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Articoli 05/07/2007

Osteoartrosi: la malattia del presente

L’osteoartrosi (OA) è una delle patologie più diffuse; è un’alterazione cronica degenerativa delle articolazioni caratterizzata dall’usura e dall’ossificazione delle superfici cartilaginee articolari, classicamente attribuita all’invecchiamento. In effetti, da studi epidemiologici, si rileva che l’incidenza di questa malattia è progressiva con l’età: circa l’85% dei soggetti con più di 70 anni presenta manifestazioni radiologiche di artrosi; tuttavia, nelle persone giovani alterazioni identiche a quelle dell’età avanzata possono insorgere quando la cartilagine articolare è stata danneggiata da lesioni traumatiche, infezioni o deformazioni congenite. Particolari attività lavorative e pratiche sportive possono provocare l’insorgenza precoce di alcune forme secondarie. Una predisposizione genetica è evidente, infine, in forme che colpiscono particolarmente il sesso femminile. Oggigiorno, però, l’aumento dell’età media della popolazione, l’incremento dell’uso delle autovetture e della patologia da traffico, e le occupazioni sedentarie, che spesso costringono a posizioni obbligate, costituiscono ulteriori fattori favorenti la precoce usura e la degenerazione della cartilagine articolare; cosicchè questa malattia diventa più che mai attuale. La cartilagine articolare, l’osso sottostante e la capsula articolare partecipano tutti alla funzione articolare ed assorbono le forze del peso corporeo. Nell’artrosi, l’alterazione del tessuto connettivo della cartilagine articolare, provoca la riduzione progressiva della sua compressibilità ed elasticità, e quindi della sua capacità di assorbire le sollecitazioni meccaniche durante il carico ed il movimento. Si ritiene che il continuo logorìo delle articolazioni provochi microfratture dell’osso subcondrale, la cui riparazione riduce l’elasticità dell’osso, e quindi la sua capacità di assorbire le forze di carico. Così la cartilagine articolare viene sottoposta ad un carico maggiore, e la sua superficie comincia ad usurarsi ed a sfioccarsi; i processi riparativi che sopravvengono non riescono a pareggiare quelli degradativi, con il risultato di una perdita di cartilagine a livello articolare. L’osso reagisce, allora, con un processo di sclerosi e di iperproliferazione anomala, dando luogo ai caratteristici “speroni ossei” o “osteofiti”, ben visibili radiologicamente lungo i margini dell’articolazione. Anche la capsula articolare va incontro a fenomeni di ispessimento e di fibrosi. L’OA primaria si manifesta generalmente nella V-VI decade di vita a livello dell’anca, del ginocchio, delle piccole articolazioni, della colonna vertebrale (spondiloartrosi - discoartrosi), con netta prevalenza dei segmenti mobili del rachide: il tratto cervicale e quello lombare. Nell’OA secondaria si riscontra in genere una anomalia o lesione traumatica sottostante, e la sintomatologia inizia alcune decadi prima. Anche se il quadro clinico è identico, in quest’ultima sono interessate più spesso singole articolazioni o articolazioni insolite. Molte persone con alterazioni radiologiche da osteoartrosi non accusano alcun disturbo muscoloscheletrico. Quando compaiono, le manifestazioni sono costituite dal dolore, soprattutto con la stazione eretta ed il movimento; dalla rigidità dopo il riposo, che generalmente scompare in pochi minuti; dalla limitazione funzionale, accompagnata a volte da sintomatologia radicolare (interessamento delle radici nervose), da fenomeni da compressione di vasi sanguigni e terminazioni del sistema nervoso autonomo, e nei casi più gravi, ma fortunatamente rari, anche del midollo spinale. Sono generalmente assenti arrossamento e calore dell’articolazione, caratteristici dei reumatismi infiammatori (artriti). I normali esami di laboratorio non mostrano anomalie. L’esame radiologico è particolarmente utile per la diagnosi. L’evoluzione della malattia può, purtroppo, condurre all’invalidità. La limitazione del movimento concorre al mantenimento dello stato patologico ed alla progressiva compromissione della funzione, per cui l’esordio precoce è un segno prognostico negativo. Pur evolvendo con un decorso lento, questa patologia condiziona notevolmente la qualità della vita, a volte compromette l’autosufficienza della persona, e comporta un notevole costo sanitario e sociale. Il trattamento deve essere rivolto innanzitutto a rassicurare il paziente; alla eliminazione di tutti i fattori di usura articolare (traumi eccessivi e ripetitivi, dismorfismi scheletrici); è fondamentale intraprendere nel paziente sovrappeso un programma per ridurre il peso corporeo. A volte occorre prescrivere l’uso di ausili ortopedici (ad es. bastone da passeggio). E’ consigliabile una ginnastica moderata, mentre va evitata un’attività energica che provoca la comparsa di dolori e disturbi persistenti. La terapia di elezione del dolore è rappresentata dai FANS per via sistemica, che purtroppo devono essere somministrati in maniera continuativa, con alta incidenza di effetti collaterali, soprattutto gastrici. Recentemente sono stati introdotti in commercio dei farmaci denominati COXIB, con minori effetti negativi a livello dello stomaco. Pare, inoltre, efficace nel bloccare l’evoluzione dell’artrosi la glucosamina solfato, una sostanza normalmente presente nell’organismo, ed importante costituente della cartilagine articolare, la cui produzione ed assemblaggio risultano alterati negli individui che soffrono di OA. La terapia antalgica comprende altre misure la cui efficacia è modesta e limitata alle forme di grado lieve o moderato, quali il calore locale, la fangobalneoterapia, l’agopuntura, la terapia fisica con raggi infrarossi ed ultrasuoni (marconi-, radar-, e magnetoterapia), FANS per uso locale (ionoforesi), iniezioni intraarticolari di cortisone. Utili sono gli esercizi isometrici, soprattutto per rafforzare il muscolo quadricipite nei casi con interessamento del ginocchio; la trazione cervicale è vantaggiosa nell’attenuare la compressione delle radici nervose. Nei casi di maggiore gravità, è opportuno intervenire con sistemi ortopedici correttivi, o chirurgicamente. La terapia chirurgica, quando indicata, è l’unica che può portare al recupero funzionale ed alla scomparsa del dolore, e consiste in interventi di pulizia a livello articolare, con asportazione di corpi liberi, osteotomia, apparecchi di protesi parziale e sostituzione con protesi totali. Attraverso le cure mediche, fisiche e chirurgiche si ottengono, comunque, in genere solo parziali miglioramenti della malattia, che al giorno d’oggi rimane ad affliggere l’attività quotidiana di migliaia di persone.

* Medico Capo della Polizia di Stato Questura di Ragusa 

Da Il Centauro 112

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Di Antonia Liaci*

Da "Il Centauro"
Giovedì, 05 Luglio 2007
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