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Notizie brevi 02/07/2007

Il paese che ha perso una generazione

Ventitrè ragazzi morti negli incidenti del sabato sera

Magliano Alpi (CUNEO)

9 FURONO I CADUTI IN GUERRA. I morti sulle strade, a Magliano Alpi, sono quasi il triplo delle vittime della seconda guerra mondiale. “ Un particolare che ci ha fatto capire quanto grande fosse la tragedia di oggi”, dice il sindaco Edoardo Belgrano.
Questo è il paese che ha perduto i suoi ragazzi nella guerra del sabato sera. I vecchi li vanno a pregare al cimitero del Carmine, un po’ più su sulla strada, un cortile con i cespugli e l’ombra dei pini. L’ultima è stata Stefania Costantino, 19 anni, una bella faccia con i capelli biondi: faceva volontariato all’oratorio e una domenica mattina alle 5 è finita fuori strada, forse buttata via da un furgone.
Magliano è un paese di 2190 abitanti quasi attaccato a Carrù. Il tecnico del Comune, il geometra Rovere, ha fatto i conti: con lei erano 22 i giovani morti, forse 23, nel giro di qualche anno e tutti allo stesso modo. Correndo nella notte. Una generazione scomparsa così. «Ma questi sono i numeri di una guerra», ha detto il sindaco, Edoardo Belgrano. Sotto, nello spiazzo davanti al Municipio, ci sono le lapidi dell’altra Guerra. «Ai gloriosi caduti per la liberazione d’Italia. Partigiano Burdisso Pietro, Partigiano Ferrua Giacomo, Partigiano Fortunato Piero e Partigiano Tomatis Giuseppe». Sono quattro. Poi c’è la statua degli altri morti, Patria bombe e filo spinato tracciati sulla pietra. In tutto, 9 caduti. «Ci siamo accorti che i conti non tornavano», ha detto il sindaco. «E’ una tragedia più grande di quello che pensavamo. Dobbiamo far qualcosa per fermarla».

Il dolore
Arrivando in paese, prima del quadrivio in cima alla stradina, c’è la freccia di Bailo il fabbro e poi quella di una casa di riposo. Per andare al Municipio, bisogna girare a destra e passare una lunga fila di case delle bambole con i giardini fioriti e i gerani sui balconi. Nella piazza del Comune stanno montando il luna Park. La prima cosa strana è che ci sono solo vecchi e bambini. Un signore con i capelli bianchi si alza dalla panca per indicarci il portone. Il Municipio sembra una scuola di paese, di quelle con i banchi di legno levigati da generazioni di studenti. L’ufficio tecnico è al primo piano. Dentro, nella prima stanza c’è un ragazzino imberbe con i calzoncini corti al computer. «E’ il nostro stagista», spiega il geometra Rovere. Ma lui non ha ancora la patente. Il geometra lavora qui da 35 anni, e conosce tutto della sua gente.
Di fronte, c’è l’ufficio dell’economa, Vittorina Gregorio, una bella signora con i capelli tutti bianchi e la schiena diritta. Anche lei ha perso la figlia in un incidente, qualche anno fa. Morirono tre ragazzi in quello scontro, e il paese andò in lutto. Vittorina è rimasta una donna triste, vorrebbe andare in pensione, ma i colleghi le ripetono di restare, che almeno qui può guardare il mondo con degli amici.

La battaglia
Fa un po’ effetto perché ce ne sono tante come lei, di madri spezzate da queste stragi senza bombe
. E qui intorno non ci sono i disagi, non ci sono le rovine, e nemmeno la minaccia della morte dal cielo. Dentro a queste storie, c’è solo il ritratto di un paese sfumato dal tramonto e arricchito dal benessere, con le case e le ville che si inseguono per chilometri lungo la strada, il senso di un domani compiaciuto e dei prati dolci che scendono dalle prime salite. Qui, però, è il futuro che diventa a rischio. Il sindaco, Edoardo Belgrano, ha deciso di far la sua battaglia su questo tema. Ha cominciato una raccolta di firme per chiedere la chiusura dei locali nella provincia di Cuneo all’una di notte. Ha cominciato ad aiutarlo il padrone del negozio che aveva perso il figlio in un incidente, poi un altro e un altro ancora. Sono già arrivati a 5mila firme. Le ha portate al presidente della Provincia, Raffaele Costa: «Mi ha detto che non è del tutto d’accordo, ma che ci capisce e ci appoggia lo stesso». Il fatto è, dice Belgrano, che loro non possono correre il rischio di perdere un’altra generazione.
Belgrano ha 59 anni. Anche il geometra ne ha più di 50 ormai. Rovere mette a posto i cassetti e dice che ci porta al cimitero per farci vedere le lapidi di questa strage. La giornata sta finendo in una sapida freschezza: tutto, l’aria trasparente e il nitore delle cose, è come se ricordasse altre sere, di pace. Qui dentro, fra i ricordi e le foto sorridenti, è come se il tempo fosse capovolto, perché c’è qualcosa di irreale negli sguardi dei ragazzi che sorridono dalle tombe. Mentre risuonano i suoi passi sul sentiero, il geometra Rovere segna questo elenco puntando il dito di fronte a lui: Baricalla Silvio, 17 anni, incidente, Turco Claudio, 21 anni, incidente, Silvano Prato, 19 anni, incidente, Luca Uccellini, incidente, Panero Mauro, incidente, Tealdi Giuseppe, Corti Sergio, incidente... Dice: «Io ho anche mio papà che dorme qui nel sole». Ma quello è normale, fa parte delle leggi della vita. Si torna indietro alla sera, nel paese che si oscura. In fondo, si ricomincia. Tutti i giorni hanno un domani.

Pierangelo Sapegno
Da La Stampa


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Lunedì, 02 Luglio 2007
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