Giurisprudenza di legittimità CORTE DI CASSAZIONE
CIVILE Sezione II, 15 maggio 2007, n.
11115
SANZIONI
AMMINISTRATIVE - RIMOZIONE DEI CARTELLONI PUBBLICITARI ABUSIVI.
E’ manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 13
quater, del codice della strada, laddove consente all’amministrazione di
rimuovere senza indugio i cartelli pubblicitari installati senza autorizzazione
sul suolo pubblico ove costituiscano intralcio alla circolazione senza darne
preventivo avviso al trasgressore, essendo la misura giustificata dalla
necessità di adottare tempestivamente un provvedimento volto a tutelare la
pubblica incolumità, e come tale indifferibile.
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SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO La società CO.XX. S. s.r.l. proponeva al Giudice
di Pace di Monza opposizione avverso n. 8 verbali emessi dalla Provincia di
Milano di contestazione della violazione dell’art. 23 comma 13 quater del
codice della strada e di avvenuta rimozione dei cartelli pubblicitari
installati sul suolo appartenente alla Provincia senza autorizzazione e
costituenti pericolo per la circolazione stradale. La Provincia di Milano chiedeva il rigetto dell’opposizione. Con sentenza del 30 giugno 2003 il Giudice di
Pace rigettava il ricorso. Per quel che ancora interessa nella presente
fase, il primo giudice riteneva manifestamente infondata l’eccezione di
incostituzionalità dell’art. 23 comma 13 quater in riferimento all’ art. 24
Cost. - laddove consente la rimozione di cartelli pubblicitari senza preventiva
comunicazione al trasgressore trattandosi d l provvedimento previsto dall’ordinamento
a tutela della pubblica incolumità, sicché legittimo è il
differimento a un momento successivo della difesa dei diritti dell’interessato. Per le stesse considerazioni doveva ritenersi inapplicabile
l’eccezione di mancata applicazione dell’art. 7 della L. 241 del 1990 in ordine
all’avviso di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo. La sentenza quindi riteneva correttamente individuata
la responsabilità della società CO.XX. S.,in solido con l’autore della
violazione non identificato, in quanto proprietaria dei cartelli pubblicitari. Era quindi disattesa l’eccezione relativa alla distinzione
fra verbale di accertamento e verbale di contestazione operata dalla
ricorrente, non essendo necessaria una duplice verbalizzazione al di fuori dei
casi in cui la contestazione immediata non sia possibile. Infine, l’appartenenza alla Provincia della proprietà
del suolo sul quale erano stati apposti i cartelli, era dimostrata dalle mappe
catastali, non avendo controparte fornito prova contraria di valore pari o superiore. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione
la società CO.XX. S. sulla base di sei motivi. Resiste con controricorso la Provincia di Milano.
MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo la ricorrente, riproponendo l’eccezione
di incostituzionalità dell’art. 23 coma 13 quater cod. della strada in
relazione agli artt. 24 e 25 Cost. e lamentando altresì violazione e falsa
applicazione dell’art. 23 citato (art. 360 n. 3 cod.proc. civ.), deduce che l’art.
23, nella formulazione introdotta dalla legge n. 472/1999,non ha più natura di
sanzione accessoria ma, nel prevedere la rimozione senza indugio dei manufatti da
parte dell’ente proprietario del suolo senza che il proprietario dei manufatti
possa opporsi, è lesivo dei diritti del destinatario del provvedimento che non
ha alcuna possibilità di richiederne la sospensione, anche nel caso in cui i
cartelli siano ubicati su proprietà di terzi e non siano pericolosi, atteso che
l’atto è già compiuto quando esso viene notificato unitamente al verbale di
contestazione. Il provvedimento è disposto
dall’Amministrazione e non dal giudice e, a differenza di quanto stabilito dal
codice di procedura civile in materia di procedimenti cautelari, non è suscettibile
di reclamo né è previsto
un giudizio di merito. L’interesse pubblico al quale aveva accennato il giudice
di pace è dato non dall’esigenza per la P.A. di farsi ragione da sola in caso di
cartelli non autorizzati ma dall’interesse alla legittimità dei provvedimenti
amministrativi. Le rimozione, essendo una sanzione irrogata a
tempo indeterminato, ha una valenza espropriativa e in ogni caso, anche dopo la
restituzione dell’impianto e il pagamento delle spese di custodia, il relativo godimento
è compromesso senza che vi sia alcun procedimento di cognizione sulla
legittimità o meno dell’atto ablatorio. Il motivo va disatteso. La questione di legittimità costituzionale sollevata
dalla ricorrente è manifestamente infondata. La rimozione senza indugio prevista dall’ art. 23
comma 13 quater cod. strada e l’assenza della preventiva comunicazione al destinatario
sono evidentemente
giustificati dalla necessità di adottare tempestivamente un provvedimento che, essendo diretto a
tutelare la pubblica incolumità,
non potrebbe essere differito se non mettendo a rischio l’interesse generale
protetto dalla
norma. Il diritto del proprietario dei manufatti è comunque
garantito dalla possibilità di proporre le proprie difese seppure
successivamente alla intervenuta rimozione. La differente disciplina prevista dal codice
della strada rispetto a quella dettata nell’ambito dei rapporti privatistici
dagli art. 669 bis ss. cod. proc. civ. per procedimenti cautelari, è giustificata
dalla natura dell’interesse generale alla pubblica incolumità perseguito dalla
normativa in esame. Il riferimento al carattere ablatorio del provvedimento
appare fuori luogo, atteso che la rimozione disposta senza indugio non è finalizzata
all’acquisizione da parte dell’Autorità del diritto di proprietà del privato ma
costituisce una misura cautelare adottata in presenza di un atto illecito, consistito
nella collocazione di cartelli pubblicitari in assenza di autorizzazione dell’ente
proprietario: ove il provvedimento sia emesso fuori dei casi consentiti il
privato potrà ricorrere alla tutela restitutoria e/o risarcitoria. Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione
e falsa applicazione dell’art. 23 cod. della strada nonché omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360
n. 5 cod. proc. civ.), deduce che erroneamente era stata ritenuta responsabile
solidale con l’autore della violazione che non era stato nemmeno identificato,
giacché responsabili dovevano ritenersi le ditte fruitici della pubblicità.
Mentre la solidarietà non è prevista
dall’art. 23 commi 4 e 13 bis cod. strada, la sentenza impugnata aveva
erroneamente applicato alla specie gli artt.196 cod. della strada e l’art. 6 L.
689/198: la prima non contiene al riguardo alcuna disposizione, essendo dettata
esclusivamente per i veicoli in circolazione, mentre la seconda trova applicazione
solo per i casi in cui il responsabile in solido sia stato destinatario di specifico
accertamento e di contestazione della violazione, non essendo la norma
suscettibile di interpretazione analogica. La solidarietà è configurabile
soltanto in relazione alle sanzioni pecuniarie e non è applicabile
alla rimozione che è sanzione restitutoria con valenza
espropriativa. La ricorrente, quale proprietaria degli impianti, non poteva
essere destinataria e legittimata passiva della rimozione e delle relative
spese, non potendo applicarsi l’art. 23 comma 11 cod. strada. Inoltre, erroneamente la ricorrente era stata ritenuta
responsabile, perché autore della istallazione era stato presumibilmente un dipendente
della società.
Il motivo è infondato. In tema di sanzioni amministrative, l’identificazione
dell’autore materiale della violazione non costituisce requisito di legittimità
dell’ordinanza-ingiunzione emessa nei confronti dell’obbligato
solidale, ai sensi dell’art. 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689, atteso che
la “ratio” della norma non è quella di far fronte a situazioni
d’insolvenza del trasgressore, bensì di evitare che l’illecito resti impunito
quando sia impossibile identificare tale ultimo soggetto e sia, invece,
facilmente identificabile uno di quelli, solidalmente obbligati, individuati
nei primi tre commi della norma stessa in base ad un determinato rapporto
giuridico con l’autore della violazione (Cass. 472/2006). L’art. 6 della legge
n. 689 del 1981 considera obbligato in solido con l’autore materiale della
violazione il proprietario della cosa che servì a commetterla, nonché la
persona rivestita dell’autorità o incaricata della direzione o vigilanza nei
suoi confronti: pertanto, con riferimento alla affissione di manifesti
pubblicitari in violazione delle relative prescrizioni, legittimamente viene
chiamata a rispondere dell’infrazione la società proprietaria dei manifesti
medesimi (Cass. 27796/2005), che - in quanto
tale - è necessariamente il soggetto destinatario del provvedimento di
rimozione conseguente all’illecito e delle spese sostenute dall’Amministrazione
ai sensi dell’art. 23 coma 13 quater cod. strada. Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione
e falsa applicazione degli artt. 383, 384 e 385 reg. esec. cod. strada (art.
360 n. 3 cod. proc. civ.) nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), censura
la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto infondata la distinzione fra
verbale di accertamento e verbale di contestazione dell’illecito amministrativo, deducendo
che nella specie non si comprenderebbe neppure la natura giuridica dei verbali
notificati che, seppure recassero l’intestazione “verbale di contestazione”,
sembrerebbero dei verbali di accertamento; in realtà, accertamento e contestazione,
in quanto fasi autonome del procedimento sanzionatorio, concettualmente e giuridicamente
diverse, necessitano entrambe di verbalizzazione; d’altra parte, il richiamo
all’art. 384 reg. esec. cod. strada, compiuto dalla sentenza impugnata, è riferito
alle sole trasgressioni verificatesi durante la circolazione dei veicoli a motore
e non è estensibile all’ipotesi de qua; nella
specie, la rimozione degli impianti era stata effettuata prima ed in assenza di
contraddittorio con la proprietaria e, quindi, si era proceduto alla contestazione
senza alcun verbale di accertamento. Il motivo va disatteso. La sentenza impugnata ha correttamente ritenuto
che di regola l’accertamento dell’illecito amministrativo non è un
momento distinto rispetto alla contestazione. Infatti, ai sensi degli artt. 14 L. n. 689/1981 e
201 cod. strada, la violazione dell’illecito amministrativo, quando è possibile,
deve essere contestata immediatamente, e ciò proprio a garanzia del diritto di
difesa dell’incolpato: l’art. 384 reg. esec. cod. strada elenca, a titolo esemplificativo,
i casi in cui è legittimo derogare in via eccezionale
alla contestazione immediata. Nessuna doglianza può ragionevolmente lamentare
la ricorrente atteso che, secondo la ricostruzione in fatto compiuta dal
giudice di merito, i verbali notificati contenevano l’accertamento e la contestazione
dell’illecito addebitato. Per quanto concerne la rimozione, occorre ribadire quanto
già detto in occasione dell’esame del primo motivo. Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando violazione
e falsa applicazione dell’art. 7 L. 241/990 (art. 360 n. 3 cod.
proc. civ.) nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), censura la
sentenza impugnata che aveva escluso l’obbligo per l’Amministrazione di
preventiva comunicazione dell’inizio del procedimento amministrativo. Il motivo va disatteso. In tema di sanzioni amministrative per violazioni
del codice della strada, non trova applicazione l’art. 7 della legge n. 241/1990, secondo cui l’avvio
del procedimento amministrativo deve essere comunicato ai soggetti nei cui
confronti il provvedimento finale è destinato
a produrre i suoi effetti, atteso che la L. 689/1981 è legge
speciale che prevale su quella a generale ed assicura garanzie non inferiori al
minimum prescritto
dalla legge generale stessa, in quanto prevede non solo che il trasgressore sia
immediatamente informato dell’inizio del procedimento con la contestazione o la
notificazione, ma anche che possa esercitare nel modo più ampio il proprio
diritto di difesa, prima dell’emanazione dell’eventuale ordinanza-ingiunzione da
parte dell’autorità competente (Cass. 4670/2003). Con il quinto motivo la ricorrente, lamentando omessa
,insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), denuncia che la sentenza non aveva
motivato in ordine all’esistenza dei presupposti per l’applicazione in concreto
dell’art. 23 comma 13 quater cod. strada e sulla validità della motivazione contenuta
nei verbali impugnati. La censura infondata. La sentenza impugnata, nel considerare legittima
la rimozione senza indugio dei cartelli pubblicitari disposta, ai sensi dell’art
.23 coma 13 quater cod. strada, nell’interesse della pubblica incolumità, ha implicitamente
ritenuto l’esistenza di una situazione di pericolo. D’altra parte, il contenuto dell’obbligo imposto dall’articolo
18, comma secondo, della legge 24 novembre 1981 n. 689, di motivare l’atto applicativo
della sanzione amministrativa, va individuato in funzione dello scopo della motivazione
stessa, che è quello di consentire all’ingiunto la
tutela dei suoi diritti mediante l’opposizione. Pertanto, il suddetto obbligo
deve considerarsi soddisfatto quando, nel suo contenuto minimo, l’ingiunzione
descriva la condotta sanzionata e indichi la violazione addebitata, in modo che
l’ingiunto possa far valere le sue ragioni e il giudice esercitare il controllo
giurisdizionale che gli e demandato. (Cass. 10478/2006) . Con il sesto motivo la ricorrente, lamentando omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) , censura
la sentenza che, invertendo l’onere della prova, aveva ritenuto dimostrato che
i cartelli pubblicitari erano stati ubicati su proprietà della Provincia e che
la società CO.XX. S. non avrebbe offerto la prova contraria. Tenuto conto che la contestazione concerneva la mancanza
di autorizzazione alla collocazione di cartelli pubblicitari da parte dell’ente
proprietario della strada, sarebbe stato onere della Provincia fornire la prova
della proprietà del suolo su cui i predetti cartelli erano stati installati, dimostrando
il titolo di proprietà originario o derivativo-non essendo al riguardo sufficiente,
come invece ritenuto dalla decisione impugnata, l’allegazione delle mappe catastali;
né, d’altra parte, dai registri immobiliari era risultata la trascrizione a
favore della Provincia di alcun titolo di acquisto. La motivazione, limitandosi a richiamare le mappe
catastali, non aveva formulato neppure un giudizio per presunzioni, che avrebbe
dovuto dare contezza degli elementi gravi, precisi e concordanti per desumere
la proprietà a favore della Provincia. Il motivo va disatteso. La sentenza ha ritenuto che la Provincia aveva
offerto la prova della proprietà attraverso le mappe catastali, rilevando che
tale prova non era stata smentita da altre risultanze. Dunque, il giudice di merito ha accertato la proprietà
fondandola sulla prova per presunzioni, fornendo una motivazione che è immune
da vizi logici e giuridici: non vertendosi in tema di rivendicazione, la prova
del diritto non richiedeva evidentemente il rigore previsto dall’art. 948 cod.
civ. In tema di presunzioni, è incensurabile
in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice di merito circa l’opportunità
di fondare la decisione su tale mezzo di prova e circa la ricorrenza dei requisiti di
precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare gli
elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata al riguardo
sia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa
dei principi che regolano la la prova per presunzioni (Cass.
10135/2005). Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese della presente fase vanno poste a carico
della ricorrente, risultata soccombente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento
in favore della resistente delle spese relative alla presente fase che liquida
in euro 1.600 di cui euro 100 per esborsi ed euro 1.500 per onorari di avvocato
oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
13 febbraio 2007.
Depositato
in Cancelleria il 15 maggio 2007
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