Magliano
Alpi (CUNEO)
9 FURONO
I CADUTI IN GUERRA. I morti sulle strade, a
Magliano Alpi, sono quasi il triplo delle vittime della seconda guerra
mondiale. “ Un particolare che ci ha fatto capire quanto grande fosse la
tragedia di oggi”, dice il sindaco Edoardo Belgrano. Questo è
il paese che ha perduto i suoi ragazzi nella guerra del sabato sera. I vecchi li vanno a
pregare al cimitero del Carmine, un po’ più su sulla strada, un cortile con i
cespugli e l’ombra dei pini. L’ultima è
stata Stefania Costantino, 19 anni, una bella faccia con i capelli biondi: faceva
volontariato all’oratorio e una domenica mattina alle 5 è finita fuori strada,
forse buttata via da un furgone. Magliano è un paese di 2190 abitanti quasi attaccato a Carrù. Il tecnico del Comune, il
geometra Rovere, ha fatto i conti: con
lei erano 22 i giovani morti, forse 23, nel giro di qualche anno e tutti allo
stesso modo. Correndo nella notte.
Una generazione scomparsa così. «Ma
questi sono i numeri di una guerra», ha detto il sindaco, Edoardo Belgrano.
Sotto, nello spiazzo davanti al Municipio, ci sono le lapidi dell’altra Guerra.
«Ai gloriosi caduti per la liberazione d’Italia. Partigiano Burdisso Pietro,
Partigiano Ferrua Giacomo, Partigiano Fortunato Piero e Partigiano Tomatis
Giuseppe». Sono quattro. Poi c’è la statua degli altri morti, Patria bombe e
filo spinato tracciati sulla pietra. In tutto, 9 caduti. «Ci siamo accorti che
i conti non tornavano», ha detto il sindaco. «E’ una tragedia più grande di quello che pensavamo. Dobbiamo far
qualcosa per fermarla». Il
dolore Arrivando in paese, prima del quadrivio in
cima alla stradina, c’è la freccia di Bailo il fabbro e poi quella di una casa
di riposo. Per andare al Municipio, bisogna girare a destra e passare una lunga
fila di case delle bambole con i giardini fioriti e i gerani sui balconi. Nella
piazza del Comune stanno montando il luna Park. La prima cosa strana è che ci sono solo vecchi e bambini. Un
signore con i capelli bianchi si alza dalla panca per indicarci il portone. Il
Municipio sembra una scuola di paese, di quelle con i banchi di legno levigati
da generazioni di studenti. L’ufficio tecnico è al primo piano. Dentro, nella
prima stanza c’è un ragazzino imberbe con i calzoncini corti al computer. «E’
il nostro stagista», spiega il geometra Rovere. Ma lui non ha ancora la
patente. Il geometra lavora qui da 35 anni, e conosce tutto della sua gente. Di fronte, c’è l’ufficio dell’economa,
Vittorina Gregorio, una bella signora con i capelli tutti bianchi e la schiena
diritta. Anche lei ha perso la figlia in
un incidente, qualche anno fa. Morirono tre ragazzi in quello scontro, e il
paese andò in lutto. Vittorina è rimasta una donna triste, vorrebbe andare in
pensione, ma i colleghi le ripetono di restare, che almeno qui può guardare il
mondo con degli amici. La
battaglia Fa un
po’ effetto perché ce ne sono tante come lei, di madri spezzate da queste
stragi senza bombe. E qui intorno non ci sono i disagi, non ci sono le rovine, e
nemmeno la minaccia della morte dal cielo. Dentro a queste storie, c’è solo il ritratto
di un paese sfumato dal tramonto e arricchito dal benessere, con le case e le
ville che si inseguono per chilometri lungo la strada, il senso di un domani
compiaciuto e dei prati dolci che scendono dalle prime salite. Qui, però, è il
futuro che diventa a rischio. Il
sindaco, Edoardo Belgrano, ha deciso di far la sua battaglia su questo tema. Ha
cominciato una raccolta di firme per chiedere la chiusura dei locali nella
provincia di Cuneo all’una di notte. Ha cominciato ad aiutarlo il padrone
del negozio che aveva perso il figlio in un incidente, poi un altro e un altro
ancora. Sono già arrivati a 5mila firme.
Le ha portate al presidente della Provincia, Raffaele Costa: «Mi ha detto che
non è del tutto d’accordo, ma che ci capisce e ci appoggia lo stesso». Il
fatto è, dice Belgrano, che loro non possono correre il rischio di perdere
un’altra generazione. Belgrano ha 59 anni. Anche il geometra ne ha
più di 50 ormai. Rovere mette a posto i
cassetti e dice che ci porta al cimitero per farci vedere le lapidi di questa
strage. La giornata sta finendo in una sapida freschezza: tutto, l’aria
trasparente e il nitore delle cose, è come se ricordasse altre sere, di pace. Qui dentro, fra i ricordi e le foto
sorridenti, è come se il tempo fosse capovolto, perché c’è qualcosa di irreale
negli sguardi dei ragazzi che sorridono dalle tombe. Mentre risuonano i
suoi passi sul sentiero, il geometra Rovere segna questo elenco puntando il
dito di fronte a lui: Baricalla Silvio,
17 anni, incidente, Turco Claudio, 21 anni, incidente, Silvano Prato, 19 anni,
incidente, Luca Uccellini, incidente, Panero Mauro, incidente, Tealdi Giuseppe,
Corti Sergio, incidente... Dice: «Io ho anche mio papà che dorme qui nel sole».
Ma quello è normale, fa parte delle leggi della vita. Si torna indietro
alla sera, nel paese che si oscura. In fondo, si ricomincia. Tutti i giorni
hanno un domani.
Pierangelo Sapegno Da La Stampa
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