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Si parla, si parla, ma al volante la gente uccide ogni giorno beneficiando di una sorta di “indulto permanente”: all’estero, carcere duro, in Italia è amnistia quotidiana. In pochi giorni decine di episodi, tutti legati all’alcol: ve ne presentiamo alcuni che fanno rabbrividire


Foto Blaco


(ASAPS), 9 luglio 2007 – Mentre in Italia si fanno leggi a tempo record, per tutelare la privacy dei cittadini (molti dei quali impegnati in politica), sulle strade si muore di una morte orrenda. Che è anche violenta e beffarda, perché nessuno se ne cura. L’indegno muro di gomma che circonda l’argomento, non mostra mai segni di cedimento, nemmeno quando un padre come Cesare Chiodelli, rivolge dalla sua Cremona un appello ai politici.
Suo figlio Davide, è rimasto ucciso in un terribile schianto il 28 giugno scorso, insieme a suoi tre amici (due giovani italiani ed un brasiliano, tutti tra i 20 ed i 28 anni), provocato da un extracomunitario in stato di ebbrezza. Al dolore si è aggiunta l’indignazione, quando ha saputo che colui che ha cancellato quattro vite, distruggendone molte altre, se l’è cavata con una denuncia a piede libero per guida in stato di ebbrezza ed omicidio colposo plurimo.
È evidente che qualcosa non va. La tragedia è stata provocata da un uomo capace di intendere e di volere, il quale doveva mettere in conto il rischio che avrebbe corso e fatto correre agli altri, decidendo di ubriacarsi quando sapeva benissimo che avrebbe dovuto guidare: il codice penale, lo definisce “dolo eventuale”, che si verifica quando qualcuno pone in essere una condotta per altri fini, ma sa che vi sono serie possibilità – o comunque concrete probabilità – che ne discendano eventi ulteriori, accettando il rischio di cagionarli. 
È qui, proprio nell’accettazione piena e consapevole del rischio, che il reo pone in essere una condotta diversa dall’istituto della “colpa cosciente”. Insomma, si decide di bere alcolici o di assumere sostanze stupefacenti, ben sapendo che si dovrà tornare a casa guidando. Ma, costi quel che costi, si va avanti, consapevoli del rischio che ciò comporta.
Nonostante ciò, un killer della strada (a Cremona sono morti 4 giovani), raramente finisce in prigione con un’imputazione di questo tipo e, ancor più difficilmente, viene poi condannato. È praticamente impossibile, poi, che un omicida colposo si trovi ad espiare una pena in carcere, visto che tra riduzioni di pena ed entità della stessa, il condannato può tranquillamente tornare a casa, magari guidando. Il tutto, mentre il familiare della vittima assiste incredulo alla scena.
Sentiamo ripetere sempre la stessa frase: “…è come se me l’avessero ammazzato un’altra volta…
“È assurdo – ha detto Cesare Chiodelli – che sia libera gente che ha ucciso. Sono belve feroci che devono essere fermate. Anche chi non ha perso un figlio come me, vede che in questo paese la gente per bene non è difesa, mentre gli altri non rischiano niente”.
Vedete? “…la gente perbene…”, dice il padre dello sfortunato ragazzo. Chi uccide sulla strada, in circostanze così assurde come nel caso dell’incidente di Piacenza, non può essere considerato un “omicida colposo”: è opinione comune della gente, e sono molti gli esperti (anche tanti avvocati, che collaborano con il nostro sodalizio), che la legge debba cambiare e che queste persone cessino di essere puntualmente impunite.
In paesi esteri, anche quelli molto vicini a noi, un delitto di questo tipo viene sanzionato alla stregua di un omicidio volontario (ad esempio Gran Bretagna, Francia, Spagna o Germania), e, viste le dimensioni del fenomeno, sembra venuto il momento della verità, con un obiettivo 2010 sempre più lontano dall’essere centrato (dall’Italia) e con costi sociali legati all’infortunistica stradale che superano il 2,5% del prodotto interno lordo.
All’indignazione di Chiodelli, che aveva già gridato tutta la sua rabbia il giorno dei funerali del figlio, nel duomo di Cremona, ed allo sdegno seguito alla morte dell’appuntato dei Carabinieri Roberto Sutera, ucciso durante un inseguimento sul raccordo anulare (il pluripregiudicato a bordo del furgone rubato, accusato di aver speronato la Stilo dell’Arma provocando il terribile schianto, era stato arrestato 15 giorni prima ma già in libertà), hanno indotto il Guardasigilli ad ordinare ispezioni per verificare eventuali “inadempienze riguardo allo stato di libertà di soggetti già raggiunti da sentenza di condanna o se vi siano stati ritardi nell’esecuzione delle pene”.
Uno dei motivi per cui molti, moltissimi pluripregiudicati, sono liberi di offendere (probabilmente non in questo), è l’indulto, che ha graziato per l’appunto i soggetti già raggiunti da sentenze di condanna.
Il capo degli ispettori del ministero di Giustizia si è messo subito al lavoro, ma, conoscendo la legge italiana e la quantità dei meccanismi che regolano la custodia cautelare o l’espiazione delle pene, non abbiamo dubbi: da un punto di vista formale, è tutto a posto.
Secondo noi, è giunto il momento di adottare una linea più dura: non per velleità punitive, ma per semplice giustizia. Per mettere il paese al riparo da delinquenti (per professione, abitudine e tendenza) che tornano puntualmente liberi al ventesimo od al trentesimo arresto, e per evitare che persone riconosciute colpevoli di aver cagionato la morte in circostanze “colpose”, dalle quali emergano responsabilità gravissime (l’incidente di Cremona è solo un esempio), possano reiterare il reato.
Molti, tra quelli che uccidono guidando in stato di ebbrezza, hanno già subito precedenti ritiri di patente, così come gli utenti colpiti a raffica da sanzioni inerenti la velocità.
Volete un esempio di ciò che è successo nelle strade del nostro paese negli ultimi giorni?

Chieti, 6 luglio: un commerciante in stato di ebbrezza, al volante del proprio Mercedes ML, percorre l’asse attrezzato ad altissima velocità e piomba, tamponandola, su una Renault Twingo con a bordo due giovani di 29 anni. L’utilitaria si apre come una scatoletta ed i due giovani muoiono sul colpo, entrambi per rottura (!) della spina dorsale. Il SUV, dopo l’impatto, trascina la Twingo per 200 metri, e, quando la carcassa si stacca dal muso del gippone, ne servono altri 200 per fermarsi: al commerciante, rimasto lievemente ferito, gli uomini della Polizia Stradale hanno ritirato la patente, denunciandolo per omicidio colposo plurimo e guida in stato di ebbrezza.

Ravenna, 2 luglio: Matteo Verde, 29 anni, viene investito a Punta Marina: una Seat Ibiza, condotta da un giovane in stato di ebbrezza, travolge anche un altro pedone, dandosi subito alla fuga. Una giovane ragazza straniera, che assistite alla scena, insegue il pirata e fornisce alla Polizia Stradale tutte le indicazioni che ne consentono l’arresto. Quando all’ospedale Bellaria di Bologna, Matteo muore, il suo carnefice era già stato processato per direttissima, in ordine ai reati di omissione di soccorso e fuga e guida in stato di ebbrezza: ha patteggiato la pena, pagando 6mila euro in cambio di 5 mesi reclusione. Ora lo aspetta il processo per omicidio colposo, ma intanto è libero (di rifare tutto daccapo).

Bassano del Grappa, 5 luglio: un 21enne, in stato di ebbrezza (il tasso alcolico nel sangue è di 3 g/l), investe, con l’auto del padre, un immigrato del Ciad che stava tornando a casa in sella alla sua bicicletta, e poi fugge. L’africano viene ricoverato al pronto soccorso in gravi condizioni, con un trauma cranico commotivo e numerose fratture; l’investitore, identificato grazie ai testimoni, rifiuta di costituirsi e costringe i militari ad una vasta caccia all’uomo, conclusasi alcune ore più tardi con il suo arresto per omissione di soccorso e con la denuncia per guida in stato di ebbrezza. Gli ritirano la patente e, il giorno dopo, lo conducono all’udienza di convalida della misura restrittiva: nonostante abbia carichi pendenti per furto e lesioni personali, viene subito scarcerato. Questo dice la legge, così deve fare il giudice.

Sassari, 5 luglio: l’auto condotta da un ubriaco piomba su due pedoni e poi fugge. Le Volanti lo arrestano poco dopo, nel corso di un’altra operazione: si era infatti recato in casa di parenti e li aveva aggrediti con un coltello. I poliziotti hanno ricollegato i due episodi ed interrogando il suo nome al terminale hanno scoperto che aveva la patente sospesa. Sapete perché? Omissione di soccorso e guida in stato di ebbrezza. Capite perché vorremmo la confisca del veicolo? Un’ultima cosa: le sue vittime, una donna di 81 anni ed un ragazzo di 22, sono in ospedale. Lui? Già fuori. (ASAPS)

© asaps.it

Di Lorenzo Borselli

L’impunità sulle strade
Lunedì, 09 Luglio 2007
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