Intimidire il vigile per evitare la multa può
costare una condanna per resistenza a pubblico ufficiale. Lo ha stabilito la
Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione confermando la condanna a
quattro mesi di reclusione inflitta dalla Corte di Appello di Roma ad un
automobilista di Velletri che, rivoltosi ad una vigilessa che gli aveva appena
fatto una multa, le aveva detto “famme la multa e poi te sistemo io a te”.
Invano l’uomo si era difeso in Cassazione sostenendo che la frase in questione
non avesse un contenuto minaccioso ma fosse solamente espressione di
atteggiamento parolaio e genericamente minaccioso senza alcuna finalizzazione
ad incidere sull’attività svolta dal pubblico ufficiale. La Suprema Corte ha
invece sottolineato che “la frase incriminata, a prescindere dai riflessi
personali sulla persona del destinatario, ha contenuti oggettivamente idonei a
rappresentare una ragionevole portata intimidatoria, direttamente collegata al
compimento dell’atto di ufficio o servizio del pubblico ufficiale”. In buona
sostanza, poiché la legge punisce chiunque usi violenza o minaccia per opporsi
a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio “mentre
compie un atto d’ufficio o di servizio”, ogniqualvolta il comportamento
ingiurioso e minaccioso sia collegato direttamente all’attività che il pubblico
ufficiale sta compiendo in quel momento, il responsabile dovrà rispondere del
reato di resistenza, non potendo sostenere di aver semplicemente espresso
“parole in libertà”. (02 luglio 2007)
LA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE VI PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.: Dott. Giovanni De Roberto Presidente 1. Dott. Saverio Mannino Consigliere 2. Dott. Francesco Serpico Consigliere 3. Dott. Arturo Cortese Consigliere 4. Dott. Domenico Carcano Consigliere Ha pronunciato la seguente S
E N T E N Z A Sul ricorso proposto da T.B.M. , n. 02.07.1977 Avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma in data
6-4-2006; Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso, udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere
F.Serpico; Udito il Pubblico Ministero in persona del SPG dr. G. D. che ha
concluso per: Rigetto del ricorso; Udito il difensore Avv. G.Valentini in sost.ne dello Avv.
G.Riitano che ha concluso per: Accogliersi il ricorso; O
S S E R V A Sull’appello proposto da T.B.M. avverso la
sentenza del Tribunale monocratico di Velletri in data 9.06.2004 che lo aveva
dichiarato colpevole del reato dicui all’art. 337 c.p. [1], per aver
usato minacce al vigile urbano B.M. pronunciando al suo indirizzo la frase
"famme la multa e poi te sistemo io a te" al fine di opporsi al
compimento di un atto d’ufficio del p.u. , consistente nell’elevazione di una
contravvenzione per violazione del C.d.s., in Velletri l’8-6-2000, e
concessegli le attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di mesi
quattro di reclusione, la corte d’appello di Roma, con sentenza in data
06-04-2006, confermava il giudizio di 1° grado, ribadendo il comprovato
riconoscimento dell’imputato da parte del P.U. quale autore della contestata
frase ed il carattere di minaccia di questa, idonea ad integrare l’oggettività
del reato, pacifica essendo la coscienza e volontà della condotta incriminata. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto
ricorso per cassazione, deducendo a motivi del gravame: 1) Violazione dell’art. 606 lett. c) cpp. per
inutilizzabilità del verbale di individuazione fotografica esperita nel corso
delle indagini preliminari in violazione degli artt. 191, 361, 431, 511 e 526
cpp. , trattandosi di indagini ripetibili e come tali non sussumibili nel
fascicolo per il dibattimento ma, su richiesta delle parti, esplicabili in
contraddittorio tra queste; in ogni caso, difetto di motivazione circa la
ritenuta infondatezza dell’eccezione difensiva al riguardo; 2) Violazione dell’art. 606 lett. b) ed e)
cpp. per violazione di legge in relazione all’art. 337 e 42 c.p. e per
manifesta illogicità della motivazione, con travisamento del fatto ed omessa
considerazione di circostanze decisive, potendosi, per contro alla valutazione
dei giudici di merito, ritenere che "la frase asseritamene proferita dal
T. non avesse un contenuto effettivamente minaccioso e, soprattutto che – in
considerazione del contesto in cui fu pronunciata …essa fosse espressione di
atteggiamento parolaio e genericamente minaccioso senza alcuna finalizzazione
ad incidere sull’attività svolta dal p.u.". Di qui, ad avviso del ricorrente, la
insussistenza dell’elemento oggettivo del reato, in subordine qualificabile ex
art. 612 co. 1°e 61 n. 10 c.p. non perseguibile per difetto di querela. Il ricorso va dichiarato inammissibile per
manifesta infondatezza dei motivi addotti. Consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di Euro MILLE – alla cassa
delle ammende, così equitativamente determinante la misura. Ed invero,quanto al motivo sub 1), lo stesso
ricorrente finisce per ammettere che il verbale di riconoscimento fotografico
non è stato inserito nel fascicolo del dibattimento in quanto atto ripetibile e
l’individuazione dell’imputato, peraltro non seriamente contestata da costui,
si base sulle dichiarazioni della B., ritualmente assunte in atti e comprensive
del riferimento alla foto dell’imputato, atto di riferimento di dette
dichiarazioni, acquisibile, in ogni caso, ex art. 506 e 507 cpp. Di qui la
piena utilizzabilità di tali dichiarazioni riferite all’individuazione
dell’imputato, peraltro segnalato come presente al giudizio di 1° grado e dal
richiamo operato dalla sentenza sul punto. Anche il motivo sub 2) è manifestamente
infondato, posto che la frase incriminata, a prescindere dai riflessi personali
sulla persona del destinatario, ha contenuti oggettivamente idonei a
rappresentare una ragionevole portata intimidatoria, direttamente collegata al
compimento dell’atto di ufficio o servizio del p.u. e quindi nient’affatto
equivocabile in punto di reale finalità realizzatrice di "condotta
positiva" di resistenza a p.u.. Di qui l’inconfigurabilità di ipotesi meno
gravi, a fronte della corretta originaria qualificazione giuridica del
fatto-reato contestato al ricorrente. P.Q.M. DICHIARA inammissibile il ricorso e CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro MILLE
– in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 20-03-2007 IL CONSIGLIERE EST. IL PRESIDENTE DEPOSITATO IN CANCELLERIA |
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