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Consiglio di Stato 14/06/2007

Extracomunitari, rinnovo permesso di soggiorno, attesa occupazione, legittimità

Consiglio di Stato , sez. VI, decisione 22.05.2007 n° 2594

 Extracomunitari – rinnovo permesso di soggiorno – attesa occupazione – legittimità

Hanno diritto al rinnovo del permesso di soggiorno gli extracomunitari che sono in attesa di occupazione ed il datore di lavoro è disponibile ad assumere lo straniero, anche se non vi è ancora il contratto. (1)

(1) Sul problema del rinnovo del permesso di soggiorno per l’extracomunitario che si prostituisce, si veda Consiglio di Stato 2231/2007.

(Fonte: Altalex Massimario)

 

Consiglio di Stato

Sezione VI

Decisione 20 marzo – 22 maggio 2007, n. 2594

(Presidente Varrone – Relatore Caracciolo)

Fatto

Con la sentenza in epigrafe il Tar della Toscana ha respinto il ricorso proposto da M. J. P. avverso il provvedimento del Questore di Firenze in data 6 aprile 2004 che gli rifiutava il rinnovo del permesso di soggiorno.

L’adito Tribunale premetteva che era impugnata una nota della Questura, Ufficio immigrazione, sez Affari legali, con cui si chiariva che il permesso di soggiorno per attesa occupazione poteva essere rinnovato solo se, prima della data della sua scadenza, fosse stato instaurato un rapporto di lavoro. Rilevava che il permesso di soggiorno per attesa occupazione rilasciato al ricorrente, era scaduto il 4 marzo 2004, senza che nel termine semestrale, fissato con provvedimento inoppugnabile, fosse stato instaurato alcun rapporto di lavoro, e che la proroga di tale tipo di permesso, nel sistema in cui il permesso di soggiorno è di regola rilasciato a seguito della stipula del contratto di soggiorno (art. 5, comma 3-bis; art. 5-bis D.lgs.n.286 del 1998, come mod. dalla legge n. 189/2002), non era prevista dalla legge. Considerava quindi che l’interesse a un più lungo periodo di attesa occupazione avrebbe potuto farsi valere solo nei confronti del provvedimento che fissava la scadenza e che la dichiarazione di mera disponibilità all’assunzione non equivaleva all’instaurazione tempestiva di un rapporto di lavoro, onde il ricorso era infondato.

Appella l’originario ricorrente deducendo i seguenti motivi:

I. Falsa applicazione ed erronea interpretazione dell’art. 22 comma 11 D.lgs 286/98 in combinato disposto con gli artt. 8-9 Conv. Oil 143/75 ratificata in Italia con l. 10.4.1981 n. 158.

È errato che il legislatore non abbia previsto la proroga del permesso per attesa occupazione, in mancanza di espressa previsione, come accade per il permesso di soggiorno per motivi di turismo (art. 13, comma 1, DPR 334/04 che dispone espressamente “non può essere rinnovato o prorogato oltre la durata di 90 giorni”) o per i permessi di lavoro stagionale (art. 38 DPR 334/04).

Le norma in materia di rinnovo, dettate dal D.lgs.286/04 e dal DPR 334/04, trovano infatti applicazione generale eccezion fatta dei detti casi espressamente previsti. Il principio per cui il lavoratore straniero che perde il posto di lavoro mantiene la posizione di legalità nel soggiorno, con conseguente diritto all’ottenimento del permesso di soggiorno, è contenuto nella Convenzione Oil 143/1975, espressamente all’art. 8. Dovendosi il legislatore conformare al detto principio, ha previsto che qualora il lavoratore perda il posto di lavoro, anche per dimissioni, quest’ultimo è “iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore a sei mesi”(art. 22, comma 11, D.lgs. 286/98). Detta norma è richiamata dall’art. 13, comma 2, del DPR 334/2002 che, nel dettare i requisiti per beneficiare del rinnovo del permesso di soggiorno, rinvia e fa salvo quanto previsto nell’art. 22, comma 11, D.lgs., ovvero che in caso di rinnovo del permesso per attesa occupazione, la p.a. non dovrà accertare la disponibilità di un reddito, che ovviamente non può essere richiesta al lavoratore straniero in condizione di disoccupazione. Quanto ai termini di durata del permesso per attesa occupazione, l’art. 22, comma 11, non a caso, prevede solo un termine minimo. Tale locuzione è infatti riportata in identico modo anche nel regolamento di attuazione, che all’art. 37, comma 1, specifica e ribadisce il diritto del lavoratore a beneficiare di un periodo per ricerca lavoro “non inferiore a sei mesi”. Il motivo per cui la norma prevede solo un termine minimo è rinvenibile nel fatto che il legislatore, ragionevolmente, ha previsto l’ipotesi che in relazione alla posizione di alcuni lavoratori disoccupati, il termine semestrale potrebbe non risultare sufficiente per reperire una nuova occupazione e pertanto, questi, in ragione delle proprie vicende personali e in virtù delle norme citate, potranno accedere al procedimento di rinnovo del titolo proponendo la relativa istanza che dovrà logicamente essere valutata dalla p.a. In armonia coi principi della normativa comunitaria e internazionale, la normativa in vigore, riconosce a tutti i lavoratori migranti il diritto a mantenere la posizione di legalità, e dunque il diritto ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno, anche in assenza della titolarità di un regolare contratto di lavoro, per il periodo minimo di sei mesi e per ulteriore periodo che la p.a dovrà valutare caso per caso. Detta tutela è peraltro legata al principio di parità di trattamento e piena eguaglianza tra lavoratori stranieri e le loro famiglie, e lavoratori italiani, come previsto dalla citata Conv. Oil, recepita anche in questo senso dall’art. 2, comma 3, D.lgs. 286/98. Se il legislatore avesse voluto limitare la durata dei permessi per attesa occupazione, come ritenuto dal Tar avrebbe utilizzato una locuzione letterale esattamente opposta, quale ad esempio “per un periodo non superiore a sei mesi”. In ogni caso il tenore letterale dell’art. 22, c. 11, non lascia adito a dubbi.

II. Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 5 D. lgs. 286/98.

La circostanza che nel caso di specie l’esponente abbia reperito una nuova opportunità di lavoro, sottoscritta peraltro pochi giorni dopo la scadenza del titolo avente durata minima, non è stata presa in considerazione ai fini del rinnovo del titolo, in violazione dell’art. 5, comma 5, del D.lgs. 286/98. I nuovi elementi sopraggiunti risultano infatti provati in corso di causa (cfr; all. 3 al ricorso) e non vi era alcuna irregolarità amministrativa che non fosse sanabile. In primo luogo perché l’istanza è pervenuta alla p.a. nei termini utili, 60 giorni dalla scadenza del permesso, come sancito da SS.UU.n. 7892/2003, ed in secondo luogo perché l’amministrazione aveva il potere discrezionale di valutare le ragioni poste a fondamento della richiesta di permesso di soggiorno recependo l’istanza e rilasciando il cedolino che avrebbe permesso al ricorrente la formalizzazione del contratto di lavoro. Cassazione I Sez. 3 febbraio 2006, n. 2147, ha chiarito che, previsto all’art. 5, comma 5, che si debba tener conto dei nuovi elementi che consentano il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno, la valutazione del possesso da parte dello straniero di adeguati mezzi di sussistenza va riferita non tanto al momento in cui viene presentata la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, ma al momento in cui la p.a. è chiamata a pronunciarsi, facendo riferimento non alla situazione pregresso ma alle condizioni attuali dello straniero. Nel caso di specie la p.a., alla luce della nuova circostanza che ha indotto il ricorrente a chiedere il rinnovo, avrebbe dovuto dapprima recepire l’istanza, giustificata proprio dal fatto sopravvenuto, rilasciando il cedolino attestante il deposito della domanda, con cui il ricorrente avrebbe poi potuto stipulare un regolare contratto col datore disposto all’assunzione.

Se l’amministrazione avesse correttamente operato, al momento di istruire il procedimento, avrebbe accertato la presenza di tutti i requisiti in capo al ricorrente, anche in relazione ai mezzi di sussistenza, potendo poi definire positivamente il procedimento di rinnovo attribuendo al P., persino un permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Il mantenimento della regolarità dell’esponente non contrastava con alcun interesse pubblico ed anzi la finalità che l’amministrazione dovrebbe perseguire è quella di mantenere, quando possibile, la regolarità del soggiorno.

III. Falsa applicazione degli artt. 5 comma 3-bis e 5 bis D.lgs. 286/98.

Le norme invocate dal Tar a sostegno dell’improrogabilità del titolo, non attengono alla fattispecie oggetto di giudizio, riferendosi a diversa ipotesi, quella del lavoratore straniero che entri per la prima volta nel territorio italiano e che debba ottenere non il rinnovo ma il rilascio del primo permesso di soggiorno. Il destinatario dell’art. 5, comma 3bis, è colui che preliminarmente ottiene dall’ambasciata italiana competente nello Stato di origine un visto di ingresso per motivi di lavoro e, successivamente entrato in Italia, otterrà il rilascio del permesso per lavoro dietro la previa stipula del contratto secondo il disposto dell’art. 5 bis. In fase di rinnovo, il contratto di lavoro non è requisito previsto dalla legge ai fini della regolarità del soggiorno: se così non fosse, gli artt. 8 e 9 Conv.Oil e l’art. 22, c. 11, verrebbero svuotati del loro reale contenuto, e la relativa disciplina sarebbe violata se l’amministrazione rifiutasse il rinnovo in assenza di un contratto in corso di validità: Tanto è vero che l’art. 13, comma 2, DPR 334/04, “rinnovo del permesso di soggiorno”, allorché richiede la documentazione attestante la disponibilità di un reddito fa espressamente salva l’ipotesi prevista dall’art. 22, comma 11.

IV. Erroneità e contraddittorietà della motivazione.

IL Tar, nel secondo motivo a sostegno del rigetto, assume che “l’interesse a un più lungo periodo di attesa occupazione potrebbe farsi valere solo nei confronti del provvedimento che fissi la scadenza”. Con ciò il Tar esclude la perentorietà del termine semestrale quale termine massimo, ex art. 22, c. 11, essendo nel nostro ordinamento, perentori solo i termini espressamente definiti tali, riconoscendo che il titolo per attesa occupazione possa avere anche durata maggiore della semestrale. Assume tuttavia che detto interesse possa farsi valere unicamente al momento dell’attribuzione del titolo. Ma il lavoratore straniero, al momento dell’ottenimento di un permesso che risulti rispettoso dei termini di durata prevista dalla legge, non ha alcun interesse a richiedere la proroga del permesso di soggiorno e/o l’ottenimento di un titolo di durata oltre i sei mesi. Trovandosi in stato di disoccupazione, spera chiaramente di non rimanere in detta condizione a lungo. Al momento del rilascio del titolo, poi, la p.a. esigerebbe di una congrua motivazione a sostegno di una tale richiesta di un più lungo termine, motivazione che non ci sarebbe in nessun caso. Il cittadino straniero non può perciò inoltrare una richiesta di soggiorno per attesa occupazione superiore a quella minima, in quanto carente di interesse. Questo sarà ben presente al verificarsi del fatto nuovo che legittimerà una richiesta di rinnovo, così in ipotesi di reperimento di un nuova occasione di lavoro, o anche in ipotesi di impossibilità al reperimento per causa di forza maggiore, quindi, in tutti i casi che logicamente seguono la già avvenuta attribuzione del titolo semestrale in quanto non possono precederla.

Priva di pregio è la circostanza che una Circolare ministeriale, del 23 ottobre 2000, antecedente alla riforma del 2002 apportata all’art. 22, c. 11, D.lgs. 268/98, affermi incidentalmente che il termine annuale, previsto ante legem 189/2002, sia un termine massimo improrogabile; il rilascio da parte delle questure di permessi di durata pari a quella minima è una prassi che non può essere portata a sistema generale della materia. Le circolari, infatti, sono meri atti interni all’Ufficio non idonee a limitare i diritti attribuiti dalla legge.

V. Carenza della motivazione.

La sentenza non ha motivato in relazione al motivo di doglianza volto a far valere la violazione dell’art. 3 l. n. 241/90. Se la p.a. è tenuta, operando in modo vincolato, ad attribuire permessi per attesa occupazione, della durata pari al termine minimo di legge, (diritto riconosciuto dalla legge in modo automatico), la stessa p.a. dinnanzi ad una richiesta di rinnovo e/o estensione del permesso semestrale, procederà in modo discrezionale. La p.a. sarà allora tenuta a valutare le circostanze, i fatti nuovi, e sopravvenuti, e le ragioni poste a fondamento dell’istanza, definendo il procedimento con un provvedimento che, essendo frutto di giudizio discrezionale, non può sottrarsi all’obbligo di motivazione, del tutto inadempiuto nel caso di specie con riferimento alle circostanze addotte dal ricorrente ai fini del rinnovo. La p.a. ha dapprima rifiutato il deposito dell’istanza, in eccesso di potere, e successivamente ha rigettato il titolo sulla scorta non di una motivata valutazione negativa, ma sull’erroneo presupposto che il contratto di lavoro è conditio sine qua non per ottenere il rinnovo del titolo di soggiorno; (nella stessa illegittimità è incorso il Tar ricalcando il percorso del provvedimento impugnato).

VI. Falsa applicazione dell’art. 13 comma 5 D.lgs. 286/98.

Le SS.UU. della Cassazione, sent. 20 maggio 2003, n. 7982, hanno chiarito, in relazione all’art. 13, comma 5, D.lgs. 286/98, che non essendovi alcuna distinzione nella posizione di soggiorno tra lo straniero che abbia presentato tempestivamente la domanda di rinnovo e quello che invece non ne abbia chiesto il rinnovo un mese prima della scadenza del permesso di soggiorno, non può essere disposta l’espulsione, prima del decorso del termine di tolleranza di 60 gg. dopo la scadenza del titolo. Da ciò la contraddittorietà del provvedimento che assume che se il lavoratore non stipula nei sei mesi alcun contratto di lavoro, deve abbandonare il territorio nazionale. Ciò non è conciliabile col principio di uguaglianza e coi principi cardine della Convenzione Oil. Se i lavoratori stranieri in possesso di regolare contratto di lavoro possono utilmente servirsi del termine di tolleranza di 60 giorni successivi alla scadenza del titolo per procedere al rinnovo dello stesso, come chiarisce la Cassazione, non può legittimarsi una disparità di trattamento rispetto ai lavoratori stranieri che perdano il posto (che per l’art. 8 della Convenzione hanno diritto a non essere considerati in posizione illegale), laddove non ne potessero usufruire.

Da un lato non è dato comprendere, seguendo il provvedimento impugnato nell’interpretazione avallata dal Tar, che configurazione giuridica abbiano i lavoratori disoccupati nel termine di tolleranza di 60 giorni, dall’altro, ammettendo l’improrogabilità del permesso per attesa occupazione, dovendo il lavoratore stipulare un contratto entro i sei mesi di durata, quest’ultimo beneficerebbe, in ultima analisi, di un termine inferiore a quello minimo di legge per ricercare e stipulare un nuovo contratto.

Si è costituita l’Amministrazione sostenendo, anche con breve memoria riassuntiva delle difese svolte in primo grado, l’infondatezza dell’appello.

Diritto

L’appello può essere accolto nei limiti indicati dalla pronunzia adottata in fase cautelare.

Deve infatti premettersi che, in linea di principio, la disciplina vigente in tema di condizione del lavoratore straniero, quale risultante dal D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e dal D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, entrambi nelle versioni risultanti dalle modifiche apportate, rispettivamente, dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, e dal corrispondente regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334, è nei sensi indicati dal provvedimento impugnato in prime cure, condivisi dalla sentenza di prime cure.

Contrariamente a quanto assume l’appellante, in base ad una lettura incompleta ed inesatta delle norme invocate, l’art. 22, comma 11, del D.lgs. 286/98, non prevede affatto che il c.d. permesso di soggiorno “per attesa occupazione” sia rilasciato per un periodo “minimo” di sei mesi, né in tal senso può trovarsi conferma nell’art. 37, del D.P.R. 394/99, se letto correttamente nell’integralità delle sue disposizioni.

L’art. 22, comma 11, cit., infatti, dispone: «La perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario ed ai suoi familiari legalmente soggiornanti. Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore a sei mesi. Il regolamento di attuazione stabilisce le modalità di comunicazione ai centri per l’impiego, anche ai fini dell’iscrizione del lavoratore straniero nelle liste di collocamento con priorità rispetto a nuovi lavoratori extracomunitari».

La norma così formulata, secondo il suo obiettivo significato risultante dalle espressioni adottate, stabilisce che l’iscrizione nelle liste di collocamento avviene,- condizionando logicamente la durata del connesso titolo permissivo del soggiorno-, in prima battuta, per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, con ciò attuandosi la previsione che la sopravvenuta disoccupazione non implica la revoca del titolo a permanere legalmente nel territorio dello Stato; peraltro, qualora il periodo di residua validità sia inferiore ai sei mesi, la legge soccorre la posizione dell’interessato, concedendogli, comunque, un periodo di iscrizione di almeno sei mesi, al fine di consentirgli la disponibilità di un congruo lasso di tempo per reperire una nuova occupazione.

Ne discende che la concessione del periodo di sei mesi ha riguardo solo ed esclusivamente all’ipotesi che il periodo residuale di vigenza del precedente titolo sia ad esso inferiore, e dunque non configura alcun generale potere discrezionale di concedere un permesso di soggiorno che, secondo la prospettazione dell’appellante, avendo in ogni caso una “prima” durata minima di sei mesi (tesi sostenuta dall’appellante), sia perciò prorogabile oltre tale termine.

Conferma di ciò si riscontra nell’art. 37 del D.P.R. 394/99. Questo prevede al comma secondo che lo straniero, naturalmente, possa «avvalersi della previsione di cui all’art. 22, comma 11, del testo unico», regolando le relative formalità procedurali. Tuttavia, ai commi 5 e 6, dispone che:

«5. Quando a norma delle disposizioni del testo unico e del presente articolo, il lavoratore straniero ha diritto a rimanere nel territorio dello Stato oltre il termine fissato dal permesso di soggiorno, la questura rinnova il permesso medesimo, previa documentata domanda dell’interessato, fino a sei mesi dalla data di iscrizione delle liste di cui al comma 1 ovvero di registrazione nell’elenco di cui al comma 2. Il rinnovo del permesso è subordinato all’accertamento, anche per via telematica, dell’inserimento dello straniero nelle liste di cui al comma 1 o della registrazione nell’elenco di cui al comma 2. Si osservano le disposizioni dell’art. 36 bis» (che, a sua volta prevede che per l’instaurazione di nuovo rapporto di lavoro deve essere sottoscritto un nuovo contratto di soggiorno di cui all’art. 13 stesso D.P.R.).

«6. Allo scadere del permesso di soggiorno, di cui al comma 5, lo straniero deve lasciare il territorio dello Stato, salvo risulti titolare di un nuovo contratto di soggiorno per lavoro ovvero abbia diritto al permesso di soggiorno ad altro titolo, secondo la normativa vigente».

Le disposizioni riportate, dunque, confermano, quanto detto in relazione alla determinazione del termine indicato dall’art. 22, comma 11, del D.lgs. 286/98, e, quindi, che il periodo di sei mesi va inteso come termine massimo, e non minimo, di permanenza «oltre il termine fissato dal permesso di soggiorno».

Ciò in quanto il periodo residuo di vigenza del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, venuto meno a seguito di intervenuta disoccupazione, sia risultato, appunto, talmente breve (in teoria fino ad un giorno prima della scadenza del titolo originario), da doversi concedere un periodo di iscrizione alle liste utile alla ricerca del posto di lavoro, e quindi abilitativo ad un titolo provvisorio oltre la scadenza del titolo originario, pari o prossimo, appunto, a quello di sei mesi previsto dall’art. 22, comma 11.

Se invece il periodo residuo di validità dell’originario permesso di soggiorno fosse stato superiore a sei mesi, esso, nella valutazione del legislatore, rimane utile per la permanenza nel territorio dello Stato, ma non rende necessario che il permesso per attesa occupazione (che si tramuta in una “novazione” dell’originario titolo per il tempo residuo) rechi una scadenza oltre il termine fissato dall’originario permesso di soggiorno.

Quindi, sia che l’attesa occupazione abbia costituito titolo per una permanenza oltre il termine originariamente stabilito, sia che, come s’è visto, tale ipotesi non si sia resa necessaria, allo scadere del permesso di soggiorno comunque rilasciato per consentire la stipula di un nuovo contratto di lavoro, (che può eccedere i sei mesi soltanto se in tale misura risulti il periodo di residua validità del titolo originario), lo straniero deve lasciare il territorio dello Stato, salvo, naturalmente, il caso che risulti titolare di un nuovo contratto di soggiorno per lavoro (ipotesi che riguarda il caso qui in decisione, in cui non viene in rilievo “altro titolo”).

Ne discende che il permesso di soggiorno previsto dall’art. 37, comma 5, del citato D.P.R. n. 394/99, come sostituito dall’art. 33 del D.P.R. n. 334/04, non è rinnovabile, ma, entro lo spirare del suo termine, determinabile nella misura massima nei modi sopra specificati, può sfociare o nella concessione di un nuovo permesso di soggiorno per lavoro subordinato, in osservanza delle disposizioni dell’art. 36 bis dello stesso D.P.R., ovvero nell’obbligo per lo straniero di lasciare il territorio dello Stato.

Tale meccanismo costituisce la specificazione del principio di legame indissolubile tra rilascio del permesso di soggiorno e stipula del contratto di soggiorno sancito dal combinato disposto dell’art. 5, comma ter, e dell’art. 5 bis del D.lgs. n. 286 del 1998, nella sua attuale formulazione, esattamente come indicato dal Tar.

È escluso, dunque, che sia configurabile, rispetto al permesso di soggiorno per attesa occupazione, un potere discrezionale di proroga oltre il termine ricavabile dall’art. 37 citato, che, d’altra parte, indica appunto un termine massimo, risultandone smentite tutte le censure variamente articolate dall’appellante sull’erroneo presupposto che il termine semestrale indicato nell’art. 22, comma 11, del D.lgs. n. 286 del 1999 sia un “termine minimo”.

Né risulta ipotizzabile una violazione dell’art. 8 della Convenzione Oil n. 143/75, ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 158, posto che la disciplina interna qui analizzata prevede appunto che la perdita del posto di lavoro non determini affatto il ritiro del permesso di soggiorno già rilasciato, ma innesca solo una “novazione” del titolo restandone inalterata la durata.

Al contempo, il complessivo meccanismo disciplinato dall’art. 37 del D.P.R. 394/99, in attuazione della previsione nello stesso senso dell’art. 22, comma 11, D.lgs. n. 286/98, attribuisce al lavoratore “migrante” un trattamento identico a quello dei cittadini nazionali, e proprio con riguardo alle «garanzie relative alla sicurezza dell’occupazione, la riqualifica, i lavori di assistenza e di reinserimento», provvidenze perfettamente compatibili e positivamente stabilite con il citato art. 37, con l’unico correttivo che l’operatività del sistema agevolativo del reperimento di una nuova occupazione è limitata nel tempo, cioè soggetta ad un termine che, risultando “ragionevole” rispetto allo scopo perseguito, (il reinserimento nel mondo del lavoro), garantisce un adeguato livello di tutela.

Per contro, il diverso risultato di un’applicabilità sine die del sistema finalizzato al collocamento del lavoratore “licenziato, dimesso o invalido” (come si esprime la rubricazione dello stesso art. 37), presupporrebbe un’equiparazione incondizionata del “migrante” al cittadino nazionale, laddove non può ritenersi che, dal rilascio del permesso di lavoro, scaturisca, in virtù della Convenzione in parola, un obbligo, in definitiva, di concedere al lavoratore straniero lo status di cittadinanza o uno comunque equivalente.

Alla risoluzione della controversia in favore del ricorrente, peraltro, può pervenirsi seguendo un percorso compatibile con le disposizioni nazionali finora esaminate, se interpretate unitamente ad altre previsioni recate dalle stesse fonti normative, pur esse invocate nelle censure appellatorie (in relazione ai motivi IV e V dedotti nel ricorso di primo grado).

Soccorre infatti l’art. 5, comma 5, del D.lgs. n. 286 del 1998, che permette allo straniero di evitare un provvedimento negativo nel caso in cui la carenza dei requisiti richiesti per il rilascio od il rinnovo del permesso di soggiorno dipenda da mere irregolarità amministrative sanabili o possa essere superata da nuovi elementi integranti le condizioni di legittimazione; la disposizione in questione va infatti interpretata nel senso che i requisiti per il rinnovo del detto permesso devono essere valutati al momento dell’assunzione della decisione da parte dell’Autorità amministrativa, con la conseguenza che l’istante può, tra l’altro, integrare la documentazione carente fino al detto momento.

Il principio ora affermato, avente appunto fondamento positivo nell’art. 5, comma 5, citato, si applica nel caso di specie anche in relazione all’art. 13, comma 5, dello stesso D.lgs. n. 286 del 1998, e della giurisprudenza di questa stessa Sezione formatasi in relazione al termine di presentazione dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno.

Da un lato il predetto art. 13, comma 5, nel prevedere che l’espulsione sia intimata nei confronti dello straniero solo «quando il permesso di soggiorno è scaduto di validità da più di sessanta giorni», introduce un “termine di tolleranza” durante il quale è escluso che lo straniero che non abbia presentato tempestivamente domanda di rinnovo del permesso di soggiorno sia in una condizione che gli precluda la richiesta “tardiva”; dall’altro, il termine indicato dall’art. 5, comma 4, del D.lgs. n. 286/98 per la detta presentazione dell’istanza di rinnovo non ha natura perentoria ma ordinatoria o acceleratoria, onde è illegittimo il diniego di rinnovo motivato con esclusivo riferimento al decorso del termine di legge, senza tenere conto delle circostanze che hanno determinato il ritardo nella presentazione dell’istanza (giurisprudenza costante, da ultimo VI, 11 settembre 2006, n. 5240).

Applicando i detti principi al caso di specie, ne discende che l’istanza del ricorrente poteva essere presa in esame ancorché proposta successivamente alla scadenza del permesso di soggiorno (in disparte ogni considerazione sull’allegato rifiuto di accettare l’istanza in precedenza opposto dall’Amministrazione a detta del ricorrente stesso), e, quindi, anche con riferimento al 5 aprile 2004 rispetto ad una scadenza del permesso per attesa occupazione intervenuta il 4 marzo 2004, collocandosi la detta istanza comunque entro il termine di tolleranza previsto dall’art. 13, comma 5, D.lgs. n. 286/98, invocato dall’interessato.

Inoltre, anche con riferimento alla detta istanza, la sussistenza dei requisiti andava presa in esame in relazione al momento, di effettiva presentazione dell’istanza, sopra specificato, ai sensi dell’art. 5, comma 5, del D.lgs. n. 286/98.

Pertanto, non rileva che, come opposto dal provvedimento impugnato, «alla scadenza del permesso di soggiorno…il nominato in oggetto non aveva instaurato alcun rapporto di lavoro» e che «la mera disponibilità all’assunzione non equivale all’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro».

In effetti, la dichiarazione in data 12 marzo 2004, allegata in sede di richiesta di rinnovo dal ricorrente, relativa alla disponibilità all’assunzione da parte di un nuovo datore di lavoro, poteva costituire un “nuovo elemento” che consentiva il rilascio del permesso, da considerare, alla data del 6 aprile di adozione del diniego impugnato, in base all’art. 5, comma 5, citato.

Nel mentre, la mancata stipula del contratto di soggiorno per lavoro subordinato ex art. 5 bis s.l., poteva considerarsi, nel contesto, mera irregolarità amministrativa sanabile. Questo perché, come già rilevato in sede cautelare da questa Sezione, il contratto non si era potuto prefezionare per la scadenza di validità, da pochi giorni intervenuta, del permesso di soggiorno per attesa occupazione, mancando, in ogni caso, in quel momento, per il rifiuto opposto dall’Amministrazione, la ricevuta della presentazione dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno.

La predetta carenza, da ritenere mera irregolarità sanabile, è stata in effetti ovviata a seguito dell’emanato provvedimento cautelare, tanto che il ricorrente, avendo ottenuto il “cedolino” comprovante l’avvenuta presentazione dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, ha potuto formalizzare il contratto ex art. 5 bis e ottenere un idoneo titolo di permanenza nel territorio dello Stato.

Nei limiti sopra specificati, dunque, l’appello va accolto.

L’incertezza della normativa in applicazione giustifica tuttavia l’integrale compensazione delle spese per entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe, confermando la sentenza impugnata.

Compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

© asaps.it
Giovedì, 14 Giugno 2007
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