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Corte di Cassazione 09/07/2007

da Altalex - Esporre l’animale domestico alla calura senza possibilità di muoversi è reato
Maltrattamento legare il cane al sole

(Cassazione 20468/2007)

Rischia una condanna per maltrattamenti il proprietario che lascia il proprio cane esposto al sole senza possibilità di muoversi perché legato ad una catena; e non importa che nelle vicinanze vi sia una cuccia dove ripararsi. Il monito animalista viene dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna al pagamento di 1.500 euro a titolo di ammenda per il reato di maltrattamento di animali inflitta dal Tribunale di Trapani ad un uomo colpevole di avere lasciato il proprio cane, un pastore tedesco, nel cantiere di sua proprietà, legato ad una catena di appena due metri sotto il sole cocente dell’estate e con vicino una cuccia arroventata. Inutilmente il proprietario dell’animale aveva fatto ricorso in Cassazione sostenendo che tutti i giorni dava da mangiare al cane, gli dava l’antiparassitario e non gli faceva mancare nulla, mettendogli oltretutto a disposizione una cuccia. La Suprema Corte ha rigettato la tesi difensiva del ricorrente confermando la sanzione del Tribunale e sottolineando che il reato di maltrattamenti era perfettamente provato in quanto “il pastore tedesco versava in una situazione di grave incuria e di pessima situazione igienica”, era legato ad una catena lunga appena due metri, e quindi esigua rispetto alle sue dimensioni e che non gli permetteva i movimenti naturali per lungo lasso di tempo, e soprattutto “era lasciato per tutto il giorno d’estate in una zona del cantiere priva di ombra e di alcun riparo gli permettesse di ripararsi dalla elevata temperatura del sole di agosto, temperatura ugualmente se non ancor più elevata all’interno della cuccia anch’essa esposta al sole”; ciò era comunque produttivo di gravi sofferenze per l’animale, determinate non solo dalla sporcizia del luogo e dall’incuria, ma “soprattutto dall’essere praticamente privato della possibilità di movimento e dall’essere costretto a stare durante le ore più calde delle giornate di agosto in un cantiere assolato o in una cuccia soffocante, priva a sua volta di una idonea tettoia”. (06 luglio 2007)

Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, sentenza n. 20468/2007

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.:

1. Dott. Enrico Papa Presidente

2. Dott. Agostino Cordova Consigliere

3. Dott. Vincenzo Tardino Consigliere

4. Dott. Alfredo Maria Lombardi Consigliere

5. Dott. Amedeo Franco (est) Consigliere

Ha pronunciato la seguente

S E NT EN Z A

Sul ricorso proposto da C. L. , nato a Trapani il 21 aprile 1965;

avverso la sentenza emessa il 9 febbraio 2006 dal giudice del tribunale di Trapani; Udita nella pubblica udienza del 4 aprile 2007 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Luigi Ciampoli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Udito il difensore avv. Giancarlo Di Giulio;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza in epigrafe il giudice del Tribunale di Trapani, derubricata e diversamente qualificata la contestata imputazione di cui all’art. 544 ter. Cod. pen. , dichiarò C. L. colpevole del reato di cui all’art. 727 cod. pen.[1], limitatamente al cane di razza pastore tedesco, per averlo detenuto in condizioni incompatibili con la sua natura e produttive di gravi sofferenze, e lo condannò alla pena di € 1.500,00 di ammenda, mentre lo assolse relativamente alla condotta relativa al cane di razza dobermann.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione degli artt. 727 e 2, comma 4, cod. pen. e 25 Cost., con riferimento alla ritenuta configurabilità della fattispecie di cui all’art. 727 cod. pen. come novellata dalla legge 189/2004, per mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla omessa specificazione della frazione di condotta asseritamene produttiva di gravi sofferenze. Osserva che il giudice ha escluso il contestato reato di cui all’art. 544 ter cod. pen. per mancanza del dolo che caratterizza l’ipotesi delle sevizie ed ha applicato il nuovo testo dell’art. 727 cod. pen. senza però motivare sulla sussistenza dell’elemento costitutivo del reato dato dal fatto che la detenzione in condizioni incompatibili con la natura dell’animale deve essere produttiva di gravi sofferenze.

2) violazione dell’art. 727 cod. pen. per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, in ordine circostanza che l’animale fosse detenuto in condizioni incompatibili con la propria natura, in quanto il cane era in discrete condizioni generale ed egli lo accudiva rifornendolo di acqua e cibo ogni giorno, lo cospargeva periodicamente di antiparassitario, lo teneva legato ad una catena sufficientemente lunga di cinque o sei metri, e lo aveva fornito di una cuccia con due entrate in grado di dargli riparo dal sole ed aerazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso si articola, in realtà, in censure in fatto non proponibili in questa sede processuale, ed è comunque infondato.

Nella specie, invero, trova applicazione la legge 20 luglio 2004, n. 189, entrata in vigore il 1° agosto 2004, e quindi in data anteriore alla commissione del fatto, e precisamente il secondo comma dell’art. 727 cod. pen. come riformulato da detta legge, che punisce "chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze".

Orbene, esattamente il giudice del merito ha ritenuto che non poteva parlarsi delle contestate sevizie, che presuppongono una particolare crudeltà e ferocia verso l’animale ed un dolo specifico costituito dalla volontà di arrecare un tormento atroce, ed ha ritenuto – con corretta applicazione delle norme di diritto e con congrua, specifica ed adeguata motivazione – sussistenti i due elementi costitutivi del reato in questione, ossia la detenzione dell’animale in condizioni incompatibili con la sua natura e le gravi sofferenze prodotte da tale detenzione.

Sotto il profilo, invero, ha osservato che era stato accertato che il pastore tedesco versava in una situazione di grave incuria e di pessima situazione igienica, che era legato ad una catena lunga appena due metri, e quindi esigua rispetto alle sue dimensioni e che non gli permetteva i movimenti naturali per lungo lasso di tempo, e soprattutto era lasciato per tutto il giorno d’estate in una zona del cantiere priva di ombra e di alcun riparo gli permettesse di ripararsi dalla elevata temperatura del sole di agosto, temperatura ugualmente se non ancor piu’ elevata all’interno della cuccia anch’essa esposta al sole. Sotto il secondo profilo, il giudice ha osservato di arrecare al cane atroci sofferenze, e quindi non dava luogo a sevizie, era comunque produttivo di gravi sofferenze per l’animale, determinate non solo dalla sporcizia del luogo e dall’incuria, ma soprattutto dall’essere praticamente privato della possibilità di movimento e dall’essere costretto a stare durante le ore piu’ calde delle giornate di agosto in un cantiere assolato o in una cuccia soffocante, priva a sua volta di una idonea tettoia.

Trattandosi di motivazione adeguata e scevra di vizi logici, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Per questi motivi

La Corte Suprema di Cassazione

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 4 aprile 2007.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

IL 25 MAGGIO 2007


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Lunedì, 09 Luglio 2007
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