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Corte di Cassazione 03/07/2007

Usare frasi minacciose verso un pubblico ufficiale può costare una condanna penale
Resistenza intimidire per evitare la multa

(Cassazione 14659/2007)

Intimidire il vigile per evitare la multa può costare una condanna per resistenza a pubblico ufficiale. Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione confermando la condanna a quattro mesi di reclusione inflitta dalla Corte di Appello di Roma ad un automobilista di Velletri che, rivoltosi ad una vigilessa che gli aveva appena fatto una multa, le aveva detto “famme la multa e poi te sistemo io a te”. Invano l’uomo si era difeso in Cassazione sostenendo che la frase in questione non avesse un contenuto minaccioso ma fosse solamente espressione di atteggiamento parolaio e genericamente minaccioso senza alcuna finalizzazione ad incidere sull’attività svolta dal pubblico ufficiale. La Suprema Corte ha invece sottolineato che “la frase incriminata, a prescindere dai riflessi personali sulla persona del destinatario, ha contenuti oggettivamente idonei a rappresentare una ragionevole portata intimidatoria, direttamente collegata al compimento dell’atto di ufficio o servizio del pubblico ufficiale”. In buona sostanza, poiché la legge punisce chiunque usi violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio “mentre compie un atto d’ufficio o di servizio”, ogniqualvolta il comportamento ingiurioso e minaccioso sia collegato direttamente all’attività che il pubblico ufficiale sta compiendo in quel momento, il responsabile dovrà rispondere del reato di resistenza, non potendo sostenere di aver semplicemente espresso “parole in libertà”. (02 luglio 2007)


Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, sentenza n.14659/2007

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE VI PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.:

Dott. Giovanni De Roberto Presidente

1. Dott. Saverio Mannino Consigliere

2. Dott. Francesco Serpico Consigliere

3. Dott. Arturo Cortese Consigliere

4. Dott. Domenico Carcano Consigliere

Ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

Sul ricorso proposto da

T.B.M. , n. 02.07.1977

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma in data 6-4-2006;

Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso,

udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere F.Serpico;

Udito il Pubblico Ministero in persona del SPG dr. G. D. che ha concluso per:

Rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv. G.Valentini in sost.ne dello Avv. G.Riitano che ha concluso per:

Accogliersi il ricorso;

O S S E R V A

Sull’appello proposto da T.B.M. avverso la sentenza del Tribunale monocratico di Velletri in data 9.06.2004 che lo aveva dichiarato colpevole del reato dicui all’art. 337 c.p. [1], per aver usato minacce al vigile urbano B.M. pronunciando al suo indirizzo la frase "famme la multa e poi te sistemo io a te" al fine di opporsi al compimento di un atto d’ufficio del p.u. , consistente nell’elevazione di una contravvenzione per violazione del C.d.s., in Velletri l’8-6-2000, e concessegli le attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, la corte d’appello di Roma, con sentenza in data 06-04-2006, confermava il giudizio di 1° grado, ribadendo il comprovato riconoscimento dell’imputato da parte del P.U. quale autore della contestata frase ed il carattere di minaccia di questa, idonea ad integrare l’oggettività del reato, pacifica essendo la coscienza e volontà della condotta incriminata.

Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo a motivi del gravame:

1) Violazione dell’art. 606 lett. c) cpp. per inutilizzabilità del verbale di individuazione fotografica esperita nel corso delle indagini preliminari in violazione degli artt. 191, 361, 431, 511 e 526 cpp. , trattandosi di indagini ripetibili e come tali non sussumibili nel fascicolo per il dibattimento ma, su richiesta delle parti, esplicabili in contraddittorio tra queste; in ogni caso, difetto di motivazione circa la ritenuta infondatezza dell’eccezione difensiva al riguardo;

2) Violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cpp. per violazione di legge in relazione all’art. 337 e 42 c.p. e per manifesta illogicità della motivazione, con travisamento del fatto ed omessa considerazione di circostanze decisive, potendosi, per contro alla valutazione dei giudici di merito, ritenere che "la frase asseritamene proferita dal T. non avesse un contenuto effettivamente minaccioso e, soprattutto che – in considerazione del contesto in cui fu pronunciata …essa fosse espressione di atteggiamento parolaio e genericamente minaccioso senza alcuna finalizzazione ad incidere sull’attività svolta dal p.u.".

Di qui, ad avviso del ricorrente, la insussistenza dell’elemento oggettivo del reato, in subordine qualificabile ex art. 612 co. 1°e 61 n. 10 c.p. non perseguibile per difetto di querela.

Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi addotti.

Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro MILLE – alla cassa delle ammende, così equitativamente determinante la misura.

Ed invero,quanto al motivo sub 1), lo stesso ricorrente finisce per ammettere che il verbale di riconoscimento fotografico non è stato inserito nel fascicolo del dibattimento in quanto atto ripetibile e l’individuazione dell’imputato, peraltro non seriamente contestata da costui, si base sulle dichiarazioni della B., ritualmente assunte in atti e comprensive del riferimento alla foto dell’imputato, atto di riferimento di dette dichiarazioni, acquisibile, in ogni caso, ex art. 506 e 507 cpp. Di qui la piena utilizzabilità di tali dichiarazioni riferite all’individuazione dell’imputato, peraltro segnalato come presente al giudizio di 1° grado e dal richiamo operato dalla sentenza sul punto.

Anche il motivo sub 2) è manifestamente infondato, posto che la frase incriminata, a prescindere dai riflessi personali sulla persona del destinatario, ha contenuti oggettivamente idonei a rappresentare una ragionevole portata intimidatoria, direttamente collegata al compimento dell’atto di ufficio o servizio del p.u. e quindi nient’affatto equivocabile in punto di reale finalità realizzatrice di "condotta positiva" di resistenza a p.u..

Di qui l’inconfigurabilità di ipotesi meno gravi, a fronte della corretta originaria qualificazione giuridica del fatto-reato contestato al ricorrente.

P.Q.M.

DICHIARA inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro MILLE – in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 20-03-2007

IL CONSIGLIERE EST. IL PRESIDENTE

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
IL 12 GIUGNO 2007


Da Cittadinolex


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Martedì, 03 Luglio 2007
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