foto Blaco Il principio è molto antico ed è quello del “buon samaritano”,
che tradotto in termini moderni si chiama “obbligo di fermarsi in caso di
incidente stradale”. Questo, ovviamente, se ci limitiamo al diritto della
circolazione poiché, in generale, il dovere di umana solidarietà è sanzionato
dall’art. 593 del codice penale. Pare che nell’ Egitto dei faraoni,
addirittura, il semplice mancato soccorso ad una persona maltrattata venisse
punito con la pena di morte (Pufendorf, “Le droit de la nature et des gens”).
Ora, la norma punisce con la reclusione fino ad un anno il comportamento di
chi, trovando per la strada un fanciullo o un anziano incapace di provvedere a
se stesso, non avverta immediatamente la pubblica autorità. Stessa pena per
colui che non soccorre un ferito o una persona in evidente stato di pericolo.
Nel codice della strada un principio di fondamento analogo è enunciato nell’
art. 189, sotto la rubrica “comportamento in caso di incidente”. La
norma, in questo caso, svolge una funzione ancora più marcatamente preventiva
rispetto all’ omissione sanzionata dal codice penale, essendo altamente
probabile che un incidente possa produrre lesioni a coloro che vi restano
coinvolti. Il testo dell’ art. 189, pur prevedendo tre diversi livelli di
responsabilità differentemente puniti in proporzione alla gravità del
comportamento, nella sua sostanza è molto chiaro: l’ utente della strada
coinvolto nell’ incidente deve fermarsi, almeno per attendere al minimo onere
di rilasciare le proprie generalità. Eppure, nonostante tanta chiarezza, il
numero di quelli che se la danno gambe (o meglio sulle quattro ruote) è
incredibile. Solo nell’ anno 2000, per citare le statistiche ISTAT, gli episodi
denunciati in Italia sono stati ottomila e nel decennio precedente i casi sono
aumentati spaventosamente del 1312%. Di fronte ad un fenomeno di questo tipo,
l’ attenzione della giurisprudenza è aumentata e la Cassazione ha dettato, con
diverse decisioni, i parametri interpretativi. Recentemente, con la sentenza
8 novembre 2006, n. 41962, la Suprema Corte ha fatto notare con quanta gradualità l’
art. 189 cds intervenga sui comportamenti censurati dalla norma. Nel crescendo
di obblighi a carico dell’ utente in qualche modo coinvolto nell’ incidente -
come dice la Cassazione - il primo è quello di fermarsi. Il secondo è quello di
prestare assistenza a coloro che, eventualmente, abbiano subito un danno alla
persona. Che la deliberata omissione di prestare assistenza comporti una
sanzione penale è evidente e scontato, alla luce dei principi di cui si diceva
all’ inizio. Ma rispetto all’ obbligo di fermarsi il legislatore ha
differenziato il trattamento sanzionatorio: sanzione amministrativa per chi sia
fuggito dopo un incidente con soli danni a cose; sanzione penale per chi si sia
dileguato dopo un incidente con feriti. Su questo discrimine la Cassazione ha
inteso fare luce, ribaltando, nel 2006, un orientamento espresso dalla stessa
Corte nel 1998. Il problema riguarda l’ accertamento del dolo cioè, per
semplificare, la risposta ad un preciso quesito: possiamo dire che l’ utente,
nel momento in cui ha deciso di allontanarsi fosse conscio che nell’ incidente
fossero coinvolte persone ferite? Possiamo affermare, cioè, che non ritenesse
che dal sinistro si fossero prodotte solo lamiere contorte? E’ una domanda più che legittima in un paese di
automobilisti dal rachide cervicale piuttosto debole. Nel caso discusso in
Cassazione, un utente napoletano dopo aver tamponato l’ auto che lo precedeva
era sceso a constatare i danni, allontanandosi però alla chetichella senza
prestare soccorso all’ altro automobilista. A chi gli contestava l’
insensibilità nei confronti del malcapitato, aveva fatto poi rilevare come le
lesioni in realtà fossero molto lievi. Come dire: difficile accorgersene dal
momento che il sangue non era scorso. Certo che l’ omissione, ha osservato la
Cassazione, può essere punita solo con dolo, il quale investe non solo l’
incidente, ma anche il danno alle persone (contra: sentenza 13 gennaio 1998,
nr. 327), ma se nella fattispecie l’ utente correttamente era sceso, perché
invece di limitarsi a constatare il danno non si era preoccupato di verificare
eventuali malesseri dell’ altro utente? Era palese che in realtà l’ allontanato
non fosse stato dettato da negligenza ma dall’ idea fastidiosa di dover
prestare assistenza ad un contuso in grado di muoversi con le proprie gambe.
Anche sul concetto di “coinvolgimento” nell’ incidente si è discusso davanti al
Giudice di legittimità. Il caso questa volta è accaduto a Roma: un automobile
esce da un passo privato mentre sopraggiunge un ciclomotore che, frenando
repentinamente, schiva l’ impatto rovinando al suolo. Tre le giustificazioni
dell’ automobilista allontanatosi senza prestare assistenza: in primo luogo il
ragazzo dopo la caduta si era rialzato dando l’ idea di essere rimasto
incolume; in secondo luogo non si poteva parlare di coinvolgimento in un
incidente, dal momento che era mancata la collisione. Da ultimo, sul posto
erano presenti tante persone idonee a prestare soccorso al ragazzo, per cui
allontanandosi l’ utente non lo aveva certo lasciato in balia degli eventi.
Ancora una volta è la volontà di fuggire per non prestare assistenza - il dolo,
per dirla in senso tecnico - ad essere assunto in causa. Poteva, il ricorrente,
sostenere di non essersi reso conto dell’ incidente? Secondo la Corte, che la
frenata del ragazzo fosse stata determinata dal pericolo di collidere proprio
con la sua autovettura era chiaro, per cui il coinvolgimento dell’
automobilista non poteva essere messo in discussione pur in difetto di uno
scontro tra i veicoli. Né il fatto che questi si fosse rialzato dopo la caduta,
cambiava alcunché rispetto all’ omissione. Già in passato la Corte aveva osservato che l’
art. 189 cds prevede un reato omissivo di pericolo il quale si
concretizza quando l’ utente sia coinvolto in incidenti capaci di produrre
lesioni alle persone, senza la necessità che si riscontri un effettivo danno
patito fisicamente da queste ultime (Cass. Sez. IV, sentenza 12 novembre
2002, n. 3982). In altri termini non c’ è bisogno che la gravità sia
macroscopica, altrimenti un gran numero di casi resterebbe scoperto dalla
tutela fornita dalla norma. Peraltro, gli stati emotivi conseguenti ad un
investimento stradale, ineliminabili in un soggetto normalmente reattivo, non
valgono ad escludere la responsabilità per i reati di cui all’ art. 189 cds,
ma, tutt’ al più, possono eventualmente essere presi in considerazione ai fini
della determinazione della pena ai sensi dell’ art. 133 cod. pen. (Cass. Sez. IV, sent. 2
novembre 1990, n. 14358). Quindi, l’ obbligo di fermarsi in caso
d’ investimento sussiste anche quando il conducente sia stato emotivamente
colpito ed anche quando sia stato preso dal timore di essere esposto ad un
pericolo personale (per le eventuali minacce o reazioni di persone presenti al
fatto o di familiari dell’ investito), a meno che non ricorrano gli estremi
dello stato di necessità per cui l’ investitore sia costretto a sottrarsi con
la fuga al pericolo attuale di un danno grave alla sua persona, non altrimenti
evitabile. In tal caso il conducente avrà l’ onere dell’ allegazione degli
elementi che possano dimostrare il suo stato di necessità. Nella specie, l’
imputato, abbandonando l’ auto sul posto dell’ incidente, si era fatto
ricoverare all’ ospedale, ove era stato trovato affetto da uno “stato ansioso
reattivo”, tale cioè da non obnubilare od escludere del tutto la sua coscienza
e, quindi, la sua imputabilità. Cosa diversa è se l’ allontanamento sia
motivato dalla necessità di chiamare soccorso o di provvedere all’ assistenza
del ferito a bordo (Cass. sentenza 28 gennaio 1997, n. 597).
Significativo un altro caso (Cass. sentenza 21 novembre 2005, n. 41661) in
cui l’ automobilista entrato in collisione con un motociclo in fase di
sorpasso, si era fermato più avanti per vedere cosa fosse successo e vedendo il
ragazzo caduto rialzarsi aveva ripreso la marcia andandosene. In questa
congiuntura il giudice aveva statuito che l’ obbligo di fermarsi imposto al
conducente consiste non solo nel dovere di non allontanarsi dal luogo del
fatto, ma altresì in quello di rimanergli vicino, non solo fisicamente per
prestargli il primo soccorso, ma anche per farsi identificare e consentire lo
svolgimento delle prime indagini. In definitiva, per concludere, la Cassazione
ricorda che il reato di fuga - nel vecchio codice ipotesi contravvenzionale,
punita anche a titolo di negligenza - oggi è un delitto e richiede la coscienza
e la volontà di fuggire, la quale ricorre quando è evidente che l’
automobilista datosi alla fuga fosse conscio di aver compartecipato all’
accadimento di un incidente di cui avrebbe dovuto verificare i danni a cose e
persone. Degli antichi egizi abbiamo già detto, diciamo anche che, per restare
nell’ antichità, nelle sue “leggi”, l’ omissione di soccorso l’ aveva
sanzionata anche Platone e se l’ animo umano, certe volte pavido, spinge alla
fugga invece che a tendere una mano, è inutile accampare scuse per eludere una
legge della morale prima ancora che del diritto. *Funzionario
della Polizia di Stato e
Docente di Politiche della Sicurezza Presso l’Università di Bologna Da “Il Centauro” n.112 |
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