Niente preavviso, niente multa. Questa la semplice equazione per
affermare la quale, un automobilista romano tra le centinaia colti ogni giorno
in divieto di sosta, ha percorso tutti i gradi del giudizio fino a fermarsi di
fronte al semaforo rosso della Cassazione Civile. Infatti, l’Alta Corte,
con la sentenza numero 5447 del 2007, ha rigettato il suo ricorso in
opposizione, ritenendone del tutto infondati i motivi. Certo il caso è banale
e, francamente, il tentativo di fare annullare il verbale piuttosto ardito, ma
quello che più interessa è che la Corte ha riaperto una questione mai
completamente risolta circa la natura giuridica di uno degli atti più odiati
nella pratica delle sanzioni stradali: il preavviso di contravvenzione. La lamentela
dell’automobilista romano, per tornare al caso da cui siamo partiti, è in
ultima analisi proprio questa: non avendo trovato il preavviso sull’auto una
delle alternative per lui è saltata. Il ragionamento, che a prima vista sembra
furbesco, in realtà pone qualche problemino di ordine formale. Sì, perché se è
vero che il preavviso non esiste nel mondo giuridico, è altrettanto vero che
chi lo trova può pagare “raffreddando” il contenzioso senza altra spesa, mentre
chi non lo trova riceve a casa il verbale con annesse e connesse le pesanti
spese di notifica e di procedimento. E’ evidente la sperequazione, poiché non
c’è dubbio che alla fine uno paga di più dell’altro. Il trasgressore romano,
poi, aveva anche lamentato l’imprecisione del vigile nel rappresentare
topograficamente la violazione nel verbale giuntogli al domicilio: la via era
quella, ma il suo veicolo era di fronte ad un numero civico diverso da quello
indicato dall’agente. Una osservazione un po’ speciosa, quest’ultima, che la
Cassazione ha rintuzzato osservando semplicemente che, se il divieto vigeva su
tutta la strada, non era certo il caso di pretendere che il vigile utilizzasse,
per la localizzazione, il misurino. Meno articolato invece, si è dimostrato il
ragionamento della Corte circa la natura giuridica del preavviso, il quale è
stato disconosciuto e dichiarato non rilevante, sulla scorta del fatto che il codice
della strada non lo contempla. Ma allora, i milioni di euro che i Comuni
incassano attraverso il pagamento delle somme riportate sul preavviso, senza
che sia mai avvenuta la notifica dell’infrazione con un formale verbale? E,
ancor peggio, cosa succederà nell’eventualità che il trasgressore non paghi, ma
poi il preavviso non venga trasformato in verbale? In sostanza, può il Comando
di Polizia, senza altra formalità, trattandosi di atti non formalmente
classificati dal diritto, cestinarli archiviando de plano la violazione?
Su quest’ultimo punto, la stessa Cassazione da un lato e la Corte dei Conti
dall’altro, hanno come si dice piantato i paletti. I giudici penali si sono
occupati del preavviso in merito a casi di alterazione della scrittura
originale, episodi di compilazione falsata, idonea a favorire il trasgressore,
e addirittura di casi di soppressione dell’atto. Va da se che vengono in
rilievo ipotesi di reato molto gravi: falso materiale in atto pubblico, omissione di atti d’ufficio, abuso d’ufficio,
soppressione di atto vero e chi più ne ha più ne metta. Ma, se fino ad ora
abbiamo affermato che il preavviso non è un atto pubblico, come possiamo
ipotizzare la sussistenza di questi reati contro la pubblica amministrazione?
La Cassazione penale ha risolto il problema stabilendo che si tratta di un atto
“endo-procedurale”, cioè un documento che pur non assurgendo all’ufficialità
del verbale per carenza degli elementi essenziali, è dotato di efficacia
propulsiva rispetto al procedimento sanzionatorio che nel verbale medesimo si
sostanzierà. Quanto meno, certifica che il vigile c’era e l’infrazione pure,
tutto il resto riguarda solo il modo in cui la procedura deve essere condotta a
termine. In merito si è pronunciata anche la Corte dei Conti per verificare
l’eventuale danno erariale prodotto dalla prassi, in certi Comandi, di
archiviare il preavviso facendo abortire insieme tanto il procedimento
sanzionatorio, quanto la pretesa della pubblica amministrazione di incassare il
quantum. In particolare, con una datata sentenza (n. 1336/1997), la
Corte aveva condannato il Comandante della Polizia Municipale di un importante
capoluogo a versare lui, la somma corrispondente a tutti i preavvisi archiviati
dal momento che - secondo il codice - solo il prefetto può chiudere il
procedimento. Infatti, in sintesi, giunto il verbale (nel quale il preavviso si
trasforma), o il trasgressore paga oppure fa opposizione, pena la procedura
coattiva. Se invece fa ricorso al prefetto, quest’ultima autorità ha il potere
di procedere oltre, con l’ordinanza ingiunzione ovvero di archiviare. Fatto sta
che anche questa sentenza è stata in parte smentita, dalla stessa Sezione
Giurisdizionale della Corte dei Conti con una pronuncia del 2 settembre 1998.
In questo caso, la magistratura contabile ha riconosciuto che, per quanto il
preavviso sia un atto atipico, non c’è dubbio che quando esso contenga degli
errori essenziali che non porterebbero ad una legittima stesura del verbale
(manca l’ora e la data dell’accertamento; è palesemente sbagliata la targa del
veicolo; manca l’indicazione della strada e così via) l’unica soluzione
possibile è quella dell’accantonamento, per evitare di mettere in moto costosi
procedimenti già ab origine destinati al fallimento. Il preavviso,
dunque, non è solo una informazione di cortesia, ma se non viene apposto non
preclude la spedizione della multa al domicilio del trasgressore.
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