Il
provvedimento che si commenta ribadisce la vigenza del duplice principio di
nozione legale di stupefacente e di tassatività dell’inserimento delle singole
sostanze nelle tabelle ministeriale, che divengono – in virtù di siffatta
catalogazione ufficiale – illecite. Nella
fattispecie concreta, oltre, al riconoscimento che la sostanza psicotropa (che
la vittima avrebbe acquistato dall’indagato) non è ricompreso nelle tabelle
allegate al T.U. sugli stupefacenti (non assumendo, pertanto, esso la veste
formale di prodotto la cui cessione sia suscettibile di valenza penale), la
Suprema Corte ha affermato, quale diretta conseguenza di questa importante
preliminare valutazione, che non susiste l’ulteriore delitto di cui all’art.
586 c.p.. A
tale conclusione dell’iter valutativo, dunque, il Collegio di legittimità
perviene sul presupposto ermeneutico che, mancando il reato che si pone quale
necessaria premessa logico-storica (la illecita cessione di stupefacente ai
sensi dell’art. 73 dpr 309/90) non si può, pertanto, ritenere
contestabile – in diritto – la sussistenza dell’ipotesi di morte come
conseguenza di altro delitto. Quello
che pone il principio di tassatività dell’inserimento della singola sostanza
nelle tabelle normative, come condicio sine qua non per derivare la effettiva
punibilità dell’insieme delle condotte di cui all’art. 73 commi 1 ed 1 bis dpr
309/90, appare, pertanto, come un orientamento ormai consolidato da
tempo, proprio per la sua realistica correttezza. Ciò
non di meno, la costante evoluzione scientifica della produzione di sostanze
con effetti psicotropi, ha creato non pochi problemi interpretativi al momento
di dare applicazione concreta alla legge. E’
questo, quindi, il maggiore problema che emerge sul piano giuridico, perchè, a
ben guardare, come si è anticipato, non vi sono stati particolari rilievi, né
in ordine alla scelta metodologica di far sì che il precetto punitivo sia
costituito in parte da un atto amministrativo (le tabelle vanno considerate in
tale classificazione), né ai criteri di inserimento delle varie sostanze natura
o chimiche. Rileva,
in modo particolare che la S.C. - nella fattispecie – ha precisato come non
possa apparire sufficiente l’inserimento nelle tabelle ministeriali,
l’inserimento del solo principio attivo, che possa essere contenuto nella
piante od in altra parte vegetale (foglie o semi), atteso il citato principio
di tassatività, in base al quale acquisiscono valenza e riflesso
penalisticamente rilevante solo le sostanza inserite nell’elenco. Da
simile premessa, infatti, deriva l’inammissibilità di quell’operazione
eremeneutica, che si sostanzia in un richiamo per relationem, in base alla
quale il giudice di prime cure aveva operato. In
concreto, appaiono sostanzilmente ed ontologicamente differenti fra loro, da un
lato, il principio attivo e dall’altro, il vegetale propriamente detto; con
l’evidente conseguenze che non può affermarsi che la sola possibile ravvisabile
presenza – nei semi o nella foglie – di quel principio attivo tabellarmente
previsto, non determina, di per sé solo, l’effetto indotto dell’automatico
assimilazione ad esso , sul piano della valutazione interpretativa di
illiceità, della pianta o di parti di essa che siano rimasto estranee alla
classificazione. Corollario
logico alle conclusioni cui perviene correttamente, e coerentemente con i
principi costituzionali e penalistici, la Suprema Corte è l’esclusione, nel
caso in esame, della sussistenza del reato di cui all’art. 586 c.p.. Tale
norma persegue situazioni di morte o lesioni che si verifichino quale
conseguenza diretta di un delitto doloso, sul presupposto di porre a titolo di
responsabilità oggettiva, a carico dell’agente, l’evento ulteriore che è
diverso da quello che l’autore voleva provocare. L’art.
586 c.p., non a caso, richiama quale principio giuridico espressamente la
disciplina contenuta nella disposizione di cui all’art. 83 c.p., ma prevede la
possibile applicazione delle pene contenute negli artt. 589 e 590 (in tema di
lesioni colpose ed omicidio colposo). La
norma in questione presenta forti analogie con l’istituto di cui all’art. 584
c.p. (che concerne il delitto preterintenzionale), pur mantenendo una diversa
strutturale e giuridica che non è revocabile in dubbio. Entrambe
le disposizioni (sia il delitto preterintenzionale di cui all’art. 584 c.p.,
come quello aggravato dall’evento di cui all’art. 586 c.p.) sono, infatti,
caratterizzate dal verificarsi di un evento non voluto, che comporta un più
severo trattamento sanzionatorio e si presentano, pertanto, come incompatibili
con il tentativo e con la desistenza volontaria, che presuppongono, invece, un
evento voluto, e non verificatosi, per circostanze indipendenti o, nella
desistenza, per resipiscenza dell’agente, con la conseguenza che non è
possibile configurare un’ipotesi di omicidio preterintenzionale tentato (Cfr.
Cass. pen., Sez. I, 21/09/2004, n.41095, Scavo, CED Cassazione, 2004, Riv.
Pen., 2006, 1, 128) Ciò
che maggiormente connota l’art. 586 c.p. è la circostanza che esso prevede
un’ipotesi di aberratio delicti, in quanto l’agente deve volere la condotta per
sé delittuosa, non l’evento cagionato (Cfr. Cass. pen., Sez. V, 15/04/2004,
n.23788, Massima redazionale, 2004). In
realtà, la fattispecie incriminatrice prevista dall’articolo 586 del c.p. si
differenzia dall’omicidio preterintenzionale perché la morte è conseguenza di un
delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni (Cfr. Cass. pen., Sez. V,
06/02/2004, n.15004, Morrone, Guida al Diritto, 2004, 23, 93), cioè non è
ravvisabile nella specie una vera e propria progressione comportamentale che
aggravi le conseguenze del gesto compiuto1. La
correlazione fra il reato di cessione di stupefacenti (attualmente regolata
dall’art. 73 dpr 309/90) ed art. 586 c.p. si è imposta
con l’ahimè triste sviluppo dell’uso degli stupefacenti, sopratutto a partire
dagli anni ’80. Una
recente pronunzia ha stabilito che “..non è necessaria la dimostrazione
della cessione di una quantità eccessiva ovvero troppo pura ovvero ancora
avariata e, dunque, di una colpa più concreta dello spacciatore ritenendo
secondo la nozione della condicio sine qua non sufficiente l’inserimento della
cessione nella catena causale, l’imputazione sulla base dell’articolo 40 del
c.p. essendo l’evenienza letale connessa alla vendita di droga da considerarsi
in questi casi prevedibile anche quando altri fattori (ad esempio pregressa
assunzione di sostanze alcoliche ignota all’imputato) abbiano avuto efficacia
concomitante ed eventualmente prevalente nella produzione dell’evento”.
(Cfr. Trib. Bologna, 17/05/2004, Guida al Diritto, 2004, 36, 69). In
buona sostanza è stato confermato quel principio invalso in giurisprudenza
secondo il quale ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo nel reato
di cui all’art. 586 c.p. quale conseguenza del presupposto delitto di spaccio
di stupefacenti, è sufficiente l’indagine circa la condotta esecutiva del
reato doloso e circa l’assenza, nel determinismo eziologico dell’evento non
voluto, di fattori eccezionali non imputabili all’agente e da costui non
dominabili (Cfr. ex plurimis Cass. pen., Sez. IV, 03/04/2003, Mazzoli,
Giur. It., 2004, 2167, nota di LOMBARDO). Anteriormente
a tale indirizzo, la responsabilità per la morte dell’assuntore della droga è
stata affermata non solo in relazione a fatti consistenti nella illecita
cessione dello stupefacente (secondo taluna delle condotte di reato individuate
nell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309), punibili ai
sensi del combinato disposto degli art. 586 e 589 c.p., ma anche ove si fosse
dimostrata la verificazione della pura e semplice agevolazione dell’uso di
stupefacenti da parte dell’assuntore, in ipotesi in cui, dovendo essere esclusa
la punibilità del fatto secondo il titolo dell’art. 73 cit. o di altro delitto
doloso, resti accertato che l’evento di danno sia la conseguenza di un
comportamento improntato a colpa generica o specifica, come tale punibile ai
sensi dell’art. 589 c.p. . Secondo
la Sez. VI del Supremo Collegio(sent. 19/12/1997, n.1318, Paralupi, Cass. Pen.,
1998, 2720, Giust. Pen., 1998, I, 710, Riv. Pen., 1998, 362) l’ipotesi di
agevolazione “può verificarsi nel caso di acquisto di droga
nell’interesse di altri soggetti con successiva distribuzione ai componenti del
gruppo acquirente - ipotesi che, pure, le Sezioni unite della Cassazione, con
la sentenza n. 4 del 1997, qualificano come "codetenzione" sottratta
all’area della illiceità penale dell’art. 73 d.P.R. cit. -: infatti, poichè il
mandatario con la propria condotta "agevola" l’uso di sostanze
stupefacenti da parte del codetentore-mandante, se dalla successiva assunzione
derivi la morte di quest’ultimo soggetto, dell’evento risponde a titolo di
colpa colui che l’assunzione ha agevolato, appunto procacciando la droga sul
mercato”. Venendo
al caso concreto l’unica fonte di perplessità proviene da un inciso che afferma
come possa essere, comunque, impregiudicata la possibilità di ravvisare
nella condotta stessa gli elementi per ricondurre la vicenda a diversa ipotesi
deluttuosa quale quella di cui all’art. 589 c.p.. Il
criptico pensiero della Corte – come detto – sorprende non poco, perchè
richiama, incidentalmente, l’ipotesi dell’omicidio colposo, che, in realtà è il
paradigma, in base al quale applicare l’art. 586 c.p. . Anche
a volere, comunque, giungere all’ipotizzazione diretta di un fattispecie di
omicidio colposo, pare di potere affermare che incomberebbe pur sempre
all’accusa l’onere di provare 1. l’esistenza di un nesso eziologico
e finalistico fra la vendita dei semi di “Rosa hawaiana” incriminati e l’atto
suicidario compiuto dall’acquirente 2. che, comunque, la vendita integri
uno dei profili di colpa che l’art. 589 c.p. prevede sotto le species
dell’ignoranza, negligenza, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o
discipline, imprudenza od imperizia. Sotto
quale di queste categorie la condotta dell’imputato può essere fatta rientrare? ________________ 1 Cfr. Cass. pen., Sez. V, 19/12/2003, n.4640, Uccheddu,
Giur. It., 2005, 591, nota di LOMBARDO Il
delitto previsto dall’art. 586 c. p. (morte come conseguenza di un altro
delitto), si differenzia dall’omicidio preterintenzionale perché nel primo
delitto l’attività del colpevole è diretta a realizzare un delitto doloso
diverso dalle percosse o dalle lesioni personali, mentre nel secondo l’attività
del colpevole è diretta a realizzare un evento che, ove non si verificasse la
morte, costituirebbe reato di percosse o lesioni. Nella preterintenzionalità,
quindi, è necessario che la lesione si riferisca allo stesso genere di
interessi giuridici (incolumità della persona), mentre nell’ipotesi di cui
all’art. 586 la morte o la lesione deve essere conseguenza di delitto doloso
diverso dalle percosse o dalle lesioni (Nel caso di specie la Corte ha
affermato la configurabilità dell’omicidio preterintenzionale, rilevando che
l’occlusione delle vie respiratorie e l’immobilizzazione, durante una rapina,
di un individuo che si dibatteva violentemente per liberarsi, costituiva
violenza fisica gravida di conseguenze lesive, che l’agente non poteva non
essersi rappresentato ed aver voluto; l’art. 581 contempla, infatti, ogni
condotta di violenta manomissione dell’altrui persona fisica, ancorché non
costituita da pugni o schiaffi). (Altalex, 30 maggio 2007.
Nota di Carlo Alberto Zaina) |
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