Foto Coraggio È sistematico: rallenti, ti fermi
e cominci a riflettere sulla tua decisione di restare in sorpasso. Del resto,
hai più tempo per farlo e cominci a tamburellare con le dita sulle razze del
volante. Nervoso sposti gli occhi dalla corsia di marcia, davanti a te, allo specchio
retrovisore, per tenere sotto controllo la situazione, anche dietro. Rosicchi
un’unghia, cerchi di bere alla bottiglia un sorso d’acqua ormai calda. Poi
accendi la sigaretta e cresce la frustrante sensazione, dentro di te, di
essere, come al solito, nella corsia sbagliata. Diventi nervoso, insofferente,
invidioso di quella ridicola auto che prima hai umiliato e che ora ti rende la
pariglia… Pare che ci sei portato a quella scelta, succede sempre così. Metti
la freccia, approfitti dell’insolita distanza di sicurezza tra un veicolo e l’altro
sulla fila opposta di macchine e ci infili dentro. Provi sollievo, quasi ti
compiaci d’aver ritrovato la tua insolita scaltrezza, ma dura poco perché le
luci di stop dell’auto davanti si accendono e restano intense fino alla nuova inattesa
fermata. Metti la folle e nervosamente osservi quella che pochi istanti prima
era la tua direttrice: si stanno muovendo, “maledizione sono ripartiti di là!”…
Sembra un cartone animato. Siamo sinceri: quante volte ci capita? quante volte
subiamo questa frustrazione? Pensiamoci: non è forse vero che acceleriamo nei
pressi di un incrocio sul quale abbiamo la precedenza per non perdere la nostra
posizione nel traffico ed impediamo a chi poteva tutto sommato farcela di
immettersi sulla nostra strada davanti a noi? È sbagliato dire che per istinto
siamo portati a conservare una nostra posizione di supremazia anche mentre
percorriamo una rotonda o mentre ci avviciniamo alla testa di un restringimento
per lavori? Non c’è niente di male (purché l’aggressività non diventi
pericolosa per noi e per gli altri): si tratta, secondo molti, di inconsapevoli
residui della nostra animalesca primordialità, connessi alla conservazione del
proprio spazio di caccia o di riproduzione. Insomma, marchiamo il territorio.
Questo aspetto della circolazione stradale, non è un dejà-vu: è stato studiato
e vi sono oggi delle risposte precise ad un fenomeno apparentemente strano, ma
che in effetti non lo è. Semmai, si tratta di sensazioni sbagliate che possono
addirittura generare comportamenti pericolosi per la circolazione. L’americana
National Highway Trafic Safety Administration (NHTSA), una vera e propria FBI
della sicurezza stradale composta dai migliori esperti del settore (riuniti in
una sorta di task force federale), ha potuto rilevare che il 4% degli incidenti
stradali rilevati - stiamo parlando di sinistrosità
complessiva, nella quale vanno inseriti eventi letali, con feriti e con soli
danni a cose - è provocato appunto dal repentino cambio di corsia, con milioni
di dollari bruciati in termini di vite, sostegni sanitari e rincari
assicurativi. Così, due ricercatori delle università di Toronto (professor
Donald Redelmeier) e di Stanford (professor Robert Tibshirani), hanno cercato
di dare una spiegazione alla strana inquietudine che ognuno di noi prova quando
il traffico in autostrada si ferma e la coda parallela alla nostra si mette in
movimento. È ovvio che la scalogna (a meno che non si creda davvero nella
sfortuna) non c’entra affatto, ma che alla base di questo comportamento ci sia
una precisa interpretazione del contesto nel quale ci troviamo a circolare. I
due accademici, blasonatissimi in questo settore, hanno elaborato due diversi
modelli di calcolo, poi riuniti per trarre le conclusioni: uno di questi, che
corrisponde alla prima fase della ricerca, consiste in una simulazione informatica
del contesto stradale, mentre l’altro, successivo in termini applicativi e
quindi costituente la fase “due” dell’esperimento, basato su riprese video, che
mostrano l’arteria congestionata più o meno come la vedrebbe l’addetto ad una
sala controllo del traffico. Il risultato è presto detto e quella frustrante
sensazione di cui parlavamo in apertura di questo articolo, consistente nella
constatazione di aver, ancora una volta, sbagliato corsia ed aver scelto quella
puntualmente più lenta, è del tutto sbagliata. Niente ennesima “Legge di
Murphy”, dunque, ma solo l’errata interpretazione di ciò che ci accade. Settanta
persone su cento, tra quelle che hanno partecipato alla ricerca, hanno riferito
di essere convinte che i veicoli incolonnati sull’altra corsia avessero una
progressione di marcia più rapida. Singolare, soprattutto se si considera che i
rilevamenti sono stati effettuati da persone ferme su file diverse. Le autostrade
americane, infatti, non hanno certo la nostra struttura e dunque è stato
possibile eseguire un calcolo molto ampio su spazi di percorrenza congestionati
ma maggiormente ristretti in termini di lunghezza. Un fattore questo che, a
nostro parere, rende ancora più veritiero l’esperimento, dal momento che più è
limitato uno spazio destinato al traffico che sia congestionato per l’eccessivo
flusso di auto, minori saranno gli effetti collaterali tipici dell’intensa
circolazione (ripartenze, andamento ad elastico). Ma non è tutto: infatti, il
65% degli intervistati ha candidamente affermato di aver cambiato corsia (o
pensato di averlo voluto fare) non appena gli si fosse prospettata la
possibilità. Salvo poi fermarsi di nuovo, come nella realtà dei fatti accade
davvero. Celebre, la trasfigurazione “fantozziana” del protagonista di uno spot
televisivo in voga nei primi anni del terzo millennio, nel quale l’impacciato
conducente di una sgargiante utilitaria sbuffava invidioso nell’osservare che
quelli dell’altra fila - “quella giusta” - andavano spediti nel traffico e
quando poi cambiava corsia, finiva nuovamente nel pantano della coda ferma, e
dunque (nuovamente) in “quella sbagliata”. La spiegazione è semplicemente
matematica: come dice correttamente il nostro Francesco Albanese, nell’articolo
tecnico che correda questo, al momento che le vetture ripartono (e qui siamo
nonostante tutto all’effetto elastico), le stesse assumono una certa velocità e
quindi si trovano a superare, in archi temporali molto brevi, un certo numero di
auto che invece restano ferme. Poi accade che queste auto si fermino di nuovo e
tocchi alle altre iniziare lo stesso movimento. È un movimento del tutto
regolare, cadenzato, che potremmo definire “del compasso”. La tecnica del
compasso viene utilizzata dalle forze speciali per avanzare a piedi verso un
obiettivo ostile, e viene solitamente applicata da due operatori: il primo avanza
di corsa per un numero di passi prestabilito o verso un riparo dal fuoco
nemico, coprendosi dalla sua stessa arma. Una volta giunto alla tappa, tocca al
secondo uomo procedere, fino a quando non si giunge alla testa dell’azione. La
sosta dura di più rispetto al movimento, al termine del quale - però - le auto
si ricompattano di nuovo, e siamo daccapo. Gli scienziati lo hanno definito,
senza mezzi termini, “tempo di frustrazione”, che dura di più rispetto all’arco
temporale “gradevole” nel quale si è in movimento: “superare venti vetture -
dicono i ricercatori - comporta minor tempo rispetto che essere sorpassati da
altrettanti veicoli”, e questo ha come conseguenza il fatto che il conducente scoraggiato,
quindi in uno stato emotivo assolutamente ipersensibile agli accadimenti
esterni, abbia la sensazione di essere sorpassato non dalle effettive venti
macchina, ma molte, molte di più… E sembra inoltre che questa impressione sia
ancora più forte in caso di sosta molto ravvicinata, paraurti contro paraurti. Possibile?
Da un punto di vista matematico, sulla base dell’osservazione scientifica pura,
le università di Toronto e Stanford non nutrono alcun dubbio, ma la causa
psicologica ha la sua forte influenza. Quando ci troviamo a sorpassare un altro
veicolo, infatti, questo sparisce presto sia dal nostro campo visivo che dalla
nostra sfera d’attenzione. Nel traffico intenso, come nella progressione di
marcia più veloce (soprattutto se fuori dai limiti consentiti, in condizioni di
stress e di visione a tunnel), il conducente usa molto più raramente gli specchi
retrovisori rispetto a quanto invece farebbe in condizioni normali. Proprio in
questa precisa circostanza (e se ci pensiamo è proprio vero) non abbiamo né il
tempo né lo stimolo necessario dedicare attenzioni a ciò che accade ai nostri
lati. Viceversa, quando siamo noi ad essere sorpassati da qualcuno, il nostro
occhio indugia a lungo su di lui, almeno fino a quando ci è possibile e questo comporta
un’accresciuta e tutto sommato normale attenzione nei suoi confronti. Inoltre,
poiché la guida è una pratica che ci impegna duramente (solo a livello fisico
usiamo tutti i quattro gli arti, ciascuno con un proprio differente compito che
prevede un differenziato e contemporaneo impegno mentale), è possibile che
passando dal movimento assoluto - perché di questo si tratta - all’inerzia più
totale, una certa dose di adrenalina si trovi a circolare nel nostro organismo
senza sfogo alcuno. Aumenta insomma la nostra repressa frustrazione, che può
indurci a manovre azzardate e pericolose come il cambio improvviso di corsia. Cosa
fare? Innanzitutto, conoscere ciò che ci accade. Il traffico è l’arteria
pulsante della nostra società: dirvi di leggere il giornale o di fare qualche
telefonata, non ci sembra opportuno. Proviamo a sentire un po’ di musica, a volume
moderato, facciamo qualche chiacchiera con chi ci sta seduto accanto e portiamo
pazienza… |
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