Il
Giudice del Tribunale di Monza, con la sentenza del 23 aprile 2007, riconosce
ai congiunti di una ragazza ventitrenne, deceduta in conseguenza di un
incidente stradale, oltre al danno morale, anche “il danno non patrimoniale”
specificando che “il danno subito dagli attori a causa della lesione del
rapporto parentale va qualificato come danno non patrimoniale e risulta pur
tuttavia risarcibile in quanto espressione di tutela minima dei diritti
costituzionalmente garantiti”. Pertanto, rammentando che il danno morale
deve essere sempre riconosciuto anche in caso di concorso di colpa o di
responsabilità presuntiva, poiché “la lesione dei diritti costituzionalmente
protetti e meritevoli di tutela colpisce ambiti non patrimoniali, il cui
pregiudizio apre la via al risarcimento ex art. 2059 c.c., senza il limite
previsto dall’art. 185 c.p. in ragione della natura del valore inciso”, il
Tribunale di Monza ha ritenuto doversi convogliare nell’accezione di danno non
patrimoniale tutte le voci di danno sinora utilizzate: danno biologico, danno
esistenziale, danno al rapporto parentale, danno edonistico, danno estetico,
danno derivante da lesione dei diritti della personalità, danno derivante da
ingiusta detenzione. Relativamente
alla quantificazione di tale voce di danno, così ha specificato il Giudice di
Monza:“Il Tribunale ritiene di seguire le indicazioni espresse sul punto
dall’Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano, i cui studi sono stati
oggetto di diffusione anche presso l’ordine degli Avvocati per ricevere idonea
divulgazione ai fini di certezza. Tali indicazioni si concretano nel
disancorare la liquidazione del danno al rapporto parentale da un ipotetico
danno biologico della vittima e commisurarlo agli indici già richiamati, ivi
compresa la particolare intensità della relazione affettiva, indicando il danno
subito di genitori per la morte del figlio da € 100.000,00 ad € 200.000,00 e
dai fratelli conviventi da € 20.000,00 ad € 120.000,00”. (Altalex,
29 maggio 2007. Nota di Fabio Quadri) Danni da morte |
Giurisprudenza Tribunale di Monza Sentenza 23 aprile 2007 Repubblica Italiana In nome del popolo
italiano Tribunale di Monza - Sezione distaccata di
Desio – in composizione
monocratica nella persona del dott. Federico Rolfi, in funzione di Giudice
Unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella
causa civile iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato, promossa con
attodi citazione notificato in data 17 – 21 febbraio 2006 a ministero
dell’Aiutante Ufficiale Giudiziario addetto all’Ufficio Notifiche del Tribunale
di Monza Sezione Distaccata di Desio DA A.
B., M. S., M. S., tutte elettivamente domiciliate a Cesano Maderno, piazza
Arese, n. 4, presso lo studio dell’avv. Fabiola Sclapari, che le rappresenta e
difende, come da procura a margine dell’atto di citazione ATTORE CONTRO D.
V. e Arca Assicurazioni S.p.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore, con sede in Verona ed elettivamente domiciliati a Monza, via
Passerini, n. 13, presso lo studio dell’avv. Michele Colombo, che li
rappresenta e difende, come da procura in calce alla copia notificata dell’atto
di citazione CONVENUTI OGGETTO:
azione risarcimento danni da illecito extracontrattuale – circolazione
autoveicoli CONCLUSIONI: all’udienza di precisazione delle conclusioni in data
23 gennaio 2007 i procuratori delle parti precisavano come da fogli separati
allegati al verbale d’udienza e qui riprodotti in copia fotostatica SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con
atto di citazione regolarmente notificato alla controparte le attrici in
epigrafe – rispettivamente, madre e sorelle di S. E. S. – convenivano innanzi
al Tribunale di Monza Sezione Distaccata di Desio D. V. e Arca Assicurazioni
S.p.A., per sentirli condannare al risarcimento dei danni tutti subiti dalle
attrici in conseguenza della morte della loro stretta congiunta. Riferivano le
attrici che, in data 3 aprile 2004, alle 5.50 del mattino, in Meda, S. E. S. ,
mentre si recava al lavoro in bicicletta ed attraversava l’incrocio semaforico
tra via Indipendenza e via Fermi, era stata violentemente urtata e scaraventata
a terra dalla Opel Corsa tg. BN 685 TF condotta da D. V. (ed assicurata presso
la Arca Assicurazioni S.p.A.), decedendo a seguito delle lesioni riportate.
Riferivano ancora le attrici che D. V., a causa dell’elevata velocità tenuta,
era entrato in collisione anche con un altro autoveicolo ed era stato
sottoposto a procedimento penale, conclusosi con sentenza di applicazione della
pena ex artt. 444 e 448 c.p.p. Lamentavano le attrici di avere subito, a causa
dell’evento, danni patrimoniali e non patrimoniali. Si costituiva i convenuti
che non contestavano né la propria responsabilità civile, né la sussistenza di
un fatto di reato, ma eccepivano la sussistenza di un concorso di colpa della
stessa vittima, la quale aveva attraversato l’incrocio senza fermarsi. In
ordine al quantum, i convenuti rammentavano, preliminarmente, che alle
attrici era stata spontaneamente corrisposta una provvisionale di € 50.000,00;
ponevano, ulteriormente, la questione della sussistenza o meno della erogazione
di una rendita da parte dell’INAIL; contestavano, infine, alcune delle voci
risarcitorie richieste dalle attrice, in primo luogo il danno esistenziale.
Esaurita la trattazione ed istruzione della controversia le parti venivano
invitate a precisare le conclusioni e, previa assegnazione di termine per il
deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, la causa veniva
trattenuta in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE Poiché
i convenuti non hanno contestato la propria responsabilità civile, né la
sussistenza di una ipotesi di reato in capo a D. V., la ricostruzione della
dinamica dell’incidente si è resa necessaria unicamente per valutare la
fondatezza o meno dell’eccezione relativa alla sussistenza di un concorso di
colpa della danneggiata S. E. S. .L’incidente per cui è causa si è verificato
alle ore 5.50 del mattino del 3 aprile 2004 in Meda, all’intersezione tra via
Indipendenza e via Fermi – via Maroncelli. Dal rapporto redatto dai membri del
distaccamento di Polizia Stradale di Seregno risulta che al momento i semafori
per la regolazione del traffico all’intersezione erano funzionanti con luce
intermittente gialla. L’asfalto era bagnato e l’illuminazione buona. L’autoveicolo
di D. V. – poi risultato in stato di ebbrezza - procedendo (ad alta velocità)
lungo la via Indipendenza in direzione Seregno, ha urtato il velocipede
condotto dalla S., il quale provenendo dalla via Fermi (e quindi dalla sinistra
del veicolo) e procedendo (presumibilmente) verso la via Maroncelli, aveva
impegnato l’intersezione e si era già portato sulla corsia percorsa dalla Opel.
L’urto è avvenuto tra la parte frontale sinistra della Opel di D. V. (che aveva
iniziato in extremis una manovra di emergenza di sterzata versi
sinistra) ed il lato destro del velocipede. La S. è stata letteralmente
“caricata” (sbattendo violentemente la testa sul parabrezza dell’auto), e
proiettata oltre l’intersezione (verso la direzione di Seregno della Via
Indipendenza), andando a finire sulla corsia di marcia opposta. Nel frattempo,
la Opel Corsa, procedeva pressoché senza controllo la propria marcia, andando a
collidere con la Fiat Punto condotta da L. P., la quale procedeva lungo la via
Indipendenza in direzione Meda Centro (direzione opposta a quella della Corsa).
Ora, è pacifica la responsabilità del convenuto, il quale risulta avere
affrontato una intersezione non regolata (i semafori proiettavano luce gialla
intermittente), procedendo ad elevata velocità (la S. è stata proiettata per
decine di metri), su fondo stradale bagnato, con condizioni di luce
crepuscolare, e, per di più guidando in stato di ebbrezza, o comunque con un
tasso alcolemico superiore alla norma, come indirettamente confermato dal fatto
che, nel tentativo in extremis di porre in atto una manovra di
emergenza, il convenuto ha scriteriatamente sterzato a sinistra, finendo per
colpire anche più in pieno la bicicletta della S.. Il problema è verificare se
sia ravvisabile un concorso di colpa in capo alla vittima dell’incidente,
domanda cui il Tribunale ritiene di dare risposta positiva. Emerge,
in primo luogo, una dato oggettivo: come rilevato anche dagli operanti
intervenuti sul posto, la sig. S. ha impegnato l’intersezione nonostante avesse
l’obbligo di dare la precedenza ai veicoli provenienti dalla sua destra, come
quello di D. V., appunto. Veicolo che la vittima ben avrebbe potuto e dovuto vedere,
atteso che dalla planimetria prodotta in allegato alla perizia di parte attrice
(doc. 3) l’auto del convenuto risultava provenire da una strada rettilinea e
con sede stradale ampia. Ma la negligenza della sig. S. emerge non solo da una
astratta applicazione di previsioni di legge, bensì anche da elementi concreti,
primo dei quali la deposizione dell’unica testimone oculare sig. P., la quale
ha riferito che “(…) A.D.R. La bici ha attraversato l’incrocio senza
fermarsi. Procedeva come se fosse soprappensiero e procedesse di fretta.(…) Io
ho capito che sarebbe successo l’incidente. Se fossi stata 50 mt. più avanti la
bici avrebbe urtato me (…)”. Risultano, quindi, idonei elementi per
affermare che la sig. S. ha affrontato l’intersezione semaforica senza la
dovuta prudenza ed attenzione (alcuni parametri valutati per D. V. – come la
visibilità non ideale ed il fondo stradale non asciutto – valevano anche per il
velocipede), cui si aggiunge la circostanza ulteriore dell’assenza, sul
velocipede, di catarifrangenti o altri dispositivi ottici, anche laterali,
idonei a permettere di vedere il velocipede anche da lontano. Accertata la
concorrente responsabilità della sig. S., il Tribunale ritiene, tuttavia, di
determinare il contributo causale nella misura del solo 30%, in considerazione
della (notevolmente) preponderante negligenza del convenuto e del ben più
significativo contributo eziologico fornito da quest’ultimo. Così
determinata la misura della responsabilità di D. V. (e della Arca Assicurazioni
S.p.A.), occorre, ora, passare alla liquidazione del danno spettante alle
attrici. Per ciò che attiene il danno patrimoniale, rileva il Tribunale come
sia disponibile una prova unicamente circa il danno emergente, costituito dalle
spese funerarie attestate dai documenti sub 8 fascicolo attoreo (€ 10.529,32).
Non risultano, invece, altri danni da lucro cessante o altri danni emergenti.
Le attrici, invero, hanno genericamente invocato l’esistenza di danni “per
la mancata acquisizione di beni e/o di vantaggi economici da parte del
danneggiato per l’illecito subito”, ma non hanno, poi, compiuto alcuna
specifica allegazione, né hanno provato i danni medesimi, neppure in via
indiziaria. E’, per contro, risultata infondata l’eccezione di parte convenuta
circa l’esistenza di una possibile rendita I.N.A.I.L., atteso che è emerso che
la defunta non lavorava e, semmai, proprio quel giorno, si stava recando ad un
colloquio di lavoro. L’illecito commesso ha cagionato alle attrici un danno
non patrimoniale. Più propriamente ed alla luce delle recenti elaborazioni
della Giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. le note sentenze Cass.
31.5.2003 n. 8827 e n. 8828; Cass. 12.5.2003 n.7283 e n. 7281) della Corte
Costituzionale (cfr. sentenza n. 233 11.7.2003; sentenza n. 356 12.12.2003) il
danno subito dagli attori a causa della lesione del rapporto parentale va
qualificato come danno non patrimoniale e risulta pur tuttavia risarcibile in
quanto espressione di tutela minima dei diritti costituzionalmente garantiti.
La precisazione è doverosa, in quanto sino alle pronunce citate, la tutela dei
riflessi negativi non patrimoniali sulla sfera delle vittime riflesse del danno
si è mossa nel ristretto ambito della risarcibilità del solo danno morale e/o
del danno biologico iure proprio. I Giudici dei supremi collegi, come è
noto, hanno affermato, riordinando così circa cinquant’anni di intenso
dibattito dottrinale e giurisprudenziale, la teoria dicotomica o bipolare del
danno, individuando l’esistenza di un danno di tipo patrimoniale soggetto alla
disciplina degli artt. 1223 e ss. c.p.c., ed il danno non patrimoniale,
convogliando nell’accezione tutte le voci di danno sinora utilizzate danno
biologico, danno esistenziale, danno al rapporto parentale, danno edonistico,
danno estetico, danno derivante da lesione dei diritti della personalità, danno
derivante da ingiusta detenzione (cfr. Caso Barillà Cass. 22.1.2004 n. 2050)
etc., pure risarcibile in virtù della nuova e costituzionalmente orientata
lettura dell’art. 2059 c.c. Le argomentazioni adottate dalla Consulta e dai
Giudice della Corte di Cassazione insegnano a) che la lettura
costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. impone di disattendere il
limite della risarcibilità del danno non patrimoniale nei soli casi previsti
dalla legge, quando la lesione ha riguardo a valori della persona
costituzionalmente garantiti, obbligando, anzi, nel caso di pregiudizio che
abbia inciso su di essi, alla riparazione mediante indennizzo (che costituisce
la forma minima di tutela riconosciuta dall’ordinamento); b) che la lesione
dei diritti costituzionalmente protetti e meritevoli di tutela colpisce ambiti
non patrimoniali, il cui pregiudizio apre la via al risarcimento ex art. 2059
c.c., senza il limite previsto dall’art. 185 c.p. in ragione della natura del
valore inciso. Del resto il richiamo ai “soli casi determinati dalla
legge” di cui all’art. 2059 c.c. non può non riguardare anche le norme
primarie della Carta Costituzionale. Di
recente, poi, la Corte di Cassazione, da un lato, ha affinato e puntualizzato
la terminologia giuridica (facendo confluire nella locuzione di "danno non
patrimoniale" tutte le voci afferenti la dimensione personale
dell’individuo), e, dall’altro, ha precisato il concetto di danno non
patrimoniale, delimitandone l’esatta espansione. In particolare il Supremo
Collegio ha testualmente statuito che: "Così interpretando l’art. 2059
c.c. si è rimasti nella tipicità del danno non patrimoniale, in quanto si è
ritenuto che esso sia risarcibile non solo nei casi espressamente previsti dalla
legge ordinaria, ma anche nel caso di lesioni di specifici valori
costituzionali garantiti della persona…la salute, la famiglia, la reputazione,
la libertà di pensiero…, in questo caso non vi è un generico "danno
esistenziale", - locuzione che può mascherare elementi di atipicità - "ma
un danno da lesione di quello specifico valore di cui al referente
costituzionale.." (cfr. Cass.15.7.2005 n. 15022). Il danno non
patrimoniale si differenzia ontologicamente dal danno morale soggettivo,
rappresentando la lesione di interessi costituzionalmente protetti, e può con
esso concorrere. Parte
della dottrina ha accolto con perplessità i risultati sistematici raggiunti dei
Giudice dei Supremi Collegi. Le critiche, pure mosse dalla difesa della
convenuta, sono sintetizzabili nel timore di duplicazione delle voci di danno
con conseguente illegittima duplicazione del risarcimento. Affermata
la risarcibilità del danno non patrimoniale come entità ontologicamente
distinta rispetto alle altre categorie di danno, il rilievo critico perde di
consistenza, ricadendo, semmai, sui criteri di liquidazione delle diverse
categorie. Le regole del nuovo assetto risarcitorio si completano con
l’affermazione che il danno morale soggettivo è risarcibile anche nelle ipotesi
di responsabilità per colpa presunta e responsabilità oggettiva (cfr. Cass.
1.6.2004 n. 10482). Tale ricostruzione sistematica della materia de qua è
stata confermata dalla Giurisprudenza successiva (cfr. Cass. 7.3.2005 n. 15022;
Cass. 11.11.2003 n. 1214; Cass. 19.8.2003 n. 12124; Cass. 4.11.2003; Cass.
20.2.2004 n. 3399; Cass. 7.11.2003 n. 16946; Cass. 1.6.2004 n. 10482; Cass.
1.3.2004 n. 4993; Trib. Messina 29.4.2004; Tribunale Venezia 15.3.2004). In
particolare con riferimento al caso di specie è stato affermato che l’interesse
fatto valere nel caso di danno da uccisione di congiunto è quello alla intangibilità
della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della
famiglia, alla inviolabilità della libera e piena esplicazione della attività
realizzatrice della persona umana nell’ambito di quella peculiare formazione
sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt.
2, 29 e 30 Cost. Essa si colloca nell’area del danno non patrimoniale di cui
all’art. 2059 c.c., e si distingue sia dall’interesse al bene salute art. 32
Cost., sia dall’interesse all’integrità morale art. 2 Cost. Per completezza
espositiva occorre precisare che la Giurisprudenza sopra citata ha escluso la
sussistenza del “danno in re ipsa”: il danno da lesione del rapporto
parentale, si afferma appartenete al genere “danni conseguenza”. Pertanto
spetta al soggetto leso l’onere della prova del danno subito. La Suprema
Corte ritiene che per il danno non patrimoniale quest’onere sia meno gravoso e
che “la dimostrazione del disagio e del turbamento sarà dato con l’impiego
di presunzioni e molto spesso soltanto di allegazioni. Il pregiudizio non è mai
in re ipsa, nel senso che sarebbe coincidente con la lesione dell’interesse”.
La liquidazione del danno al rapporto parentale dovrà avvenire con il criterio
equitativa di cui all’art. 1226 c.c., tenendo conto del particolare legale
affettivo delle attrici, madre e sorelle, con la vittima. Il
Tribunale ritiene di seguire le indicazioni espresse sul punto
dall’Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano, i cui studi sono stati
oggetto di diffusione anche presso l’ordine degli Avvocati per ricevere idonea
divulgazione ai fini di certezza. Tali indicazioni si concretano nel
disancorare la liquidazione del danno al rapporto parentale da un ipotetico
danno biologico della vittima e commisurarlo agli indici già richiamati, ivi
compresa la particolare intensità della relazione affettiva, indicando il danno
subito di genitori per la morte del figlio da € 100.000,00 ad € 200.000,00 e dai
fratelli conviventi da € 20.000,00 ad € 120.000,00. Nel
caso di specie, il Tribunale, peraltro, deve fronteggiarsi con allegazioni
alquanto ridotte, da parte delle attrici, risultando indicato (e non contestato
dai convenuti) unicamente che la defunta conviveva con le sigg. A. B. e M. S.,
mentre non conviveva con M. S. Altri elementi circa i rapporti familiari, la
frequentazione, l’esistenza di legami esterni non sono stati forniti, sicché
l’unico elemento con cui il Tribunale si deve misurare è quello del rapporto di
convivenza. Ora,
tenuto conto della giovane età della sig. S. S. (neppure ventitreenne all’epoca
del suo tragico decesso) e della circostanza del suo stato di disoccupazione, è
presumibile che, quantomeno nel breve periodo, la stessa avrebbe proseguito a
vivere con la madre e la sorella, anche se per quest’ultima (tenuto conto della
normale evoluzione esistenziale) è immaginabile che la stessa avrebbe lasciato
il nucleo familiare, tenuto conto che essa era più grande della defunta. Tale
fatto induce a liquidare il danno non patrimoniale nella misura di € 120.000,00
in favore A. B. e nella misura di € 45.000,00 in favore di M.S. A favore della
sorella non convivente M. S., si rende inevitabile una stima assai più
prudenziale, nella misura di € 15.000,00. La
giurisprudenza prima citata ha altresì precisato che la voce di danno non
patrimoniale al rapporto parentale si distingue concettualmente dal danno
morale, che è pure dovuto, indipendentemente dalla astratta configurazione di
ipotesi di reato. La
valutazione di tale danno dovrà comunque tenere conto del già avvenuto ristoro
della posizione soggettiva lesa e della natura transeunte, che lo caratterizza.
Si stima equo, pertanto, liquidarlo in misura pari ad un terzo del danno per
lesione al rapporto parentale e cioè in € 40.000,00 in favore A. B.; nella
misura di € 15.000,00 in favore di M.S.; di € 5.000,00 in favore della sorella
non convivente M. S. Il totale delle somme risarcitorie spettanti alle attrici
– tenuto conto che il danno patrimoniale deve presumibilmente dividersi per un
terzo ciascuno ed operato l’abbattimento del 30% per il concorso di colpa - è,
quindi, di: • € 114.456,84 quanto ad
A. B.; • € 44.456,84 quanto a M.
S.; • € 16.456,84 quanto a M.
S. Trattandosi
di somme dovute per il risarcimento di un danno diverso dal mero inadempimento
di un debito pecuniario liquido ed esigibile, esse questione rappresentano
debito di valore, e cioè debito sul quale devono essere calcolate non solo la
rivalutazione, ma anche gli interessi c.d. “compensativi” nella misura del
tasso legale (cfr. Cassazione civile sez. II, 14 febbraio 2000, n. 1622;
Cassazione civile sez. III, 3 dicembre 1999, n. 13470; Cassazione civile sez.
III, 3 dicembre 1999, n. 13463; Cassazione civile sez. III, 19 febbraio 1998,
n. 1764; Cassazione civile sez. III, 6 novembre 1998, n. 11190). Sul
punto il Giudice tiene conto della sentenza della Cassazione civile sez. un.,
17 febbraio 1995, n. 1712, secondo la quale il tasso degli interessi non può
essere calcolato sulla somma integralmente rivalutata – realizzandosi in detta
ipotesi una ingiustificata locupletazione - ma può essere computato: 1)
o, previa devalutazione della somma liquidata in moneta attuale, sulla somma
così ottenuta e progressivamente rivalutata dalla data dell’illecito sino alla
data della sentenza; 2)
o liquidando la somma in moneta dell’epoca dell’illecito e computando
distintamente la rivalutazione ed il calcolo degli interessi sulla somma
progressivamente rivalutata. Grazie
a supporto informatico – e premesso che il criterio di calcolo seguito in
questa sede è quello sub. 1), e cioè partendo da una liquidazione del danno
effettuata in moneta attuale – è possibile stabilire che le somme devalutate
alla data dell’illecito ammonta a: • € 110.584,58 quanto ad
A. B.; • € 42.952,79 quanto a
M.S.; • € 15.900,08 quanto a M.
S., e che su di essa possono
essere computati interessi compensativi al tasso legale per un ammontare di: • € 8.556,35 quanto ad A.
B.; • € 3.323,42 quanto a
M.S.; • € 1.230,25 quanto a M.
S., per giungere ad una somma
complessiva (capitale già rivalutato più interessi compensativi) di: • € 123.013,19 quanto ad
A. B.; • € 47.780,26 quanto a
M.S.; • € 17.687,09 quanto a M.
S.. Dalle
somme così determinate devono essere decurtati gli acconti per complessivi €
120.000,00, corrisposti dalla Arca Assicurazioni S.p.A. in corso di giudizio.
Il Tribunale, peraltro, constata che nessuna delle parti ha ritenuto di operare
imputazione alcuna delle somme corrisposte alle attrici, sicché ritiene di
procedere ad una imputazione pro quota, proporzionale al credito,
dovendosi presumere che l’assicurazione in tal modo volesse procedere, tenuto
conto della diversa gravità del danno subito dalle attrici. Si stima, pertanto,
di imputare • € 80.0000,00 quanto ad
A. B.; • € 30.000,00 quanto a
M.S.; • € 10.000,00 quanto a M.
S. Il credito finale delle
attrici, può quindi determinarsi in: • € 43.013,19 quanto ad
A. B.; • € 17.780,26 quanto a
M.S.; • € 7.687,09 quanto a M.
S. Su
dette somme – divenute debito di valuta per effetto della liquidazione
giudiziale - dovranno essere computati gli interessi al tasso legale dalla
pronuncia al saldo effettivo. Le
spese seguono la preponderante soccombenza dei convenuti ex art. 91 c.p.c. e
sono liquidate direttamente in dispositivo tenendo conto della natura e del
valore della controversia, della qualità e quantità delle questioni trattate e
dell’attività complessivamente svolta dai difensori, sulla base dei parametri
contemplati dalla vigente. Tariffa, e tenendo altresì conto della necessità di
liquidare comunque, anche ex officio, le spese generali di studio che
l’art. 14 della suddetta Tariffa quantifica a forfait nella misura del
12,5% (Cassazione civile, sez. III, 18 giugno 2003, n. 9700; Cassazionecivile,
sez. III, 9 aprile 2003, n. 5581; Cassazione civile, sez. II, 18 marzo 2003,
n.4002; Cassazione civile, sez. III, 3 agosto 2002, n. 11654). Il
tutto nel rispetto del principio per cui a norma dell’art. 6 d.m. 5 ottobre
1994 n. 585 (ora art. 6 d.m. 8 aprile 2004, n. 127), nei giudizi aventi ad
oggetto il pagamento di somme di denaro o di liquidazione danni, il valore
della causa, ai fini della liquidazione degli onorari difensivi, dev’essere
determinato a norma del codice civile, avendo riguardo alla somma attribuita
alla parte vittoriosa e non a quella domandata e analogamente va individuato lo
scaglione per la determinazione dei diritti di procuratore (Cassazione civile,
sez. III, 23 gennaio 2002, n. 738). Valore
che si identifica nelle somme riconosciute alle attrici al lordo del secondo
acconto di € 70.000,00 corrisposto in corso di causa, proprio perché tale
corresponsione è avvenuta dopo la proposizione della domanda, e non può
incidere, quindi, sulla valutazione del quantum della sua originaria fondatezza.
L’applicazione di tale norma varrà a commisurare l’ammontare delle spese di
lite all’esito concreto della controversia, senza ricorrere al meccanismo
compensatorio invocato da parte convenuta. P.Q.M. il Tribunale di Monza, sezione di Desio, definitivamente pronunciando,
ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede: 1) accertata la responsabilità solidale di D. V. e la Arca
Assicurazioni S.p.A. in relazione all’incidente stradale verificatosi in data 3
aprile 2004, in Meda, accertata la concorsuale responsabilità di S. E. S. ,
dato atto dell’avvenuta corresponsione da parte della Arca Assicurazioni S.p.A.
di acconti per complessivi € 120.000,00, condanna D. V. e la Arca Assicurazioni
S.p.A. in solido a corrispondere alle attrici, a titolo di risarcimento dei
danni, le residue somme di: • € 43.013,19 quanto ad
A. B.; • € 17.780,26 quanto a
M.S.; • € 7.687,09 quanto a
M. S.. oltre interessi al tasso legale dalla data della presente pronuncia al
saldo effettivo; 2) condanna D. V. e la Arca Assicurazioni S.p.A. in solido al
pagamento in favore di A. B., M.S., M. S. delle spese processuali che liquida
in € 1.118,00 per anticipazioni esenti, € 125,22 per spese, € 1.886,00 per
diritti e € 9.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. Sentenza per legge
esecutiva. Desio, 23 aprile 2007. Il Giudice |
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