Rischia una condanna per
maltrattamenti il proprietario che lascia il proprio cane esposto al sole senza
possibilità di muoversi perché legato ad una catena; e non importa che nelle
vicinanze vi sia una cuccia dove ripararsi. Il monito animalista viene dalla
Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna
al pagamento di 1.500 euro a titolo di ammenda per il reato di maltrattamento
di animali inflitta dal Tribunale di Trapani ad un uomo colpevole di avere
lasciato il proprio cane, un pastore tedesco, nel cantiere di sua proprietà,
legato ad una catena di appena due metri sotto il sole cocente dell’estate e
con vicino una cuccia arroventata. Inutilmente il proprietario dell’animale
aveva fatto ricorso in Cassazione sostenendo che tutti i giorni dava da
mangiare al cane, gli dava l’antiparassitario e non gli faceva mancare nulla,
mettendogli oltretutto a disposizione una cuccia. La Suprema Corte ha rigettato
la tesi difensiva del ricorrente confermando la sanzione del Tribunale e
sottolineando che il reato di maltrattamenti era perfettamente provato in
quanto “il pastore tedesco versava in una situazione di grave incuria e di
pessima situazione igienica”, era legato ad una catena lunga appena due metri,
e quindi esigua rispetto alle sue dimensioni e che non gli permetteva i
movimenti naturali per lungo lasso di tempo, e soprattutto “era lasciato per
tutto il giorno d’estate in una zona del cantiere priva di ombra e di alcun
riparo gli permettesse di ripararsi dalla elevata temperatura del sole di
agosto, temperatura ugualmente se non ancor più elevata all’interno della
cuccia anch’essa esposta al sole”; ciò era comunque produttivo di gravi
sofferenze per l’animale, determinate non solo dalla sporcizia del luogo e
dall’incuria, ma “soprattutto dall’essere praticamente privato della
possibilità di movimento e dall’essere costretto a stare durante le ore più
calde delle giornate di agosto in un cantiere assolato o in una cuccia
soffocante, priva a sua volta di una idonea tettoia”. (06 luglio 2007) Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale,
sentenza n. 20468/2007 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE
TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.: 1. Dott. Enrico Papa Presidente 2. Dott. Agostino Cordova Consigliere 3. Dott. Vincenzo Tardino Consigliere 4. Dott. Alfredo Maria Lombardi Consigliere 5. Dott. Amedeo Franco (est) Consigliere Ha pronunciato la seguente S E NT EN Z A Sul ricorso proposto da C. L. ,
nato a Trapani il 21 aprile 1965; avverso la sentenza emessa il 9
febbraio 2006 dal giudice del tribunale di Trapani; Udita nella pubblica udienza del 4 aprile 2007 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco; Udito il Pubblico Ministero in
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Luigi Ciampoli, che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso; Udito il difensore avv.
Giancarlo Di Giulio; SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con la sentenza in epigrafe il
giudice del Tribunale di Trapani, derubricata e diversamente qualificata la
contestata imputazione di cui all’art. 544 ter. Cod. pen. , dichiarò C. L.
colpevole del reato di cui
all’art. 727 cod. pen.[1], limitatamente al cane di razza pastore tedesco,
per averlo detenuto in condizioni incompatibili con la sua natura e produttive
di gravi sofferenze, e lo condannò alla pena di € 1.500,00 di ammenda, mentre
lo assolse relativamente alla condotta relativa al cane di razza dobermann. L’imputato propone ricorso per
cassazione deducendo: 1) violazione degli artt. 727 e
2, comma 4, cod. pen. e 25 Cost., con riferimento alla ritenuta configurabilità
della fattispecie di cui all’art. 727 cod. pen. come novellata dalla legge
189/2004, per mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento
alla omessa specificazione della frazione di condotta asseritamene produttiva
di gravi sofferenze. Osserva che il giudice ha escluso il contestato reato di
cui all’art. 544 ter cod. pen. per mancanza del dolo che caratterizza l’ipotesi
delle sevizie ed ha applicato il nuovo testo dell’art. 727 cod. pen. senza però
motivare sulla sussistenza dell’elemento costitutivo del reato dato dal fatto
che la detenzione in condizioni incompatibili con la natura dell’animale deve
essere produttiva di gravi sofferenze. 2) violazione dell’art. 727
cod. pen. per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, in ordine
circostanza che l’animale fosse detenuto in condizioni incompatibili con la
propria natura, in quanto il cane era in discrete condizioni generale ed egli
lo accudiva rifornendolo di acqua e cibo ogni giorno, lo cospargeva
periodicamente di antiparassitario, lo teneva legato ad una catena sufficientemente
lunga di cinque o sei metri, e lo aveva fornito di una cuccia con due entrate
in grado di dargli riparo dal sole ed aerazione. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso si articola, in
realtà, in censure in fatto non proponibili in questa sede processuale, ed è
comunque infondato. Nella specie, invero, trova
applicazione la legge 20 luglio 2004, n. 189, entrata in vigore il 1° agosto
2004, e quindi in data anteriore alla commissione del fatto, e precisamente il
secondo comma dell’art. 727 cod. pen. come riformulato da detta legge, che
punisce "chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro
natura, e produttive di gravi sofferenze". Orbene, esattamente il giudice
del merito ha ritenuto che non poteva parlarsi delle contestate sevizie, che
presuppongono una particolare crudeltà e ferocia verso l’animale ed un dolo
specifico costituito dalla volontà di arrecare un tormento atroce, ed ha
ritenuto – con corretta applicazione delle norme di diritto e con congrua,
specifica ed adeguata motivazione – sussistenti i due elementi costitutivi del
reato in questione, ossia la detenzione dell’animale in condizioni
incompatibili con la sua natura e le gravi sofferenze prodotte da tale
detenzione. Sotto il profilo, invero, ha
osservato che era stato accertato che il pastore tedesco versava in una
situazione di grave incuria e di pessima situazione igienica, che era legato ad
una catena lunga appena due metri, e quindi esigua rispetto alle sue dimensioni
e che non gli permetteva i movimenti naturali per lungo lasso di tempo, e
soprattutto era lasciato per tutto il giorno d’estate in una zona del cantiere
priva di ombra e di alcun riparo gli permettesse di ripararsi dalla elevata
temperatura del sole di agosto, temperatura ugualmente se non ancor piu’ elevata
all’interno della cuccia anch’essa esposta al sole. Sotto il secondo profilo,
il giudice ha osservato di arrecare al cane atroci sofferenze, e quindi non
dava luogo a sevizie, era comunque produttivo di gravi sofferenze per
l’animale, determinate non solo dalla sporcizia del luogo e dall’incuria, ma
soprattutto dall’essere praticamente privato della possibilità di movimento e
dall’essere costretto a stare durante le ore piu’ calde delle giornate di
agosto in un cantiere assolato o in una cuccia soffocante, priva a sua volta di
una idonea tettoia. Trattandosi di motivazione
adeguata e scevra di vizi logici, il ricorso deve essere rigettato, con
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Per questi motivi La
Corte Suprema di Cassazione Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema
di Cassazione, il 4 aprile 2007. L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN CANCELLERIA |
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