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Articoli 30/06/2007

“E cambia corsia, non vedi che di là vanno più veloci?”

 


Foto Coraggio

È sistematico: rallenti, ti fermi e cominci a riflettere sulla tua decisione di restare in sorpasso. Del resto, hai più tempo per farlo e cominci a tamburellare con le dita sulle razze del volante. Nervoso sposti gli occhi dalla corsia di marcia, davanti a te, allo specchio retrovisore, per tenere sotto controllo la situazione, anche dietro. Rosicchi un’unghia, cerchi di bere alla bottiglia un sorso d’acqua ormai calda. Poi accendi la sigaretta e cresce la frustrante sensazione, dentro di te, di essere, come al solito, nella corsia sbagliata. Diventi nervoso, insofferente, invidioso di quella ridicola auto che prima hai umiliato e che ora ti rende la pariglia… Pare che ci sei portato a quella scelta, succede sempre così. Metti la freccia, approfitti dell’insolita distanza di sicurezza tra un veicolo e l’altro sulla fila opposta di macchine e ci infili dentro. Provi sollievo, quasi ti compiaci d’aver ritrovato la tua insolita scaltrezza, ma dura poco perché le luci di stop dell’auto davanti si accendono e restano intense fino alla nuova inattesa fermata. Metti la folle e nervosamente osservi quella che pochi istanti prima era la tua direttrice: si stanno muovendo, “maledizione sono ripartiti di là!”… Sembra un cartone animato. Siamo sinceri: quante volte ci capita? quante volte subiamo questa frustrazione? Pensiamoci: non è forse vero che acceleriamo nei pressi di un incrocio sul quale abbiamo la precedenza per non perdere la nostra posizione nel traffico ed impediamo a chi poteva tutto sommato farcela di immettersi sulla nostra strada davanti a noi? È sbagliato dire che per istinto siamo portati a conservare una nostra posizione di supremazia anche mentre percorriamo una rotonda o mentre ci avviciniamo alla testa di un restringimento per lavori? Non c’è niente di male (purché l’aggressività non diventi pericolosa per noi e per gli altri): si tratta, secondo molti, di inconsapevoli residui della nostra animalesca primordialità, connessi alla conservazione del proprio spazio di caccia o di riproduzione. Insomma, marchiamo il territorio. Questo aspetto della circolazione stradale, non è un dejà-vu: è stato studiato e vi sono oggi delle risposte precise ad un fenomeno apparentemente strano, ma che in effetti non lo è. Semmai, si tratta di sensazioni sbagliate che possono addirittura generare comportamenti pericolosi per la circolazione. L’americana National Highway Trafic Safety Administration (NHTSA), una vera e propria FBI della sicurezza stradale composta dai migliori esperti del settore (riuniti in una sorta di task force federale), ha potuto rilevare che il 4% degli incidenti stradali rilevati - stiamo parlando di sinistrosità complessiva, nella quale vanno inseriti eventi letali, con feriti e con soli danni a cose - è provocato appunto dal repentino cambio di corsia, con milioni di dollari bruciati in termini di vite, sostegni sanitari e rincari assicurativi. Così, due ricercatori delle università di Toronto (professor Donald Redelmeier) e di Stanford (professor Robert Tibshirani), hanno cercato di dare una spiegazione alla strana inquietudine che ognuno di noi prova quando il traffico in autostrada si ferma e la coda parallela alla nostra si mette in movimento. È ovvio che la scalogna (a meno che non si creda davvero nella sfortuna) non c’entra affatto, ma che alla base di questo comportamento ci sia una precisa interpretazione del contesto nel quale ci troviamo a circolare. I due accademici, blasonatissimi in questo settore, hanno elaborato due diversi modelli di calcolo, poi riuniti per trarre le conclusioni: uno di questi, che corrisponde alla prima fase della ricerca, consiste in una simulazione informatica del contesto stradale, mentre l’altro, successivo in termini applicativi e quindi costituente la fase “due” dell’esperimento, basato su riprese video, che mostrano l’arteria congestionata più o meno come la vedrebbe l’addetto ad una sala controllo del traffico. Il risultato è presto detto e quella frustrante sensazione di cui parlavamo in apertura di questo articolo, consistente nella constatazione di aver, ancora una volta, sbagliato corsia ed aver scelto quella puntualmente più lenta, è del tutto sbagliata. Niente ennesima “Legge di Murphy”, dunque, ma solo l’errata interpretazione di ciò che ci accade. Settanta persone su cento, tra quelle che hanno partecipato alla ricerca, hanno riferito di essere convinte che i veicoli incolonnati sull’altra corsia avessero una progressione di marcia più rapida. Singolare, soprattutto se si considera che i rilevamenti sono stati effettuati da persone ferme su file diverse. Le autostrade americane, infatti, non hanno certo la nostra struttura e dunque è stato possibile eseguire un calcolo molto ampio su spazi di percorrenza congestionati ma maggiormente ristretti in termini di lunghezza. Un fattore questo che, a nostro parere, rende ancora più veritiero l’esperimento, dal momento che più è limitato uno spazio destinato al traffico che sia congestionato per l’eccessivo flusso di auto, minori saranno gli effetti collaterali tipici dell’intensa circolazione (ripartenze, andamento ad elastico). Ma non è tutto: infatti, il 65% degli intervistati ha candidamente affermato di aver cambiato corsia (o pensato di averlo voluto fare) non appena gli si fosse prospettata la possibilità. Salvo poi fermarsi di nuovo, come nella realtà dei fatti accade davvero. Celebre, la trasfigurazione “fantozziana” del protagonista di uno spot televisivo in voga nei primi anni del terzo millennio, nel quale l’impacciato conducente di una sgargiante utilitaria sbuffava invidioso nell’osservare che quelli dell’altra fila - “quella giusta” - andavano spediti nel traffico e quando poi cambiava corsia, finiva nuovamente nel pantano della coda ferma, e dunque (nuovamente) in “quella sbagliata”. La spiegazione è semplicemente matematica: come dice correttamente il nostro Francesco Albanese, nell’articolo tecnico che correda questo, al momento che le vetture ripartono (e qui siamo nonostante tutto all’effetto elastico), le stesse assumono una certa velocità e quindi si trovano a superare, in archi temporali molto brevi, un certo numero di auto che invece restano ferme. Poi accade che queste auto si fermino di nuovo e tocchi alle altre iniziare lo stesso movimento. È un movimento del tutto regolare, cadenzato, che potremmo definire “del compasso”. La tecnica del compasso viene utilizzata dalle forze speciali per avanzare a piedi verso un obiettivo ostile, e viene solitamente applicata da due operatori: il primo avanza di corsa per un numero di passi prestabilito o verso un riparo dal fuoco nemico, coprendosi dalla sua stessa arma. Una volta giunto alla tappa, tocca al secondo uomo procedere, fino a quando non si giunge alla testa dell’azione. La sosta dura di più rispetto al movimento, al termine del quale - però - le auto si ricompattano di nuovo, e siamo daccapo. Gli scienziati lo hanno definito, senza mezzi termini, “tempo di frustrazione”, che dura di più rispetto all’arco temporale “gradevole” nel quale si è in movimento: “superare venti vetture - dicono i ricercatori - comporta minor tempo rispetto che essere sorpassati da altrettanti veicoli”, e questo ha come conseguenza il fatto che il conducente scoraggiato, quindi in uno stato emotivo assolutamente ipersensibile agli accadimenti esterni, abbia la sensazione di essere sorpassato non dalle effettive venti macchina, ma molte, molte di più… E sembra inoltre che questa impressione sia ancora più forte in caso di sosta molto ravvicinata, paraurti contro paraurti. Possibile? Da un punto di vista matematico, sulla base dell’osservazione scientifica pura, le università di Toronto e Stanford non nutrono alcun dubbio, ma la causa psicologica ha la sua forte influenza. Quando ci troviamo a sorpassare un altro veicolo, infatti, questo sparisce presto sia dal nostro campo visivo che dalla nostra sfera d’attenzione. Nel traffico intenso, come nella progressione di marcia più veloce (soprattutto se fuori dai limiti consentiti, in condizioni di stress e di visione a tunnel), il conducente usa molto più raramente gli specchi retrovisori rispetto a quanto invece farebbe in condizioni normali. Proprio in questa precisa circostanza (e se ci pensiamo è proprio vero) non abbiamo né il tempo né lo stimolo necessario dedicare attenzioni a ciò che accade ai nostri lati. Viceversa, quando siamo noi ad essere sorpassati da qualcuno, il nostro occhio indugia a lungo su di lui, almeno fino a quando ci è possibile e questo comporta un’accresciuta e tutto sommato normale attenzione nei suoi confronti. Inoltre, poiché la guida è una pratica che ci impegna duramente (solo a livello fisico usiamo tutti i quattro gli arti, ciascuno con un proprio differente compito che prevede un differenziato e contemporaneo impegno mentale), è possibile che passando dal movimento assoluto - perché di questo si tratta - all’inerzia più totale, una certa dose di adrenalina si trovi a circolare nel nostro organismo senza sfogo alcuno. Aumenta insomma la nostra repressa frustrazione, che può indurci a manovre azzardate e pericolose come il cambio improvviso di corsia. Cosa fare? Innanzitutto, conoscere ciò che ci accade. Il traffico è l’arteria pulsante della nostra società: dirvi di leggere il giornale o di fare qualche telefonata, non ci sembra opportuno. Proviamo a sentire un po’ di musica, a volume moderato, facciamo qualche chiacchiera con chi ci sta seduto accanto e portiamo pazienza…
In fondo, chi va piano…
 


Da Il Centauro 112


© asaps.it

di Lorenzo Borselli

Da "Il Centauro"
Sabato, 30 Giugno 2007
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