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Articoli 06/06/2007

Fuga in caso di incidente: la cassazione specifica cosa si intende per dolo


foto Blaco

Il principio è molto antico ed è quello del “buon samaritano”, che tradotto in termini moderni si chiama “obbligo di fermarsi in caso di incidente stradale”. Questo, ovviamente, se ci limitiamo al diritto della circolazione poiché, in generale, il dovere di umana solidarietà è sanzionato dall’art. 593 del codice penale. Pare che nell’ Egitto dei faraoni, addirittura, il semplice mancato soccorso ad una persona maltrattata venisse punito con la pena di morte (Pufendorf, “Le droit de la nature et des gens”). Ora, la norma punisce con la reclusione fino ad un anno il comportamento di chi, trovando per la strada un fanciullo o un anziano incapace di provvedere a se stesso, non avverta immediatamente la pubblica autorità. Stessa pena per colui che non soccorre un ferito o una persona in evidente stato di pericolo. Nel codice della strada un principio di fondamento analogo è enunciato nell’ art. 189, sotto la rubrica “comportamento in caso di incidente”. La norma, in questo caso, svolge una funzione ancora più marcatamente preventiva rispetto all’ omissione sanzionata dal codice penale, essendo altamente probabile che un incidente possa produrre lesioni a coloro che vi restano coinvolti. Il testo dell’ art. 189, pur prevedendo tre diversi livelli di responsabilità differentemente puniti in proporzione alla gravità del comportamento, nella sua sostanza è molto chiaro: l’ utente della strada coinvolto nell’ incidente deve fermarsi, almeno per attendere al minimo onere di rilasciare le proprie generalità. Eppure, nonostante tanta chiarezza, il numero di quelli che se la danno gambe (o meglio sulle quattro ruote) è incredibile. Solo nell’ anno 2000, per citare le statistiche ISTAT, gli episodi denunciati in Italia sono stati ottomila e nel decennio precedente i casi sono aumentati spaventosamente del 1312%. Di fronte ad un fenomeno di questo tipo, l’ attenzione della giurisprudenza è aumentata e la Cassazione ha dettato, con diverse decisioni, i parametri interpretativi. Recentemente, con la sentenza 8 novembre 2006, n. 41962, la Suprema Corte ha fatto notare con quanta gradualità l’ art. 189 cds intervenga sui comportamenti censurati dalla norma. Nel crescendo di obblighi a carico dell’ utente in qualche modo coinvolto nell’ incidente - come dice la Cassazione - il primo è quello di fermarsi. Il secondo è quello di prestare assistenza a coloro che, eventualmente, abbiano subito un danno alla persona. Che la deliberata omissione di prestare assistenza comporti una sanzione penale è evidente e scontato, alla luce dei principi di cui si diceva all’ inizio. Ma rispetto all’ obbligo di fermarsi il legislatore ha differenziato il trattamento sanzionatorio: sanzione amministrativa per chi sia fuggito dopo un incidente con soli danni a cose; sanzione penale per chi si sia dileguato dopo un incidente con feriti. Su questo discrimine la Cassazione ha inteso fare luce, ribaltando, nel 2006, un orientamento espresso dalla stessa Corte nel 1998. Il problema riguarda l’ accertamento del dolo cioè, per semplificare, la risposta ad un preciso quesito: possiamo dire che l’ utente, nel momento in cui ha deciso di allontanarsi fosse conscio che nell’ incidente fossero coinvolte persone ferite? Possiamo affermare, cioè, che non ritenesse che dal sinistro si fossero prodotte solo lamiere contorte? E’ una domanda più che legittima in un paese di automobilisti dal rachide cervicale piuttosto debole. Nel caso discusso in Cassazione, un utente napoletano dopo aver tamponato l’ auto che lo precedeva era sceso a constatare i danni, allontanandosi però alla chetichella senza prestare soccorso all’ altro automobilista. A chi gli contestava l’ insensibilità nei confronti del malcapitato, aveva fatto poi rilevare come le lesioni in realtà fossero molto lievi. Come dire: difficile accorgersene dal momento che il sangue non era scorso. Certo che l’ omissione, ha osservato la Cassazione, può essere punita solo con dolo, il quale investe non solo l’ incidente, ma anche il danno alle persone (contra: sentenza 13 gennaio 1998, nr. 327), ma se nella fattispecie l’ utente correttamente era sceso, perché invece di limitarsi a constatare il danno non si era preoccupato di verificare eventuali malesseri dell’ altro utente? Era palese che in realtà l’ allontanato non fosse stato dettato da negligenza ma dall’ idea fastidiosa di dover prestare assistenza ad un contuso in grado di muoversi con le proprie gambe. Anche sul concetto di “coinvolgimento” nell’ incidente si è discusso davanti al Giudice di legittimità. Il caso questa volta è accaduto a Roma: un automobile esce da un passo privato mentre sopraggiunge un ciclomotore che, frenando repentinamente, schiva l’ impatto rovinando al suolo. Tre le giustificazioni dell’ automobilista allontanatosi senza prestare assistenza: in primo luogo il ragazzo dopo la caduta si era rialzato dando l’ idea di essere rimasto incolume; in secondo luogo non si poteva parlare di coinvolgimento in un incidente, dal momento che era mancata la collisione. Da ultimo, sul posto erano presenti tante persone idonee a prestare soccorso al ragazzo, per cui allontanandosi l’ utente non lo aveva certo lasciato in balia degli eventi. Ancora una volta è la volontà di fuggire per non prestare assistenza - il dolo, per dirla in senso tecnico - ad essere assunto in causa. Poteva, il ricorrente, sostenere di non essersi reso conto dell’ incidente? Secondo la Corte, che la frenata del ragazzo fosse stata determinata dal pericolo di collidere proprio con la sua autovettura era chiaro, per cui il coinvolgimento dell’ automobilista non poteva essere messo in discussione pur in difetto di uno scontro tra i veicoli. Né il fatto che questi si fosse rialzato dopo la caduta, cambiava alcunché rispetto all’ omissione. Già in passato la Corte aveva osservato che l’ art. 189 cds prevede un reato omissivo di pericolo il quale si concretizza quando l’ utente sia coinvolto in incidenti capaci di produrre lesioni alle persone, senza la necessità che si riscontri un effettivo danno patito fisicamente da queste ultime (Cass. Sez. IV, sentenza 12 novembre 2002, n. 3982). In altri termini non c’ è bisogno che la gravità sia macroscopica, altrimenti un gran numero di casi resterebbe scoperto dalla tutela fornita dalla norma. Peraltro, gli stati emotivi conseguenti ad un investimento stradale, ineliminabili in un soggetto normalmente reattivo, non valgono ad escludere la responsabilità per i reati di cui all’ art. 189 cds, ma, tutt’ al più, possono eventualmente essere presi in considerazione ai fini della determinazione della pena ai sensi dell’ art. 133 cod. pen. (Cass. Sez. IV, sent. 2 novembre 1990, n. 14358). Quindi, l’ obbligo di fermarsi in caso d’ investimento sussiste anche quando il conducente sia stato emotivamente colpito ed anche quando sia stato preso dal timore di essere esposto ad un pericolo personale (per le eventuali minacce o reazioni di persone presenti al fatto o di familiari dell’ investito), a meno che non ricorrano gli estremi dello stato di necessità per cui l’ investitore sia costretto a sottrarsi con la fuga al pericolo attuale di un danno grave alla sua persona, non altrimenti evitabile. In tal caso il conducente avrà l’ onere dell’ allegazione degli elementi che possano dimostrare il suo stato di necessità. Nella specie, l’ imputato, abbandonando l’ auto sul posto dell’ incidente, si era fatto ricoverare all’ ospedale, ove era stato trovato affetto da uno “stato ansioso reattivo”, tale cioè da non obnubilare od escludere del tutto la sua coscienza e, quindi, la sua imputabilità. Cosa diversa è se l’ allontanamento sia motivato dalla necessità di chiamare soccorso o di provvedere all’ assistenza del ferito a bordo (Cass. sentenza 28 gennaio 1997, n. 597). Significativo un altro caso (Cass. sentenza 21 novembre 2005, n. 41661) in cui l’ automobilista entrato in collisione con un motociclo in fase di sorpasso, si era fermato più avanti per vedere cosa fosse successo e vedendo il ragazzo caduto rialzarsi aveva ripreso la marcia andandosene. In questa congiuntura il giudice aveva statuito che l’ obbligo di fermarsi imposto al conducente consiste non solo nel dovere di non allontanarsi dal luogo del fatto, ma altresì in quello di rimanergli vicino, non solo fisicamente per prestargli il primo soccorso, ma anche per farsi identificare e consentire lo svolgimento delle prime indagini. In definitiva, per concludere, la Cassazione ricorda che il reato di fuga - nel vecchio codice ipotesi contravvenzionale, punita anche a titolo di negligenza - oggi è un delitto e richiede la coscienza e la volontà di fuggire, la quale ricorre quando è evidente che l’ automobilista datosi alla fuga fosse conscio di aver compartecipato all’ accadimento di un incidente di cui avrebbe dovuto verificare i danni a cose e persone. Degli antichi egizi abbiamo già detto, diciamo anche che, per restare nell’ antichità, nelle sue “leggi”, l’ omissione di soccorso l’ aveva sanzionata anche Platone e se l’ animo umano, certe volte pavido, spinge alla fugga invece che a tendere una mano, è inutile accampare scuse per eludere una legge della morale prima ancora che del diritto.

*Funzionario della Polizia di Stato e
Docente di Politiche della Sicurezza Presso l’Università di Bologna

Da “Il Centauro” n.112  

© asaps.it

di Ugo Terracciano

da "il Centauro"
Mercoledì, 06 Giugno 2007
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