Extracomunitari – rinnovo permesso di
soggiorno – attesa occupazione – legittimità Hanno
diritto al rinnovo del permesso di soggiorno gli extracomunitari che sono in
attesa di occupazione ed il datore di lavoro è disponibile ad assumere lo
straniero, anche se non vi è ancora il contratto. (1) (1)
Sul problema del rinnovo del permesso di soggiorno per l’extracomunitario che
si prostituisce, si veda Consiglio
di Stato 2231/2007. (Fonte:
Altalex Massimario) Consiglio di Stato Sezione VI Decisione 20 marzo – 22 maggio 2007, n. 2594 (Presidente Varrone – Relatore Caracciolo) Fatto Con
la sentenza in epigrafe il Tar della Toscana ha respinto il ricorso proposto da
M. J. P. avverso il provvedimento del Questore di Firenze in data 6 aprile 2004
che gli rifiutava il rinnovo del permesso di soggiorno. L’adito
Tribunale premetteva che era impugnata una nota della Questura, Ufficio
immigrazione, sez Affari legali, con cui si chiariva che il permesso di
soggiorno per attesa occupazione poteva essere rinnovato solo se, prima della
data della sua scadenza, fosse stato instaurato un rapporto di lavoro. Rilevava
che il permesso di soggiorno per attesa occupazione rilasciato al ricorrente,
era scaduto il 4 marzo 2004, senza che nel termine semestrale, fissato con
provvedimento inoppugnabile, fosse stato instaurato alcun rapporto di lavoro, e
che la proroga di tale tipo di permesso, nel sistema in cui il permesso di
soggiorno è di regola rilasciato a seguito della stipula del contratto di
soggiorno (art. 5, comma 3-bis; art. 5-bis D.lgs.n.286 del 1998, come mod. dalla
legge n. 189/2002), non era prevista dalla legge. Considerava quindi che
l’interesse a un più lungo periodo di attesa occupazione avrebbe potuto farsi
valere solo nei confronti del provvedimento che fissava la scadenza e che la
dichiarazione di mera disponibilità all’assunzione non equivaleva
all’instaurazione tempestiva di un rapporto di lavoro, onde il ricorso era
infondato. Appella
l’originario ricorrente deducendo i seguenti motivi: I.
Falsa applicazione ed erronea interpretazione dell’art. 22 comma 11 D.lgs
286/98 in combinato disposto con gli artt. 8-9 Conv. Oil 143/75 ratificata in
Italia con l. 10.4.1981 n. 158. È
errato che il legislatore non abbia previsto la proroga del permesso per attesa
occupazione, in mancanza di espressa previsione, come accade per il permesso di
soggiorno per motivi di turismo (art. 13, comma 1, DPR 334/04 che dispone
espressamente “non può essere rinnovato o prorogato oltre la durata di 90
giorni”) o per i permessi di lavoro stagionale (art. 38 DPR 334/04). Le
norma in materia di rinnovo, dettate dal D.lgs.286/04 e dal DPR 334/04, trovano
infatti applicazione generale eccezion fatta dei detti casi espressamente
previsti. Il principio per cui il lavoratore straniero che perde il posto di
lavoro mantiene la posizione di legalità nel soggiorno, con conseguente diritto
all’ottenimento del permesso di soggiorno, è contenuto nella Convenzione Oil
143/1975, espressamente all’art. 8. Dovendosi il legislatore conformare al
detto principio, ha previsto che qualora il lavoratore perda il posto di
lavoro, anche per dimissioni, quest’ultimo è “iscritto nelle liste di
collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e
comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale,
per un periodo non inferiore a sei mesi”(art. 22, comma 11, D.lgs. 286/98).
Detta norma è richiamata dall’art. 13, comma 2, del DPR 334/2002 che, nel
dettare i requisiti per beneficiare del rinnovo del permesso di soggiorno,
rinvia e fa salvo quanto previsto nell’art. 22, comma 11, D.lgs., ovvero che in
caso di rinnovo del permesso per attesa occupazione, la p.a. non dovrà
accertare la disponibilità di un reddito, che ovviamente non può essere
richiesta al lavoratore straniero in condizione di disoccupazione. Quanto ai
termini di durata del permesso per attesa occupazione, l’art. 22, comma 11, non
a caso, prevede solo un termine minimo. Tale locuzione è infatti riportata in
identico modo anche nel regolamento di attuazione, che all’art. 37, comma 1,
specifica e ribadisce il diritto del lavoratore a beneficiare di un periodo per
ricerca lavoro “non inferiore a sei mesi”. Il motivo per cui la norma prevede
solo un termine minimo è rinvenibile nel fatto che il legislatore,
ragionevolmente, ha previsto l’ipotesi che in relazione alla posizione di
alcuni lavoratori disoccupati, il termine semestrale potrebbe non risultare
sufficiente per reperire una nuova occupazione e pertanto, questi, in ragione
delle proprie vicende personali e in virtù delle norme citate, potranno
accedere al procedimento di rinnovo del titolo proponendo la relativa istanza
che dovrà logicamente essere valutata dalla p.a. In armonia coi principi della
normativa comunitaria e internazionale, la normativa in vigore, riconosce a
tutti i lavoratori migranti il diritto a mantenere la posizione di legalità, e
dunque il diritto ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno, anche in
assenza della titolarità di un regolare contratto di lavoro, per il periodo
minimo di sei mesi e per ulteriore periodo che la p.a dovrà valutare caso per
caso. Detta tutela è peraltro legata al principio di parità di trattamento e
piena eguaglianza tra lavoratori stranieri e le loro famiglie, e lavoratori
italiani, come previsto dalla citata Conv. Oil, recepita anche in questo senso
dall’art. 2, comma 3, D.lgs. 286/98. Se il legislatore avesse voluto limitare
la durata dei permessi per attesa occupazione, come ritenuto dal Tar avrebbe
utilizzato una locuzione letterale esattamente opposta, quale ad esempio “per
un periodo non superiore a sei mesi”. In ogni caso il tenore letterale
dell’art. 22, c. 11, non lascia adito a dubbi. II.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 5 D. lgs. 286/98. La
circostanza che nel caso di specie l’esponente abbia reperito una nuova
opportunità di lavoro, sottoscritta peraltro pochi giorni dopo la scadenza del
titolo avente durata minima, non è stata presa in considerazione ai fini del
rinnovo del titolo, in violazione dell’art. 5, comma 5, del D.lgs. 286/98. I
nuovi elementi sopraggiunti risultano infatti provati in corso di causa (cfr;
all. 3 al ricorso) e non vi era alcuna irregolarità amministrativa che non
fosse sanabile. In primo luogo perché l’istanza è pervenuta alla p.a. nei termini
utili, 60 giorni dalla scadenza del permesso, come sancito da SS.UU.n.
7892/2003, ed in secondo luogo perché l’amministrazione aveva il potere
discrezionale di valutare le ragioni poste a fondamento della richiesta di
permesso di soggiorno recependo l’istanza e rilasciando il cedolino che avrebbe
permesso al ricorrente la formalizzazione del contratto di lavoro. Cassazione I
Sez. 3 febbraio 2006, n. 2147, ha chiarito che, previsto all’art. 5, comma 5,
che si debba tener conto dei nuovi elementi che consentano il rilascio o il
rinnovo del permesso di soggiorno, la valutazione del possesso da parte dello
straniero di adeguati mezzi di sussistenza va riferita non tanto al momento in
cui viene presentata la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, ma al
momento in cui la p.a. è chiamata a pronunciarsi, facendo riferimento non alla
situazione pregresso ma alle condizioni attuali dello straniero. Nel caso di
specie la p.a., alla luce della nuova circostanza che ha indotto il ricorrente
a chiedere il rinnovo, avrebbe dovuto dapprima recepire l’istanza, giustificata
proprio dal fatto sopravvenuto, rilasciando il cedolino attestante il deposito
della domanda, con cui il ricorrente avrebbe poi potuto stipulare un regolare
contratto col datore disposto all’assunzione. Se
l’amministrazione avesse correttamente operato, al momento di istruire il
procedimento, avrebbe accertato la presenza di tutti i requisiti in capo al
ricorrente, anche in relazione ai mezzi di sussistenza, potendo poi definire
positivamente il procedimento di rinnovo attribuendo al P., persino un permesso
di soggiorno per lavoro subordinato. Il mantenimento della regolarità
dell’esponente non contrastava con alcun interesse pubblico ed anzi la finalità
che l’amministrazione dovrebbe perseguire è quella di mantenere, quando
possibile, la regolarità del soggiorno. III.
Falsa applicazione degli artt. 5 comma 3-bis e 5 bis D.lgs. 286/98. Le
norme invocate dal Tar a sostegno dell’improrogabilità del titolo, non
attengono alla fattispecie oggetto di giudizio, riferendosi a diversa ipotesi,
quella del lavoratore straniero che entri per la prima volta nel territorio
italiano e che debba ottenere non il rinnovo ma il rilascio del primo permesso
di soggiorno. Il destinatario dell’art. 5, comma 3bis, è colui che
preliminarmente ottiene dall’ambasciata italiana competente nello Stato di
origine un visto di ingresso per motivi di lavoro e, successivamente entrato in
Italia, otterrà il rilascio del permesso per lavoro dietro la previa stipula
del contratto secondo il disposto dell’art. 5 bis. In fase di rinnovo, il
contratto di lavoro non è requisito previsto dalla legge ai fini della
regolarità del soggiorno: se così non fosse, gli artt. 8 e 9 Conv.Oil e l’art.
22, c. 11, verrebbero svuotati del loro reale contenuto, e la relativa
disciplina sarebbe violata se l’amministrazione rifiutasse il rinnovo in
assenza di un contratto in corso di validità: Tanto è vero che l’art. 13, comma
2, DPR 334/04, “rinnovo del permesso di soggiorno”, allorché richiede la
documentazione attestante la disponibilità di un reddito fa espressamente salva
l’ipotesi prevista dall’art. 22, comma 11. IV.
Erroneità e contraddittorietà della motivazione. IL
Tar, nel secondo motivo a sostegno del rigetto, assume che “l’interesse a un
più lungo periodo di attesa occupazione potrebbe farsi valere solo nei
confronti del provvedimento che fissi la scadenza”. Con ciò il Tar esclude la
perentorietà del termine semestrale quale termine massimo, ex art. 22, c. 11,
essendo nel nostro ordinamento, perentori solo i termini espressamente definiti
tali, riconoscendo che il titolo per attesa occupazione possa avere anche
durata maggiore della semestrale. Assume tuttavia che detto interesse possa
farsi valere unicamente al momento dell’attribuzione del titolo. Ma il
lavoratore straniero, al momento dell’ottenimento di un permesso che risulti
rispettoso dei termini di durata prevista dalla legge, non ha alcun interesse a
richiedere la proroga del permesso di soggiorno e/o l’ottenimento di un titolo
di durata oltre i sei mesi. Trovandosi in stato di disoccupazione, spera
chiaramente di non rimanere in detta condizione a lungo. Al momento del
rilascio del titolo, poi, la p.a. esigerebbe di una congrua motivazione a
sostegno di una tale richiesta di un più lungo termine, motivazione che non ci
sarebbe in nessun caso. Il cittadino straniero non può perciò inoltrare una
richiesta di soggiorno per attesa occupazione superiore a quella minima, in
quanto carente di interesse. Questo sarà ben presente al verificarsi del fatto
nuovo che legittimerà una richiesta di rinnovo, così in ipotesi di reperimento
di un nuova occasione di lavoro, o anche in ipotesi di impossibilità al
reperimento per causa di forza maggiore, quindi, in tutti i casi che
logicamente seguono la già avvenuta attribuzione del titolo semestrale in
quanto non possono precederla. Priva
di pregio è la circostanza che una Circolare ministeriale, del 23 ottobre 2000,
antecedente alla riforma del 2002 apportata all’art. 22, c. 11, D.lgs. 268/98,
affermi incidentalmente che il termine annuale, previsto ante legem 189/2002,
sia un termine massimo improrogabile; il rilascio da parte delle questure di
permessi di durata pari a quella minima è una prassi che non può essere portata
a sistema generale della materia. Le circolari, infatti, sono meri atti interni
all’Ufficio non idonee a limitare i diritti attribuiti dalla legge. V.
Carenza della motivazione. La
sentenza non ha motivato in relazione al motivo di doglianza volto a far valere
la violazione dell’art. 3 l. n. 241/90. Se la p.a. è tenuta, operando in modo
vincolato, ad attribuire permessi per attesa occupazione, della durata pari al
termine minimo di legge, (diritto riconosciuto dalla legge in modo automatico),
la stessa p.a. dinnanzi ad una richiesta di rinnovo e/o estensione del permesso
semestrale, procederà in modo discrezionale. La p.a. sarà allora tenuta a
valutare le circostanze, i fatti nuovi, e sopravvenuti, e le ragioni poste a
fondamento dell’istanza, definendo il procedimento con un provvedimento che, essendo
frutto di giudizio discrezionale, non può sottrarsi all’obbligo di motivazione,
del tutto inadempiuto nel caso di specie con riferimento alle circostanze
addotte dal ricorrente ai fini del rinnovo. La p.a. ha dapprima rifiutato il
deposito dell’istanza, in eccesso di potere, e successivamente ha rigettato il
titolo sulla scorta non di una motivata valutazione negativa, ma sull’erroneo
presupposto che il contratto di lavoro è conditio sine qua non per ottenere il
rinnovo del titolo di soggiorno; (nella stessa illegittimità è incorso il Tar
ricalcando il percorso del provvedimento impugnato). VI.
Falsa applicazione dell’art. 13 comma 5 D.lgs. 286/98. Le
SS.UU. della Cassazione, sent. 20 maggio 2003, n. 7982, hanno chiarito, in
relazione all’art. 13, comma 5, D.lgs. 286/98, che non essendovi alcuna
distinzione nella posizione di soggiorno tra lo straniero che abbia presentato
tempestivamente la domanda di rinnovo e quello che invece non ne abbia chiesto
il rinnovo un mese prima della scadenza del permesso di soggiorno, non può
essere disposta l’espulsione, prima del decorso del termine di tolleranza di 60
gg. dopo la scadenza del titolo. Da ciò la contraddittorietà del provvedimento
che assume che se il lavoratore non stipula nei sei mesi alcun contratto di
lavoro, deve abbandonare il territorio nazionale. Ciò non è conciliabile col
principio di uguaglianza e coi principi cardine della Convenzione Oil. Se i
lavoratori stranieri in possesso di regolare contratto di lavoro possono
utilmente servirsi del termine di tolleranza di 60 giorni successivi alla
scadenza del titolo per procedere al rinnovo dello stesso, come chiarisce la
Cassazione, non può legittimarsi una disparità di trattamento rispetto ai
lavoratori stranieri che perdano il posto (che per l’art. 8 della Convenzione
hanno diritto a non essere considerati in posizione illegale), laddove non ne
potessero usufruire. Da
un lato non è dato comprendere, seguendo il provvedimento impugnato
nell’interpretazione avallata dal Tar, che configurazione giuridica abbiano i
lavoratori disoccupati nel termine di tolleranza di 60 giorni, dall’altro,
ammettendo l’improrogabilità del permesso per attesa occupazione, dovendo il
lavoratore stipulare un contratto entro i sei mesi di durata, quest’ultimo
beneficerebbe, in ultima analisi, di un termine inferiore a quello minimo di
legge per ricercare e stipulare un nuovo contratto. Si
è costituita l’Amministrazione sostenendo, anche con breve memoria riassuntiva
delle difese svolte in primo grado, l’infondatezza dell’appello. Diritto L’appello
può essere accolto nei limiti indicati dalla pronunzia adottata in fase
cautelare. Deve
infatti premettersi che, in linea di principio, la disciplina vigente in tema
di condizione del lavoratore straniero, quale risultante dal D.lgs. 25 luglio
1998, n. 286, e dal D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, entrambi nelle versioni
risultanti dalle modifiche apportate, rispettivamente, dalla legge 30 luglio
2002, n. 189, e dal corrispondente regolamento di attuazione di cui al D.P.R.
18 ottobre 2004, n. 334, è nei sensi indicati dal provvedimento impugnato in
prime cure, condivisi dalla sentenza di prime cure. Contrariamente
a quanto assume l’appellante, in base ad una lettura incompleta ed inesatta
delle norme invocate, l’art. 22, comma 11, del D.lgs. 286/98, non prevede
affatto che il c.d. permesso di soggiorno “per attesa occupazione” sia
rilasciato per un periodo “minimo” di sei mesi, né in tal senso può trovarsi
conferma nell’art. 37, del D.P.R. 394/99, se letto correttamente
nell’integralità delle sue disposizioni. L’art.
22, comma 11, cit., infatti, dispone: «La perdita del posto di lavoro non
costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore
extracomunitario ed ai suoi familiari legalmente soggiornanti. Il lavoratore
straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che
perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste
di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e
comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale,
per un periodo non inferiore a sei mesi. Il regolamento di attuazione
stabilisce le modalità di comunicazione ai centri per l’impiego, anche ai fini
dell’iscrizione del lavoratore straniero nelle liste di collocamento con
priorità rispetto a nuovi lavoratori extracomunitari». La
norma così formulata, secondo il suo obiettivo significato risultante dalle
espressioni adottate, stabilisce che l’iscrizione nelle liste di collocamento
avviene,- condizionando logicamente la durata del connesso titolo permissivo
del soggiorno-, in prima battuta, per il periodo di residua validità del
permesso di soggiorno, con ciò attuandosi la previsione che la sopravvenuta
disoccupazione non implica la revoca del titolo a permanere legalmente nel
territorio dello Stato; peraltro, qualora il periodo di residua validità sia
inferiore ai sei mesi, la legge soccorre la posizione dell’interessato,
concedendogli, comunque, un periodo di iscrizione di almeno sei mesi, al fine
di consentirgli la disponibilità di un congruo lasso di tempo per reperire una
nuova occupazione. Ne
discende che la concessione del periodo di sei mesi ha riguardo solo ed
esclusivamente all’ipotesi che il periodo residuale di vigenza del precedente
titolo sia ad esso inferiore, e dunque non configura alcun generale potere
discrezionale di concedere un permesso di soggiorno che, secondo la
prospettazione dell’appellante, avendo in ogni caso una “prima” durata minima
di sei mesi (tesi sostenuta dall’appellante), sia perciò prorogabile oltre tale
termine. Conferma
di ciò si riscontra nell’art. 37 del D.P.R. 394/99. Questo prevede al comma
secondo che lo straniero, naturalmente, possa «avvalersi della previsione di
cui all’art. 22, comma 11, del testo unico», regolando le relative formalità
procedurali. Tuttavia, ai commi 5 e 6, dispone che: «5.
Quando a norma delle disposizioni del testo unico e del presente articolo, il
lavoratore straniero ha diritto a rimanere nel territorio dello Stato oltre il
termine fissato dal permesso di soggiorno, la questura rinnova il permesso
medesimo, previa documentata domanda dell’interessato, fino a sei mesi dalla
data di iscrizione delle liste di cui al comma 1 ovvero di registrazione
nell’elenco di cui al comma 2. Il rinnovo del permesso è subordinato
all’accertamento, anche per via telematica, dell’inserimento dello straniero
nelle liste di cui al comma 1 o della registrazione nell’elenco di cui al comma
2. Si osservano le disposizioni dell’art. 36 bis» (che, a sua volta prevede che
per l’instaurazione di nuovo rapporto di lavoro deve essere sottoscritto un
nuovo contratto di soggiorno di cui all’art. 13 stesso D.P.R.). «6.
Allo scadere del permesso di soggiorno, di cui al comma 5, lo straniero deve
lasciare il territorio dello Stato, salvo risulti titolare di un nuovo
contratto di soggiorno per lavoro ovvero abbia diritto al permesso di soggiorno
ad altro titolo, secondo la normativa vigente». Le
disposizioni riportate, dunque, confermano, quanto detto in relazione alla determinazione
del termine indicato dall’art. 22, comma 11, del D.lgs. 286/98, e, quindi, che
il periodo di sei mesi va inteso come termine massimo, e non minimo, di
permanenza «oltre il termine fissato dal permesso di soggiorno». Ciò
in quanto il periodo residuo di vigenza del permesso di soggiorno per lavoro
subordinato, venuto meno a seguito di intervenuta disoccupazione, sia
risultato, appunto, talmente breve (in teoria fino ad un giorno prima della
scadenza del titolo originario), da doversi concedere un periodo di iscrizione
alle liste utile alla ricerca del posto di lavoro, e quindi abilitativo ad un
titolo provvisorio oltre la scadenza del titolo originario, pari o prossimo,
appunto, a quello di sei mesi previsto dall’art. 22, comma 11. Se
invece il periodo residuo di validità dell’originario permesso di soggiorno
fosse stato superiore a sei mesi, esso, nella valutazione del legislatore,
rimane utile per la permanenza nel territorio dello Stato, ma non rende
necessario che il permesso per attesa occupazione (che si tramuta in una
“novazione” dell’originario titolo per il tempo residuo) rechi una scadenza
oltre il termine fissato dall’originario permesso di soggiorno. Quindi,
sia che l’attesa occupazione abbia costituito titolo per una permanenza oltre il
termine originariamente stabilito, sia che, come s’è visto, tale ipotesi non si
sia resa necessaria, allo scadere del permesso di soggiorno comunque rilasciato
per consentire la stipula di un nuovo contratto di lavoro, (che può eccedere i
sei mesi soltanto se in tale misura risulti il periodo di residua validità del
titolo originario), lo straniero deve lasciare il territorio dello Stato,
salvo, naturalmente, il caso che risulti titolare di un nuovo contratto di
soggiorno per lavoro (ipotesi che riguarda il caso qui in decisione, in cui non
viene in rilievo “altro titolo”). Ne
discende che il permesso di soggiorno previsto dall’art. 37, comma 5, del
citato D.P.R. n. 394/99, come sostituito dall’art. 33 del D.P.R. n. 334/04, non
è rinnovabile, ma, entro lo spirare del suo termine, determinabile nella misura
massima nei modi sopra specificati, può sfociare o nella concessione di un
nuovo permesso di soggiorno per lavoro subordinato, in osservanza delle
disposizioni dell’art. 36 bis dello stesso D.P.R., ovvero nell’obbligo per lo
straniero di lasciare il territorio dello Stato. Tale
meccanismo costituisce la specificazione del principio di legame indissolubile
tra rilascio del permesso di soggiorno e stipula del contratto di soggiorno
sancito dal combinato disposto dell’art. 5, comma ter, e dell’art. 5 bis del
D.lgs. n. 286 del 1998, nella sua attuale formulazione, esattamente come
indicato dal Tar. È
escluso, dunque, che sia configurabile, rispetto al permesso di soggiorno per
attesa occupazione, un potere discrezionale di proroga oltre il termine
ricavabile dall’art. 37 citato, che, d’altra parte, indica appunto un termine
massimo, risultandone smentite tutte le censure variamente articolate
dall’appellante sull’erroneo presupposto che il termine semestrale indicato
nell’art. 22, comma 11, del D.lgs. n. 286 del 1999 sia un “termine minimo”. Né
risulta ipotizzabile una violazione dell’art. 8 della Convenzione Oil n.
143/75, ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 158, posto che la disciplina
interna qui analizzata prevede appunto che la perdita del posto di lavoro non
determini affatto il ritiro del permesso di soggiorno già rilasciato, ma
innesca solo una “novazione” del titolo restandone inalterata la durata. Al
contempo, il complessivo meccanismo disciplinato dall’art. 37 del D.P.R.
394/99, in attuazione della previsione nello stesso senso dell’art. 22, comma
11, D.lgs. n. 286/98, attribuisce al lavoratore “migrante” un trattamento
identico a quello dei cittadini nazionali, e proprio con riguardo alle «garanzie
relative alla sicurezza dell’occupazione, la riqualifica, i lavori di
assistenza e di reinserimento», provvidenze perfettamente compatibili e
positivamente stabilite con il citato art. 37, con l’unico correttivo che
l’operatività del sistema agevolativo del reperimento di una nuova occupazione
è limitata nel tempo, cioè soggetta ad un termine che, risultando “ragionevole”
rispetto allo scopo perseguito, (il reinserimento nel mondo del lavoro),
garantisce un adeguato livello di tutela. Per
contro, il diverso risultato di un’applicabilità sine die del sistema
finalizzato al collocamento del lavoratore “licenziato, dimesso o invalido”
(come si esprime la rubricazione dello stesso art. 37), presupporrebbe
un’equiparazione incondizionata del “migrante” al cittadino nazionale, laddove
non può ritenersi che, dal rilascio del permesso di lavoro, scaturisca, in
virtù della Convenzione in parola, un obbligo, in definitiva, di concedere al
lavoratore straniero lo status di cittadinanza o uno comunque equivalente. Alla
risoluzione della controversia in favore del ricorrente, peraltro, può
pervenirsi seguendo un percorso compatibile con le disposizioni nazionali
finora esaminate, se interpretate unitamente ad altre previsioni recate dalle
stesse fonti normative, pur esse invocate nelle censure appellatorie (in
relazione ai motivi IV e V dedotti nel ricorso di primo grado). Soccorre infatti l’art. 5, comma 5, del D.lgs. n. 286 del 1998, che
permette allo straniero di evitare un provvedimento negativo nel caso in cui la
carenza dei requisiti richiesti per il rilascio od il rinnovo del permesso di
soggiorno dipenda da mere irregolarità amministrative sanabili o possa essere
superata da nuovi elementi integranti le condizioni di legittimazione; la
disposizione in questione va infatti interpretata nel senso che i requisiti per
il rinnovo del detto permesso devono essere valutati al momento dell’assunzione
della decisione da parte dell’Autorità amministrativa, con la conseguenza che
l’istante può, tra l’altro, integrare la documentazione carente fino al detto
momento. Il principio ora affermato, avente appunto fondamento positivo
nell’art. 5, comma 5, citato, si applica nel caso di specie anche in relazione
all’art. 13, comma 5, dello stesso D.lgs. n. 286 del 1998, e della giurisprudenza
di questa stessa Sezione formatasi in relazione al termine di presentazione
dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno. Da un lato il predetto art. 13, comma 5, nel prevedere che
l’espulsione sia intimata nei confronti dello straniero solo «quando il
permesso di soggiorno è scaduto di validità da più di sessanta giorni»,
introduce un “termine di tolleranza” durante il quale è escluso che lo
straniero che non abbia presentato tempestivamente domanda di rinnovo del
permesso di soggiorno sia in una condizione che gli precluda la richiesta
“tardiva”; dall’altro, il termine indicato dall’art. 5, comma 4, del D.lgs. n.
286/98 per la detta presentazione dell’istanza di rinnovo non ha natura
perentoria ma ordinatoria o acceleratoria, onde è illegittimo il diniego di
rinnovo motivato con esclusivo riferimento al decorso del termine di legge,
senza tenere conto delle circostanze che hanno determinato il ritardo nella
presentazione dell’istanza (giurisprudenza costante, da ultimo VI, 11 settembre
2006, n. 5240). Applicando i detti principi al caso di specie, ne discende che
l’istanza del ricorrente poteva essere presa in esame ancorché proposta
successivamente alla scadenza del permesso di soggiorno (in disparte ogni
considerazione sull’allegato rifiuto di accettare l’istanza in precedenza
opposto dall’Amministrazione a detta del ricorrente stesso), e, quindi, anche
con riferimento al 5 aprile 2004 rispetto ad una scadenza del permesso per
attesa occupazione intervenuta il 4 marzo 2004, collocandosi la detta istanza
comunque entro il termine di tolleranza previsto dall’art. 13, comma 5, D.lgs.
n. 286/98, invocato dall’interessato. Inoltre, anche con riferimento alla detta istanza, la sussistenza dei
requisiti andava presa in esame in relazione al momento, di effettiva
presentazione dell’istanza, sopra specificato, ai sensi dell’art. 5, comma 5,
del D.lgs. n. 286/98. Pertanto,
non rileva che, come opposto dal provvedimento impugnato, «alla scadenza del
permesso di soggiorno…il nominato in oggetto non aveva instaurato alcun
rapporto di lavoro» e che «la mera disponibilità all’assunzione non equivale
all’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro». In
effetti, la dichiarazione in data 12 marzo 2004, allegata in sede di richiesta
di rinnovo dal ricorrente, relativa alla disponibilità all’assunzione da parte
di un nuovo datore di lavoro, poteva costituire un “nuovo elemento” che
consentiva il rilascio del permesso, da considerare, alla data del 6 aprile di
adozione del diniego impugnato, in base all’art. 5, comma 5, citato. Nel
mentre, la mancata stipula del contratto di soggiorno per lavoro subordinato ex
art. 5 bis s.l., poteva considerarsi, nel contesto, mera irregolarità
amministrativa sanabile. Questo perché, come già rilevato in sede cautelare da
questa Sezione, il contratto non si era potuto prefezionare per la scadenza di
validità, da pochi giorni intervenuta, del permesso di soggiorno per attesa
occupazione, mancando, in ogni caso, in quel momento, per il rifiuto opposto
dall’Amministrazione, la ricevuta della presentazione dell’istanza di rinnovo
del permesso di soggiorno. La
predetta carenza, da ritenere mera irregolarità sanabile, è stata in effetti
ovviata a seguito dell’emanato provvedimento cautelare, tanto che il
ricorrente, avendo ottenuto il “cedolino” comprovante l’avvenuta presentazione
dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, ha potuto formalizzare il
contratto ex art. 5 bis e ottenere un idoneo titolo di permanenza nel
territorio dello Stato. Nei
limiti sopra specificati, dunque, l’appello va accolto. L’incertezza
della normativa in applicazione giustifica tuttavia l’integrale compensazione
delle spese per entrambi i gradi di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie
il ricorso in appello indicato in epigrafe, confermando la sentenza impugnata. Compensa le spese di giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità
amministrativa. |
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