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Corte di Cassazione 28/05/2007

Giurisprudenza di legittimità - Obblighi del conducente in caso di incidente - Obbligo di fermarsi - Inottemperanza - Elemento soggettivo - Dolo eventuale - Contenuto

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, 21 giugno 2006, n. 21445

 

Nel reato di «fuga», previsto dall’art. 189, com­mi primo e sesto, c.d.s., il dolo deve investire non solo l’evento dell’incidente, ma anche il danno alle persone e, conseguentemente, la necessità del soc­corso, che non costituisce una condizione di puni­bilità; tuttavia, la consapevolezza che la persona coinvolta nell’incidente ha bisogno di soccorso può sussistere anche sotto il profilo del dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione al!’ ele­mento volitivo, ma che può attenere anche all’ele­mento intellettivo, quando l’agente consapevolmen­te rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costi­tuisce reato, accettandone per ciò stesso l’esisten­za.

 

Corte di Cassazione Penale

Sez. IV, 14 giugno 2006, n. 20235

 

Obblighi del conducente in caso di incidente - Ob­bligo di fermarsi - Fermata per un lasso tempo­rale tale da non consentire l’identificazione - Ini­doneità - Reato - Sussistenza.

 

Integra il reato di cui all’art. 189, commi primo e sesto, c.d.s. (cosiddetto reato di «fuga»), la condotta di colui che - in occasione di un incidente ri­collegabile al suo comportamento da cui sia deri­vato un danno alle persone - effettui sul luogo del sinistro una sosta momentanea (nella specie «per pochi istanti»), senza consentire la propria identi­ficazione, né quella del veicolo. (La Corte ha rile­vato che il dovere di fermarsi sul posto dell’inci­dente deve durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell’identificazione del conducente stesso e del ve­icolo condotto, perché, ove si ritenesse che la du­rata della prescritta fermata possa essere anche tal­mente breve da non consentire né l’identificazione del conducente, né quella del veicolo, né lo svolgi­mento di un qualsiasi accertamento sulle modalità dell’incidente e sulle responsabilità nella causazio­ne del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica).

 

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con sentenza della Corte di appello di Torino in data 13 maggio 2004 è stata confermata quella del Tribunale di Pinerolo che ha condannato M.D . a 20 giorni di reclu­sione, convertiti in 1.500.000 lire di multa, per il reato di cui all’art. 189, commi 1 e 6, c.d.s., fatto commesso il 29 gennaio 2000.

Ricorre per cassazione l’imputato e a sostegno del ricorso deduce: 1) violazione dell’ art. 606, comma 1, lett. b) per errata applicazione dell’art. 189 commi l e 6 c.d.s. in quanto, nell’ affermare la sua responsabilità, si è trascurato di tenere conto del fatto che si tratta di un reato doloso (Cass. 16 febbraio 2000 n. 5164e 18 maggio 2001 n. 20151) in cui il dolo deve investire non solo l’evento dell’incidente ma anche il danno alle persone, mentre è irrilevante un eventuale comporta­mento colposo dell’imputato; nel caso di specie, era emerso pacificamente che a seguito dell’incidente dell’imputato si era fermato e, senza uscire dall’abi­tacolo, aveva verificato l’entità delle lesioni subìte dai coniugi B.; si era poi allontanato in preda all’agitazione ed all’affanno; i B. non erano riversi sul parabrezza, non perdevano sangue, avevano un atteggiamento contrariato per l’incidente subìto senza manifestare sofferenze; in tale situazione l’af­fermazione di responsabilità sarebbe dunque avve­nuta, secondo il ricorrente, a titolo di colpa e non già con l’accertamento del necessario dolo; la fuga del M. non avrebbe dovuto essere punita per la mancanza di consapevolezza da parte dell’imputato di tutti gli elementi costitutivi del reato: per di più il colpo di frusta subìto dalla parte offesa era difficil­mente riconoscibile; 2) totale assenza di motivazione sul secondo motivo di ricorso in ordine al quale la corte di appello si è limitata ad affermare che «il se­condo motivo attiene a valutazioni contenute nella sentenza impugnata che questo Giudice non ritiene di dovere esaminare e che quindi non entrano a far parte del thema decidendum»; 3) mancanza di motivazione sul punto riguardante la determinazione della pena.

Il ricorso non merita accoglimento risultando in­fondati o manifestamente infondati i motivi proposti.

Va premesso che le argomentazioni svolte risultano inammissibili nella misura in cui propongono a questa Corte la valutazione di circostanze di fatto ulteriori o differenti da quanto risulta dalla sentenza impugnata, che accerta pacificamente i fatti nel senso che l’auto­mezzo della persona offesa, fermo di sera ad un se­maforo, venne tamponato con tanta violenza da quello del M. da essere mandato a battere, a sua volta, contro quello fermo innanzi ad esso; il M. ha ammesso di essersi dato alla fuga; ha però so­stenuto di averlo fatto, nell’agitazione conseguente all’incidente, ma solo dopo essersi accertato con un’ occhiata che le persone che occupavano il mezzo tamponato non avevano riportato danni; venne poi accertato a carico del guidatore dell’auto tamponata il «colpo della strega»; hanno altresì ritenuto entrambi i giudici di merito che per le condizioni in cui si sono svolti i fatti (era ormai sera avanzata e si era fuori città con scarsa illuminazione, lo stesso Marangoni ha am­messo di aver dato un’ «occhiata» alla macchina inve­stita e di aver verificato che entrambi gli occupanti erano regolarmente seduti all’interno dell’ abitacolo) vi fossero elementi sufficienti per ritenere l’elemento soggettivo del contestato reato, almeno nella forma del dolo eventuale.

Il ricorso va dunque esaminato nella parte in cui ­richiamandosi alla giurisprudenza di questa Corte che ha riconosciuto la natura dolosa del reato ed ha rilevato come il dolo deve investire non solo l’evento dall’in­cidente, ma anche il danno alle persone, che non co­stituisce una condizione di punibilità, sostanzialmente imputabile a titolo di responsabilità oggettiva, atteso che la sostituzione di una fattispecie dolosa ad una col­posa sarebbe poco razionale laddove si ritenesse che la seconda è punita indipendentemente dalla consapevo­lezza da parte dell’agente di tutti gli elementi della stessa, e quindi anche delle conseguenze derivate dall’incidente stesso (Cass., sez. IV, 16 febbraio 2000 n. 5164 rv. 216470; Cass., sez. IV, 30 gennaio 2001 n. 5164, White rv. 219837) - contesta la valutazione circa l’elemento soggettivo del reato sostenendo, in partico­lare, che non si è tenuto conto che il dolo deve investire anche il danno alle persone.

Il motivo è infondato.

Ed invero questa Corte ha di recente precisato (sez. IV, 10 gennaio 2003 n. 8103, Fariello rv. 223966) che il dolo del reato in questione può sussistere anche nella forma del dolo eventuale, esprimendo il principio che di seguito si riporta «Nel reato di fuga, previsto dall’art. 189 commi 6 e 7 C.S., il dolo deve investire non solo l’evento dell’incidente, ma anche il danno alle persone e, conseguentemente, la necessità del soc­corso, che non costituisce una condizione di punibilità; tuttavia, la consapevolezza che la persona coinvolta nell’incidente ha bisogno di soccorso può sussistere anche sotto il profilo del dolo eventuale, che si confi­gura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l’esistenza».

Puntuale risulta al riguardo la motivazione offerta dai giudici di merito che hanno ritenuto che chi - come il M. - provoca un tamponamento di una certa violenza, non può non rendersi conto che il fatto può comportare lesioni agli occupanti della vettura inve­stita, quanto meno il C.d. colpo della strega (effettiva­mente riscontrato), lesioni non accertabili con una fu­gace occhiata all’interno della macchina investita; ed hanno ritenuto che tale comportamento costituisca ap­punto il dolo del contestato reato.

Del tutto generico risulta il secondo motivo di ri­corso, con il quale si fa cenno a questioni che la corte di appello ha ritenuto ininfluenti ai fini del decidere.

Parimenti inammissibile è la censura circa il pre­sunto vizio di motivazione della sentenza con riferi­mento alla misura della pena inflitta, atteso che con l’appello si era sollecitato soltanto una riduzione del trattamento sanzionatorio senza indicare specifici ar­gomenti a sostegno di tale richiesta. (Omissis).

II

 

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con sentenza pronun­ciata il 27 gennaio 2005 la Corte di appello di Venezia ha, sull’appello dell’imputato - in parziale riforma della sentenza emessa il 6 ottobre 2000 dal Tribunale di Rovigo, di condanna di M. N. alla pena, sospesa alle condizioni di legge, di giorni quindici di reclusione per il delitto di cui all’art. 189, comma 6, del codice stradale (commesso il 28 luglio 1998 alla guida di un ciclomotore), con applicazione della san­zione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per mesi tre, ed assolutoria del predetto imputato dall’ulteriore reato previsto dal comma 7 del citato art. 186) - sostituito la pena deten­tiva con quella di euro 570 di ammenda, ha revocato la sanzione accessoria e la sospensione condizionale della pena, ed ha confermato nel resto la sentenza impugnata.

Avverso tale decisione ricorre per cassazione, a mezzo del difensore, il M. deducendo il vizio di cui alle lettere b) ed e) dell’art. 606 c.p.p. sia in ordine alla adottata interpretazione dell’ obbligo imposto dall’art. 189, comma 2, c.d.s., laddove i secondi giu­dici, pur essendo pacifico che egli si era fermato im­mediatamente dopo l’avvenuta collisione del veicolo da lui condotto con altro ciclomotore condotto da M. D., e si era trattenuto sul posto per diversi minuti (come riconosciuto nella sentenza di primo grado), hanno ugualmente affermato la sua re­sponsabilità per la violazione della norma di cui al se­condo comma dell’art. 189, sia riferimento alla rite­nuta sussistenza dell’elemento psicologico del suddetto reato, integrato dal dolo, in un contesto nel quale lo stesso primo giudice aveva riconosciuto che il M. in un primo momento non si era avveduto della ferita da lui riportata a seguito dello scontro dei veicoli, e da tale circostanza -afferma il ricorrente ­si sarebbe dovuto logicamente evincere che esso im­putato non fosse, a maggior ragione, consapevole del (lievissimo) danno fisico riportato dal predetto M., mancata consapevolezza escludente l’elemento soggettivo del delitto contestato.

I suddetti motivi sono infondati.

I giudici di merito hanno ricostruito il fatto, sulla base della testimonianza resa dal M., nei ter­mini che seguono.

Il M., alla guida di un ciclomotore, non aveva rispettato il diritto di precedenza spettante al te­ste, il quale conduceva un veicolo dello stesso genere, causando la collisione tra i due mezzi, dopo di che si era fermato soltanto «per brevi istanti» e si era allon­tanato non consentendo l’acquisizione di elementi utili per la sua identificazione (avvenuta in realtà ad opera di un giovane presente al fatto, il quale conosceva il so­prannome dell’imputato).

Tale condotta, a parere dei giudici di merito, integra il reato di cui all’art. 189 c.d.s. («Comportamento in caso di incidente»), commi 1 e 6, cosiddetto reato di «fuga», il cui evento materiale consiste nell’allonta­narsi del conducente dal luogo dell’investimento così da impedire o, comunque, ostacolare l’accertamento della propria identità personale e la ricostruzione delle modalità del sinistro.

Tale affermazione non soffre del vizio di illogicità manifesta dedotto dal ricorrente (il quale sottolinea la differenza lessicale tra i termini «fermata» e «sosta»), ed è invece in linea con l’insegnamento del giudice di legittimità, a tenore del quale, in tema di circolazione stradale, la condotta di colui il quale - in occasione di un incidente ricollegabile al suo comportamento da cui sia derivato un danno alle persone - effettui sul luogo del sinistro una sosta appena momentanea, senza consentire la propria identificazione, né quella del veicolo investitore, integra il reato di fuga, e ciò in quanto, poiché tale è la finalità della norma incrimi­natrice in oggetto, (così come di quella dell’art. 133 del codice stradale previgente), la fermata sul posto deve durare per tutto il tempo necessario all’ espleta­mento delle prime indagini rivolte ai fini suddetti, ond’è che il reato in questione sussiste anche nei casi di arresto momentaneo-(vedasi, per tutte, Cass., sez. IV, 28 gennaio 1997, n. 579); d’altra parte è del tutto evidente che ove la durata della prescritta fermata potesse essere, nella previsione della norma in esame, anche talmente breve da non consentire né l’identifi­cazione del conducente, né quella del veicolo con­dotto, né lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità dell’incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo (il tutto con evidente pregiudizio per le ragioni risarcitorie della persona lesa) la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica.

Da quanto sin qui osservato emerge la infondatezza del primo motivo di ricorso, inteso a valorizzare quell’avvenuta fermata per qualche attimo da parte dell’imputato che motivatamente è stata ritenuta da ambo i giudici di merito non ottemperante all’obbligo imposto dal primo comma dell’art. 189 c.d.s..

Non più fondato è il secondo motivo, con il quale il ricorrente denuncia i vizi di cui alle lettere b) ed e) dell’art. 606 C.p.p. in ordine alla ritenuta sussistenza, in capo all’imputato, di quell’elemento conoscitivo (la consapevolezza del danno alla persona conseguito all’incidente stradale in oggetto) che è richiesto per la configurabilità del dolo del delitto in questione.

È ben vero che, poiché l’art. 189 D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285, prevede quale delitto, e non più, come nel precedente codice della strada, quale contravven­zione, l’omissione dell’obbligo di fermarsi dopo un incidente stradale con danno alle persone, detta con­dotta può essere punita solo se commessa con dolo, e che il dolo deve investire non solo l’evento dell’inci­dente, ma anche il danno alle persone, la cui verifica­zione non costituisce una condizione di punibilità, so­stanzialmente imputabile a titolo di responsabilità oggettiva, atteso che la sostituzione di una fattispecie dolosa ad una colposa sarebbe poco razionale laddove si ritenesse che la prima è punita indipendentemente dalla consapevolezza da parte dell’agente di tutti gli elementi della stessa, e quindi anche delle conse­guenze derivate dall’incidente (Cass., sez. IV, 16 feb­braio 2000, n. 5164, Biscioni).

Tuttavia va ritenuto che nel reato di fuga previsto dalla norma sopra citata l’accertamento dell’elemento psicologico vada compiuto in relazione al momento in cui l’agente ha posto in essere la condotta e, quindi, alle circostanze concretamente rappresentate e perce­pite a quel momento, che siano univocamente indica­tive dell’avvenuta causazione di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone, dovendosi riservare ad un successivo momento il definitivo accertamento delle effettive conseguenze del sinistro (Cass., sez. IV, 12 novembre 2003, n. 3982, Mancini, nella quale si è anche affermato che il reato di fuga de quo è reato omissivo di pericolo che impone all’agente di fermarsi in presenza di un incidente, da lui percepito, che sia ri­conducibile al suo comportamento e che sia concreta­mente idoneo a produrre eventi lesivi, non essendo ne­cessario che si debba riscontrare l’esistenza di un effettivo danno alle persone, peraltro non accertabile immediatamente nella sua sussistenza e consistenza; la Corte ha precisato come una diversa interpretazione che collegasse l’obbligo di fermarsi alla condotta da cui sia derivato un danno effettivo alle persone limi­terebbe l’ambito di operatività della fatti specie ai soli casi di macroscopica e immediata evidenza di lesioni o di morte).
Orbene, è a tale - qui condiviso - orientamento giurisprudenziale che la Corte veneta si è uniformata, richiamando la sentenza appena citata ed affermando - con una argomentazione in punto di fatto, implicante una valutazione di puro merito non manifestamente il­logica e pertanto non censurabile nella presente sede di giudizio - che nella specie l’urto frontale ed il fatto stesso che l’imputato aveva riportato lesioni al labbro inferiore costituivano circostanze chiaramente perce­pite dal M. nel breve momento in cui si era fer­mata sul posto e tali da indicare univocamente la causazione di un sinistro idoneo ad arrecare danno alla parte offesa.
Tale motivazione sull’elemento soggettivo del re­ato, non illogica né violatrice della legge penale, non è di certo inficiata - tenuto presente il principio di di­ritto enunciato nella citata sentenza n. 3982/2003 di questa Sezione quarta della Corte di cassazione - dalla circostanza che il Montanari non si avvide immedia­tamente della lesione subìta nell’incidente.

Per le ragioni che precedono il ricorso va rigettato, con le conseguenze ex art. 616 c.p.p. in ordine alle spese del presente giudizio. (Omissis)
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Lunedì, 28 Maggio 2007
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