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Articoli 13/06/2007

Sulla natura del marciapiede

14054

Di recente, il Consiglio di Stato (Sezione V, sentenza n. 7 dell’8.1.2007) ha ribadito che il marciapiede è una pertinenza d’esercizio della strada (articolo 24 del codice della strada), ne costituisce parte integrante, e pertanto si presume appartenga all’ente proprietario della strada. In relazione al caso di specie, ha altresì affermato che l’apertura al transito di un vicolo chiuso realizza senz’altro, ai fini dell’applicazione di norma di piano regolatore sulla larghezza delle nuove strade, un nuovo assetto viario. Per cui ha ritenuto palesemente irrazionale ed illegittima la scelta di aprire al traffico un vicolo chiuso, a prezzo dell’eliminazione dei marciapiedi e con la carreggiata rasente alle case. La vicenda di cui si è occupato il Consiglio è interessante. Il comune di Pancalieri aveva approvato un piano di lottizzazione presentato da due privati, riguardante un loro terreno regolarmente accatastato. Per il collegamento alla viabilità comunale erano previsti una strada che sfociava in una via comunale e la costruzione di un ponte su un canale, per accedere a quest’ultima. I privati, infatti, abitavano in un vicolo cieco che terminava in coincidenza del canale. Altri privati, controinteressati, avevano peraltro impugnato la delibera comunale con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, adducendo che la previsione del ponte era illegittima, in quanto non era contenuta nel piano regolatore generale del Comune e non costituiva accesso alla rete viaria principale del Comune. Rappresentavano poi, fra l’altro, che il progetto, per raggiungere la larghezza di cinque metri stabilita in generale dal piano regolatore per le nuove strade e per le strade di collegamento coi lotti, prevedeva l’eliminazione del marciapiede antistante alle loro case, creando una situazione di pericolo per gli abitanti del vicolo. Deducevano quindi, fra le altre cose, la violazione del piano regolatore comunale, la violazione del DPR 24 luglio 1996 n. 503 sull’eliminazione delle barriere architettoniche (sotto il profilo della illogicità e contraddittorietà perché non era previsto un marciapiede sul ponte ed era prevista l’eliminazione del marciapiede sul vicolo), la violazione dell’articolo 17 della legge regionale piemontese n. 56 del 1977, modificata dall’articolo 1, comma 7, della legge regionale n. 41 del 1997, perché la trasformazione del vicolo, senza uscita, in strada di transito, costituiva modifica al piano regolatore, soggetta ad approvazione del Consiglio comunale. Soprattutto, il vicolo aveva la larghezza media di metri 3,62, e quella regolamentare di 5 metri era stata ottenuta eliminando il marciapiede e le pensiline delle case.




Il Comune, costituendosi in giudizio, aveva dichiarato che la larghezza del vicolo, inferiore ai cinque metri, era dovuta all’arbitraria realizzazione dei marciapiedi da parte degli abitanti. Il Tribunale Amministrativo Regionale dichiarava inammissibile il ricorso (per essere la deliberazione impugnata esecutiva di altra del 2004, non impugnata). Veniva adito il Consiglio di Stato. Gli appellanti sostenevano che solo con l’ultima deliberazione del Comune si era chiarito l’intendimento di modificare sostanzialmente la viabilità, e solo con l’esecuzione dei lavori i ricorrenti avevano potuto percepire la lesione dei loro interesse. Deducevano inoltre che il progetto approvato con l’ultima delibera presentava caratteristiche diverse dal piano del 2004, per quanto riguardava l’asportazione del marciapiedi (e altro). Il Consiglio di Stato ha ritenuto in parte fondato l’appello contro la decisione d’inammissibilità, considerando il progetto difforme dal piano approvato dal Consiglio comunale nel 2004. Quindi, per quanto concerneva il marciapiede, nel merito ha affermato che la scelta di aprire al traffico un vicolo chiuso a prezzo dell’eliminazione dei marciapiedi e con la carreggiata rasente alle case, sia palesemente irrazionale. Da questa pronuncia conseguono alcune riflessioni. Il fatto che il marciapiede sia pertinenza della strada non autorizza a ritenere che strada in senso stretto (ossia, carreggiata) e marciapiede costituiscano un unicum, la cui struttura possa essere modificata secondo la discrezione dell’ente proprietario (con l’eliminazione del marciapiede, ad esempio). Maggiormente, quando in gioco è un interesse pubblico connesso alle esigenze concorrenti della viabilità e della sicurezza dei cittadini. Questa ottica è stata costantemente affermata e difesa, in tema di espropriazione per pubblica utilità (ossia, ove ci sia un qualunque riflesso su un interesse superindividuale all’assetto del territorio), dalla Corte di Cassazione, la quale, in tali casi, ha ribadito più volte che la pertinenza ha una “propria individualità fisica e giuridica” (le più recenti: Cass. 4.11.2005, n. 21401; 21.9.2005, n. 18602; 7.4.2005, n. 7295; 7.11.2003, n. 16710). E il fatto che il marciapiede sia una pertinenza della strada è assodato, in quanto previsto dall’art. 24 del codice della strada, e come la stessa Suprema Corte ha rilevato di recente con la sentenza 16670 del 21.7.2006, pronuncia che sembra addirittura speculare e simmetrica con quella del Consiglio di Stato. In tale occasione, infatti, la Corte ha stabilito che “dalla proprietà pubblica del Comune sulle strade (e sulle relative pertinenze, come i marciapiedi) discende non solo l’obbligo dell’ente alla manutenzione, ma anche quello della custodia, con conseguente operatività, nei confronti dell’ente stesso, della presunzione di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ.”. In relazione all’affermazione di questa responsabilità, che pure è volta a proteggere l’interesse comune (rectius, pubblico) alla regolare e sicura gestione dei marciapiedi quali manufatti di interesse collettivo, la pronuncia del Consiglio di Stato sembra quasi essere intervenuta come l’affermazione di una tutela anticipata o avanzata. Il marciapiede è sì pertinenza della strada, ma ciò non significa che la sua finalità primaria ed essenziale, di garanzia della incolumità del pedone, debba soccombere di fronte a concorrenti esigenze di snellimento e miglioramento della rete viaria. Come l’ente proprietario deve intervenire a seguito di eventi dannosi a titolo di responsabilità civile, così deve curare l’assetto della strada e delle sue pertinenze in modo da prevenire il più possibile pericoli ed eventi pregiudizievoli. Insomma, onori ed oneri, come sempre, e come è giusto.
 
*Gip presso il Tribunale di Forlì

Da “Il Centauro” n.112 
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di Michele Leoni

da "il Centauro"
Mercoledì, 13 Giugno 2007
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