dai
giudici di merito che hanno ritenuto che chi - come il M. - provoca un
tamponamento di una certa violenza, non può non rendersi conto che il fatto può
comportare lesioni agli occupanti della vettura investita, quanto meno il C.d.
colpo della strega (effettivamente riscontrato), lesioni non accertabili con
una fugace occhiata all’interno della macchina investita; ed hanno ritenuto
che tale comportamento costituisca appunto il dolo del contestato reato. Del tutto generico risulta il secondo motivo di ricorso,
con il quale si fa cenno a questioni che la corte di appello ha ritenuto
ininfluenti ai fini del decidere. Parimenti inammissibile è la censura circa il presunto
vizio di motivazione della sentenza con riferimento alla misura della pena
inflitta, atteso che con l’appello si era sollecitato soltanto una riduzione
del trattamento sanzionatorio senza indicare specifici argomenti a sostegno di
tale richiesta. (Omissis). II MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con sentenza pronunciata il 27
gennaio 2005 Avverso tale decisione ricorre per cassazione, a mezzo del
difensore, il M. deducendo il vizio di cui alle lettere b) ed e) dell’art.
606 c.p.p. sia in ordine alla adottata interpretazione dell’ obbligo imposto
dall’art. 189, comma 2, c.d.s., laddove i secondi giudici, pur essendo
pacifico che egli si era fermato immediatamente dopo l’avvenuta collisione del
veicolo da lui condotto con altro ciclomotore condotto da M. D., e si era
trattenuto sul posto per diversi minuti (come riconosciuto nella sentenza di
primo grado), hanno ugualmente affermato la sua responsabilità per la
violazione della norma di cui al secondo comma dell’art. 189, sia riferimento
alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del suddetto reato,
integrato dal dolo, in un contesto nel quale lo stesso primo giudice aveva
riconosciuto che il M. in un primo momento non si era avveduto della ferita da
lui riportata a seguito dello scontro dei veicoli, e da tale circostanza
-afferma il ricorrente si sarebbe dovuto logicamente evincere che esso imputato
non fosse, a maggior ragione, consapevole del (lievissimo) danno fisico
riportato dal predetto M., mancata consapevolezza escludente l’elemento
soggettivo del delitto contestato. I suddetti motivi sono infondati. I giudici di merito hanno ricostruito il fatto, sulla base
della testimonianza resa dal M., nei termini che seguono. Il M., alla guida di un ciclomotore, non aveva rispettato
il diritto di precedenza spettante al teste, il quale conduceva un veicolo
dello stesso genere, causando la collisione tra i due mezzi, dopo di che si era
fermato soltanto «per brevi istanti» e si era allontanato non consentendo
l’acquisizione di elementi utili per la sua identificazione (avvenuta in realtà
ad opera di un giovane presente al fatto, il quale conosceva il soprannome
dell’imputato). Tale condotta, a parere dei giudici di merito, integra il
reato di cui all’art. 189 c.d.s. («Comportamento in caso di incidente»), commi
1 e 6, cosiddetto reato di «fuga», il cui evento materiale consiste
nell’allontanarsi del conducente dal luogo dell’investimento così da impedire
o, comunque, ostacolare l’accertamento della propria identità personale e la
ricostruzione delle modalità del sinistro. Tale affermazione non soffre del vizio di illogicità
manifesta dedotto dal ricorrente (il quale sottolinea la differenza lessicale
tra i termini «fermata» e «sosta»), ed è invece in linea con l’insegnamento del
giudice di legittimità, a tenore del quale, in tema di circolazione stradale,
la condotta di colui il quale - in occasione di un incidente ricollegabile al
suo comportamento da cui sia derivato un danno alle persone - effettui sul
luogo del sinistro una sosta appena momentanea, senza consentire la propria
identificazione, né quella del veicolo investitore, integra il reato di fuga, e
ciò in quanto, poiché tale è la finalità della norma incriminatrice in
oggetto, (così come di quella dell’art. 133 del codice stradale previgente), la
fermata sul posto deve durare per tutto il tempo necessario all’ espletamento
delle prime indagini rivolte ai fini suddetti, ond’è che il reato in questione
sussiste anche nei casi di arresto momentaneo-(vedasi, per tutte, Cass., sez.
IV, 28 gennaio 1997, n. 579); d’altra parte è del tutto evidente che ove la
durata della prescritta fermata potesse essere, nella previsione della norma in
esame, anche talmente breve da non consentire né l’identificazione del
conducente, né quella del veicolo condotto, né lo svolgimento di un qualsiasi
accertamento sulle modalità dell’incidente e sulle responsabilità nella
causazione del medesimo (il tutto con evidente pregiudizio per le ragioni
risarcitorie della persona lesa) la norma stessa sarebbe priva di ratio e
di una qualsiasi utilità pratica. Da quanto sin qui osservato emerge la infondatezza del
primo motivo di ricorso, inteso a valorizzare quell’avvenuta fermata per
qualche attimo da parte dell’imputato che motivatamente è stata ritenuta da
ambo i giudici di merito non ottemperante all’obbligo imposto dal primo comma
dell’art. 189 c.d.s.. Non più fondato è il secondo motivo, con il quale il
ricorrente denuncia i vizi di cui alle lettere b) ed e) dell’art.
È ben vero che, poiché l’art. 189 D.L.vo 30 aprile 1992, n.
285, prevede quale delitto, e non più, come nel precedente codice della strada,
quale contravvenzione, l’omissione dell’obbligo di fermarsi dopo un incidente
stradale con danno alle persone, detta condotta può essere punita solo se
commessa con dolo, e che il dolo deve investire non solo l’evento dell’incidente,
ma anche il danno alle persone, la cui verificazione non costituisce una
condizione di punibilità, sostanzialmente imputabile a titolo di responsabilità
oggettiva, atteso che la sostituzione di una fattispecie dolosa ad una colposa
sarebbe poco razionale laddove si ritenesse che la prima è punita
indipendentemente dalla consapevolezza da parte dell’agente di tutti gli
elementi della stessa, e quindi anche delle conseguenze derivate
dall’incidente (Cass., sez. IV, 16 febbraio 2000, n. 5164, Biscioni). Tuttavia va ritenuto che nel reato di fuga previsto dalla
norma sopra citata l’accertamento dell’elemento psicologico vada compiuto in
relazione al momento in cui l’agente ha posto in essere la condotta e, quindi,
alle circostanze concretamente rappresentate e percepite a quel momento, che
siano univocamente indicative dell’avvenuta causazione di un incidente idoneo
ad arrecare danno alle persone, dovendosi riservare ad un successivo momento il
definitivo accertamento delle effettive conseguenze del sinistro (Cass., sez.
IV, 12 novembre 2003, n. 3982, Mancini, nella quale si è anche affermato che il
reato di fuga de quo è reato omissivo di pericolo che impone all’agente
di fermarsi in presenza di un incidente, da lui percepito, che sia riconducibile
al suo comportamento e che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi,
non essendo necessario che si debba riscontrare l’esistenza di un effettivo
danno alle persone, peraltro non accertabile immediatamente nella sua
sussistenza e consistenza; |
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