Sabato 23 Novembre 2024
area riservata
ASAPS.it su
Corte di Cassazione 27/06/2007

Giurisprudenza di legittimità - SANZIONI AMMINISTRATIVE - RIMOZIONE DEI CARTELLONI PUBBLICITARI ABUSIVI

(Cass. Civ., sez. II, 15 maggio 2007, n. 11115)

Giurisprudenza di legittimità
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
Sezione II, 15 maggio 2007, n. 11115

 
SANZIONI AMMINISTRATIVE - RIMOZIONE DEI CARTELLONI PUBBLICITARI ABUSIVI.

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 13 quater, del codice della strada, laddove consente all’amministrazione di rimuovere senza indugio i cartelli pubblicitari installati senza autorizzazione sul suolo pubblico ove costituiscano intralcio alla circolazione senza darne preventivo avviso al trasgressore, essendo la misura giustificata dalla necessità di adottare tempestivamente un provvedimento volto a tutelare la pubblica incolumità, e come tale indifferibile. 

 °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società CO.XX. S. s.r.l. proponeva al Giudice di Pace di Monza opposizione avverso n. 8 verbali emessi dalla Provincia di Milano di contestazione della violazione dell’art. 23 comma 13 quater del codice della strada e di avvenuta rimozione dei cartelli pubblicitari installati sul suolo appartenente alla Provincia senza autorizzazione e costituenti pericolo per la circolazione stradale.
La Provincia di Milano chiedeva il rigetto dell’opposizione.
Con sentenza del 30 giugno 2003 il Giudice di Pace rigettava il ricorso.
Per quel che ancora interessa nella presente fase, il primo giudice riteneva manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 23 comma 13 quater in riferimento all’ art. 24 Cost. - laddove consente la rimozione di cartelli pubblicitari senza preventiva comunicazione al trasgressore trattandosi d l provvedimento previsto dall’ordinamento a tutela della pubblica incolumità, sicché legittimo
è il differimento a un momento successivo della difesa dei diritti dell’interessato.
Per le stesse considerazioni doveva ritenersi inapplicabile l’eccezione di mancata applicazione dell’art. 7 della L. 241 del 1990 in ordine all’avviso di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo.
La sentenza quindi riteneva correttamente individuata la responsabilità della società CO.XX. S.,in solido con l’autore della violazione non identificato, in quanto proprietaria dei cartelli pubblicitari.
Era quindi disattesa l’eccezione relativa alla distinzione fra verbale di accertamento e verbale di contestazione operata dalla ricorrente, non essendo necessaria una duplice verbalizzazione al di fuori dei casi in cui la contestazione immediata non sia possibile.
Infine, l’appartenenza alla Provincia della proprietà del suolo sul quale erano stati apposti i cartelli, era dimostrata dalle mappe catastali, non avendo controparte fornito prova contraria di valore pari o superiore.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la società CO.XX. S. sulla base di sei motivi.
Resiste con controricorso la Provincia di Milano.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente, riproponendo l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 23 coma 13 quater cod. della strada in relazione agli artt. 24 e 25 Cost. e lamentando altresì violazione e falsa applicazione dell’art. 23 citato (art. 360 n. 3 cod.proc. civ.), deduce che l’art. 23, nella formulazione introdotta dalla legge n. 472/1999,non ha più natura di sanzione accessoria ma, nel prevedere la rimozione senza indugio dei manufatti da parte dell’ente proprietario del suolo senza che il proprietario dei manufatti possa opporsi, è lesivo dei diritti del destinatario del provvedimento che non ha alcuna possibilità di richiederne la sospensione, anche nel caso in cui i cartelli siano ubicati su proprietà di terzi e non siano pericolosi, atteso che l’atto è già compiuto quando esso viene notificato unitamente al verbale di contestazione. Il provvedimento è disposto dall’Amministrazione e non dal giudice e, a differenza di quanto stabilito dal codice di procedura civile in materia di procedimenti cautelari, non è suscettibile di reclamo né è previsto un giudizio di merito.
L’interesse pubblico al quale aveva accennato il giudice di pace
è dato non dall’esigenza per la P.A. di farsi ragione da sola in caso di cartelli non autorizzati ma dall’interesse alla legittimità dei provvedimenti amministrativi.
Le rimozione, essendo una sanzione irrogata a tempo indeterminato, ha una valenza espropriativa e in ogni caso, anche dopo la restituzione dell’impianto e il pagamento delle spese di custodia, il relativo godimento
è compromesso senza che vi sia alcun procedimento di cognizione sulla legittimità o meno dell’atto ablatorio.
Il motivo va disatteso.
La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente
è manifestamente infondata.
La rimozione senza indugio prevista dall’ art. 23 comma 13 quater cod. strada e l’assenza della
 preventiva comunicazione al destinatario sono evidentemente giustificati dalla necessità di adottare tempestivamente un provvedimento che, essendo diretto a tutelare la pubblica incolumità, non potrebbe essere differito se non mettendo a rischio l’interesse generale protetto dalla norma.
Il diritto del proprietario dei manufatti
è comunque garantito dalla possibilità di proporre le proprie difese seppure successivamente alla intervenuta rimozione.
La differente disciplina prevista dal codice della strada rispetto a quella dettata nell’ambito dei rapporti privatistici dagli art. 669 bis ss. cod. proc. civ. per procedimenti cautelari, è giustificata dalla natura dell’interesse generale alla pubblica incolumità perseguito dalla normativa in esame.
Il riferimento al carattere ablatorio del provvedimento appare fuori luogo, atteso che la rimozione disposta senza indugio non
è finalizzata all’acquisizione da parte dell’Autorità del diritto di proprietà del privato ma costituisce una misura cautelare adottata in presenza di un atto illecito, consistito nella collocazione di cartelli pubblicitari in assenza di autorizzazione dell’ente proprietario: ove il provvedimento sia emesso fuori dei casi consentiti il privato potrà ricorrere alla tutela restitutoria e/o risarcitoria.
Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 23 cod. della strada nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), deduce che erroneamente era stata ritenuta responsabile solidale con l’autore della violazione che non era stato nemmeno identificato, giacché responsabili dovevano ritenersi le ditte fruitici della pubblicità.

Mentre la solidarietà non è prevista dall’art. 23 commi 4 e 13 bis cod. strada, la sentenza impugnata aveva erroneamente applicato alla specie gli artt.196 cod. della strada e l’art. 6 L. 689/198: la prima non contiene al riguardo alcuna disposizione, essendo dettata esclusivamente per i veicoli in circolazione, mentre la seconda trova applicazione solo per i casi in cui il responsabile in solido sia stato destinatario di specifico accertamento e di contestazione della violazione, non essendo la norma suscettibile di interpretazione analogica.
La solidarietà
è configurabile soltanto in relazione alle sanzioni pecuniarie e non è applicabile alla rimozione che è sanzione restitutoria con valenza espropriativa. La ricorrente, quale proprietaria degli impianti, non poteva essere destinataria e legittimata passiva della rimozione e delle relative spese, non potendo applicarsi l’art. 23 comma 11 cod. strada.
Inoltre, erroneamente la ricorrente era stata ritenuta responsabile, perché autore della istallazione era stato presumibilmente un dipendente della società.

Il motivo è infondato.
In tema di sanzioni amministrative, l’identificazione dell’autore materiale della violazione non costituisce requisito di legittimità dell’ordinanza
-ingiunzione emessa nei confronti dell’obbligato solidale, ai sensi dell’art. 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689, atteso che la “ratio” della norma non è quella di far fronte a situazioni d’insolvenza del trasgressore, bensì di evitare che l’illecito resti impunito quando sia impossibile identificare tale ultimo soggetto e sia, invece, facilmente identificabile uno di quelli, solidalmente obbligati, individuati nei primi tre commi della norma stessa in base ad un determinato rapporto giuridico con l’autore della violazione (Cass. 472/2006). L’art. 6 della legge n. 689 del 1981 considera obbligato in solido con l’autore materiale della violazione il proprietario della cosa che servì a commetterla, nonché la persona rivestita dell’autorità o incaricata della direzione o vigilanza nei suoi confronti: pertanto, con riferimento alla affissione di manifesti pubblicitari in violazione delle relative prescrizioni, legittimamente viene chiamata a rispondere dell’infrazione la società proprietaria dei manifesti medesimi (Cass. 27796/2005), che - in quanto tale - è necessariamente il soggetto destinatario del provvedimento di rimozione conseguente all’illecito e delle spese sostenute dall’Amministrazione ai sensi dell’art. 23 coma 13 quater cod. strada.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 383, 384 e 385 reg. esec. cod. strada (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) nonché omessa, insufficiente e contraddittoria
 motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), censura la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto infondata la distinzione fra verbale di accertamento e verbale di contestazione dell’illecito amministrativo, deducendo che nella specie non si comprenderebbe neppure la natura giuridica dei verbali notificati che, seppure recassero l’intestazione “verbale di contestazione”, sembrerebbero dei verbali di accertamento; in realtà, accertamento e contestazione, in quanto fasi autonome del procedimento sanzionatorio, concettualmente e giuridicamente diverse, necessitano entrambe di verbalizzazione; d’altra parte, il richiamo all’art. 384 reg. esec. cod. strada, compiuto dalla sentenza impugnata, è riferito alle sole trasgressioni verificatesi durante la circolazione dei veicoli a motore e non è estensibile all’ipotesi de qua; nella specie, la rimozione degli impianti era stata effettuata prima ed in assenza di contraddittorio con la proprietaria e, quindi, si era proceduto alla contestazione senza alcun verbale di accertamento.
Il motivo va disatteso.
La sentenza impugnata ha correttamente ritenuto che di regola l’accertamento dell’illecito amministrativo non
è un momento distinto rispetto alla contestazione.
Infatti, ai sensi degli artt. 14 L. n. 689/1981 e 201 cod. strada, la violazione dell’illecito amministrativo, quando
è possibile, deve essere contestata immediatamente, e ciò proprio a garanzia del diritto di difesa dell’incolpato: l’art. 384 reg. esec. cod. strada elenca, a titolo esemplificativo, i casi in cui è legittimo derogare in via eccezionale alla contestazione immediata.
Nessuna doglianza può ragionevolmente lamentare la ricorrente atteso che, secondo la ricostruzione in fatto compiuta dal giudice di merito, i verbali notificati contenevano l’accertamento e la contestazione dell’illecito addebitato. Per quanto concerne la rimozione, occorre ribadire quanto già detto in occasione dell’esame del primo motivo.
Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L. 241/990 (art. 360
n. 3 cod. proc. civ.) nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), censura la sentenza impugnata che aveva escluso l’obbligo per l’Amministrazione di preventiva comunicazione dell’inizio del procedimento amministrativo.
Il motivo va disatteso.
In tema di sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, non trova applicazione l’art. 7 della legge n. 241/1990, secondo cui l’avvio del procedimento amministrativo deve essere comunicato ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale
è destinato a produrre i suoi effetti, atteso che la L. 689/1981 è legge speciale che prevale su quella a generale ed assicura garanzie non inferiori al minimum prescritto dalla legge generale stessa, in quanto prevede non solo che il trasgressore sia immediatamente informato dell’inizio del procedimento con la contestazione o la notificazione, ma anche che possa esercitare nel modo più ampio il proprio diritto di difesa, prima dell’emanazione dell’eventuale ordinanza-ingiunzione da parte dell’autorità competente (Cass. 4670/2003).
Con il quinto motivo la ricorrente, lamentando omessa ,insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), denuncia che la sentenza non aveva motivato in ordine all’esistenza dei presupposti per l’applicazione in concreto dell’art. 23 comma 13 quater cod. strada e sulla validità della motivazione contenuta nei verbali impugnati.
La censura infondata.
La sentenza impugnata, nel considerare legittima la rimozione senza indugio dei cartelli pubblicitari disposta, ai sensi dell’art .23 coma 13 quater cod. strada, nell’interesse della pubblica incolumità, ha implicitamente ritenuto l’esistenza di una situazione di pericolo.
D’altra parte, il contenuto dell’obbligo imposto dall’articolo 18, comma secondo, della legge 24 novembre 1981 n. 689, di motivare l’atto applicativo della sanzione amministrativa, va individuato in funzione dello scopo della motivazione stessa, che
è quello di consentire all’ingiunto la tutela dei suoi diritti mediante l’opposizione. Pertanto, il suddetto obbligo deve considerarsi soddisfatto quando, nel suo contenuto minimo, l’ingiunzione descriva la condotta sanzionata e indichi la violazione addebitata, in modo che l’ingiunto possa far valere le sue ragioni e il giudice esercitare il controllo giurisdizionale che gli e demandato. (Cass. 10478/2006) .
Con il sesto motivo la ricorrente, lamentando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.
) , censura la sentenza che, invertendo l’onere della prova, aveva ritenuto dimostrato che i cartelli pubblicitari erano stati ubicati su proprietà della Provincia e che la società CO.XX. S. non avrebbe offerto la prova contraria.
Tenuto conto che la contestazione concerneva la mancanza di autorizzazione alla collocazione di cartelli pubblicitari da parte dell’ente proprietario della strada, sarebbe stato onere della Provincia fornire la prova della proprietà del suolo su cui i predetti cartelli erano stati installati, dimostrando il titolo di proprietà originario o derivativo-non essendo al riguardo sufficiente, come invece ritenuto dalla decisione impugnata, l’allegazione delle mappe catastali; né, d’altra parte, dai registri immobiliari era risultata la trascrizione a favore della Provincia di alcun titolo di acquisto.
La motivazione, limitandosi a richiamare le mappe catastali, non aveva formulato neppure un giudizio per presunzioni, che avrebbe dovuto dare contezza degli elementi gravi, precisi e concordanti per desumere la proprietà a favore della Provincia.
Il motivo va disatteso.
La sentenza ha ritenuto che la Provincia aveva offerto la prova della proprietà attraverso le mappe catastali, rilevando che tale prova non era stata smentita da altre risultanze.
Dunque, il giudice di merito ha accertato la proprietà fondandola sulla prova per presunzioni, fornendo una motivazione che
è immune da vizi logici e giuridici: non vertendosi in tema di rivendicazione, la prova del diritto non richiedeva evidentemente il rigore previsto dall’art. 948 cod. civ.
In tema di presunzioni
, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice di merito circa l’opportunità di fondare la decisione su tale mezzo di prova e circa la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare gli elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata al riguardo sia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la la prova per presunzioni (Cass. 10135/2005).
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente.

 P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in euro 1.600 di cui euro 100 per esborsi ed euro 1.500 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 febbraio 2007.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2007

© asaps.it
Mercoledì, 27 Giugno 2007
stampa
Condividi


Area Riservata


Attenzione!
Stai per cancellarti dalla newsletter. Vuoi proseguire?

Iscriviti alla Newsletter
SOCIAL NETWORK