T.A.R. Sicilia - Catania Sezione int. III Sentenza 2 aprile 2007, n. 180 Va ritenuta rilevante al fine del decidere e non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli
artt. 3 e 24 - 2° comma - della Costituzione, dall’art. 20 del D.P.R. n. 737
del 1981 nella parte in cui impone al dipendente dell’Amministrazione della
P.S. sottoposto a procedimento disciplinare di essere assistito esclusivamente
da un difensore appartenente all’Amministrazione medesima. N. Ord. 0180/07 REPUBBLICA ITALIANA Il Tribunale amministrativo
regionale della Sicilia, Sezione staccata di Catania - sez. int. 3^ - composto
dai Magistrati: · Vincenzo
SALAMONE – Presidente ff. rel. est. · Salvatore
SCHIILLACI – Consigliere · Giovanni
MILANA – Consigliere ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso n. 805 del 2001 proposto
da. R. N., rapp.to e difeso dagli avvti. Amalia De Paola e Salvatore Buscemi
nel cui studio è elett. dom. in Catania corso Italia n. 36; contro - Il MINISTERO dell’INTERNO, in
persona del Ministro p.t.; - Il DIPARTIMENTO della PUBBLICA
SICUREZZA del MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Direttore Generale p.t.
rapp. e dif. ope legis dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania,
domiciliataria; per l’annullamento del decreto 15.12.2000 n.
333-D/0166145 con il quale il Capo della Polizia - Direttore Generale del
Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno - ha disposto
la destituzione del ricorrente dall’Amministrazione della P.S. a decorrere dal
28.09.2000, nonché di ogni altro atto e comportamento connesso, collegato, presupposto,
precedente e consequenziale. Visto il ricorso con i relativi
allegati; Visto l’atto di costituzione in
giudizio dell’Amministrazione resistente; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore per la pubblica
udienza del giorno 8 marzo 2007 il Consigliere Vincenzo Salamone; Uditi i difensori delle parti come
da verbale di pubblica udienza; Ritenuto in fatto e considerato in
diritto quanto segue: FATTO Con il ricorso si chiede
l’annullamento del decreto 15.12.2000 n. 333-D/0166145 con il quale il Capo
della Polizia - Direttore Generale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza
del Ministero dell’Interno - ha disposto la destituzione del ricorrente
dall’Amministrazione della P.S. a decorrere dal 28.09.2000, nonché di ogni
altro atto e comportamento connesso, collegato, presupposto, precedente e
consequenziale. Si premette che con sentenza del
16.06.98 il Tribunale di Agrigento aveva condannato il ricorrente alla pena,
sospesa, di mesi nove di reclusione perché ritenuto responsabile del reato di
cui all’art. 479 c.p. per avere redatto una relazione di servizio con falso
contenuto, laddove lo stesso aveva dichiarato di essere rimasto ferito da un
colpo di pistola durante uno spontaneo intervento presso un’abitazione privata
dove era in corso un furto ad opera di un soggetto rimasto ignoto, mentre in
realtà il colpo di pistola era stato accidentalmente esploso dallo stesso R.. Tale sentenza era stata confermata
dalla Corte d’Appello di Palermo con decisione dell’08.04.99 ed il ricorso
avverso la stessa era stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione
con sentenza del 15.05.2000. Conseguentemente sottoposto a
procedimento disciplinare, su conforme parere del 27.09.2000 del Consiglio
Provinciale di disciplina, con decreto 15.12.2000 n. 333-D/0166145 del Capo
della Polizia il ricorrente veniva destituito dall’Amministrazione della P.S. a
decorrere dal 28.09.2000. Tale decreto è stato impugnato
davanti a questo Tribunale con ricorso n. 805/01; la domanda cautelare è stata
rigettata con ordinanza n. 525/01 del 10.03.2001. All’atto impugnato si muovono le
seguenti censure: 1 - illegittimità, per violazione
degli artt. 3 e 24 - 2° comma della Costituzione, dall’art. 20 del D.P.R. n.
737 del 1981 nella parte in cui impone al dipendente dell’Amm.ne della P.S.
sottoposto a procedimento disciplinare di essere assistito esclusivamente da un
difensore appartenente all’Amm.ne medesima; la sola possibilità, riconosciuta
ai dipendenti dell’Amm.ne P.S., di farsi assistere davanti al Consiglio di
disciplina da un difensore dipendente dell’Amm.ne medesima sarebbe
incompatibile con il pieno esercizio del diritto di difesa riconosciuto
dall’art. 24 Cost., che lo estende anche alla garanzia dell’assistenza tecnica
che può, tipicamente e professionalmente, essere assicurata da un avvocato del
libero Foro oltre che da un dipendente della P.A.; 2 - illegittimità, per violazione
degli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dell’art. 20 del D.P.R. n. 737 del
1981 nella parte in cui non prevede che la P.A. proceda alla nomina di un
difensore d’ufficio al dipendente della P.S. che, sottoposto a procedimento
disciplinare, non abbia provveduto a nominarne uno di fiducia; la
giurisdizionalizzazione del procedimento disciplinare non consentirebbe,
infatti, che l’incolpato rimanga privo di un difensore; 3 - illegittimità, per violazione
degli arti. 3 e 24 della Costituzione, dell’art. 20 del D.P.R. n. 737 del 1981
nella parte in cui prevede che il difensore del dipendente dell Amm.ne P.S.,
sottoposto a procedimento disciplinare, non possa intervenire davanti al
Consiglio di disciplina allorché il dipendente medesimo rimanga assente; il
divieto si risolverebbe in una compressione delle attività difensive non
assistita da alcuna finalità di pubblico interesse; 4 - illegittimità, per violazione
degli artt. 3, 25 - 2° comma, 28 e 97 della Costituzione, dell’art. 7 del
D.P.R. n. 737 del 1981 e dell’art. 9 della legge n. 19/90 in quanto la sanzione
espulsiva non sarebbe riconnessa ad alcuna tipizzazione di atti illeciti che
specificatamente la commini, essendo rimessa, invece, alla più ampia
discrezionalità dell’Amm.ne, peraltro difficilmente censurabile in sede di
tutela giurisdizionale; altresì, mentre alla condanna per delitto non colposo
il 3° comma - n. 2 dell’art. 6 del D.P.R. n. 737 del 1981 riconnette la
sanzione della sospensione dal servizio, la stessa sanzione potrebbe essere
riservata in presenza di condanna per gravi reati, lasciando così aperta la
porta per il passaggio della discrezionalità al libero arbitrio; 5 - violazione dell’ultimo comma
dell’art. 19 del D.P.R. n. 737 del 1981 e l’omessa motivazione del
provvedimento di trasmissione del carteggio dell’inchiesta al Consiglio
provinciale di disciplina in quanto il Questore di Catania non avrebbe
adempiuto all’obbligo di corredare con le "opportune osservazioni" il
carteggio dell’inchiesta trasmesso al Consiglio di disciplina; 6 - violazione del 4° comma -
lett. b) dell’art. 20 del D.P.R. n. 73 7/81 e l’eccesso di potere per erroneità
dei presupposti in quanto sia il Funzionario istruttore, nella fase
dell’inchiesta, che il Presidente del Consiglio di disciplina, nel corso della
trattazione orale, avrebbero omesso di rendere "noti i precedenti di
servizio dell’inquisito" e, cioè, i dati positivi della sua attività,
essendosi limitato il secondo a menzionare soltanto un provvedimento
sanzionatorio a carico del ricorrente, peraltro sospeso da questo TAR con
ordinanza n. 1392/2000; 7 - violazione dell’ultimo comma-
lett. a) dell’art. 20 del D.P.R. n. 737 del 1981 e l’eccesso di potere in
quanto agli atti del giudizio disciplinare (ed anche a quelli dell’inchiesta
istruttoria) non sarebbe stato acquisito, nonostante apposita richiesta del
difensore dell’inquisito, il fascicolo relative al procedimento penale
celebrato a carico di quest’ultimo; su tale richiesta, che aveva natura di
questione pregiudiziale, non sarebbe stata adottata alcuna formale decisione da
parte del Consiglio di disciplina, che si sarebbe così sottratto all’onere di
compiere, attraverso l’esame del predetto fascicolo, un’autonoma e sua propria
valutazione dei fatti accertati in sede penale; 8 - eccesso di potere per omessa,
contraddittoria ed insufficiente motivazione, per valutazione contrastante con
i fatti e per illogicità manifesta e la violazione dell’art. 13 del D.P.R. n.
737 del 1981 nel presupposto che la misura sanzionatoria deve essere
proporzionata all’infrazione accertata, per cui il Consiglio di disciplina avrebbe
dovuto tenere conto delle circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e
di servizio dell’inquisito, del carattere, dell’età, della qualifica e
dell’anzianità di servizio dello stesso; tali dati, costituendo un limite alla
discrezionalità della P.A., e imporrebbero alla stessa di circondare le sue
determinazioni di pertinente motivazione che dia conto di come i predetti dati
abbiano inciso nell’adozione del provvedimento finale; 9 - violazione dell’art. 1 - 2°
comma e cpv del D.P.R. n. 737 del 1981 e dell’art. 7 della legge n. 241/90 e
l’eccesso di potere per omessa motivazione e per violazione della
discrezionalità in quanto il rispetto del principio di proporzionalità della
sanzione sarebbe sindacabile dal Giudice Amm.vo allorché quest’ultima appaia
manifestamente anomala rispetto all’infrazione commessa e non sia assistita,
come nel caso di specie, da una adeguata motivazione che non può esaurirsi
nella riproduzione di laconiche espressioni normative e, men che mai, nel
richiamo a precedenti disciplinari privi del carattere della definitività; 10 - eccesso di potere per omessa
motivazione sulla sussistenza dei nn. 1, 2 e 4 di cui all’art. 7 del D.P.R. n.
737 del 1981 in quanto l’impugnato decreto di destituzione non darebbe contezza
dell’iter logico seguito non esplicitando in alcun modo in che cosa
consisterebbe il grave pregiudizio subito dall’Amm.ne; 11 - violazione dell’art. 103 del
D.P.R. n. 737 del 1981 in quanto sarebbe stato violato il principio
dell’immediatezza della contestazione disciplinare, essendo questa intervenuta
dopo ben cinque anni dall’accertamento del fatto. Si è costituita in giudizio l’Amministrazione resistente
che ha chiesto il rigetto del ricorso. Alla pubblica udienza del giorno 8 marzo 2007 la causa è
passata in decisione. DIRITTO In relazione al primo (ed
assorbente) motivo di censura va ritenuta rilevante al fine del decidere e non
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per
violazione degli artt. 3 e 24 - 2° comma - della Costituzione, dall’art. 20 del
D.P.R. n. 737 del 1981 nella parte in cui impone al dipendente dell’Amm.ne
della P.S. sottoposto a procedimento disciplinare di essere assistito
esclusivamente da un difensore appartenente all’Amm.ne medesima. La sola possibilità, riconosciuta
ai dipendenti dell’Amm.ne P.S., di farsi assistere davanti al Consiglio di
disciplina da un difensore dipendente dell’Amm.ne medesima sarebbe
incompatibile con il pieno esercizio del diritto di difesa riconosciuto
dall’art. 24 Cost., che lo estende anche alla garanzia dell’assistenza tecnica
che può, tipicamente e professionalmente, essere assicurata da un avvocato del
libero Foro oltre che da un dipendente della P.A. La legittimità di una norma che,
in sede di procedimento disciplinare, esclude che un dipendente della P.A.
possa farsi assistere da un avvocato del libero Foro è stata esaminata dalla
Corte Costituzionale che, con sentenza n. 497 del 16.11.2000, ne ha dichiarato
l’incostituzionalità. Con tale sentenza è stato infatti
espunto dall’ordinamento giuridico il 2° comma dell’art. 34 del R. D.
legislativo n. 511 del 1946 (guarantigie della Magistratura) che, al pari
dell’art. 20 del D.P.R. n. 737 del 1981 imponeva all’incolpato di farsi
assistere soltanto da un difensore appartenente alla sua Amministrazione. Nell’esaminare la predetta norma,
il Giudice dalle leggi ha affermato che la stessa aveva dismesso la sua
originaria caratterizzazione corporativa per rispondere alla diversa ratio di
una scelta dell’incolpato che doveva cadere su un collega, in quanto ritenuto
in possesso dell’idoneità tecnica per assumerne la difesa. Essendo questa l’unica ragione che
può sorreggere anche la disposizione di cui all’art. 20 del D.P.R. n. 737 del
1981 non pare dubbio che alla stessa sono sovrapponibili le medesime
considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale sul 2° comma dell’art. 34 del
D.Lgs. n. 511/1946. Rimarrebbe priva di qualunque
fondamento giustificativo la limitazione dell’ufficio difensivo ai soli
appartenenti all’Amministrazione della P.S. e l’esclusione dallo stesso degli
avvocati del libero Foro. Peraltro, riguardata anche in
punto di pubblico interesse e, tuttavia, pure nella prospettiva della persona
incolpata e del suo diritto di difesa, la pienezza della tutela
paragiurisdizionale è anche funzionale, a giudizio della sentenza n. 497/2000,
alla migliore e più efficace realizzazione dell’interesse, eminentemente
pubblico, al corretto e regolare svolgimento delle funzioni
dell’Amministrazione della P.S. e del suo prestigio. Anche nella vicenda in questione,
il procedimento disciplinare incide sulla posizione del soggetto e ne coinvolge
i beni della persona che richiedono, di per sè, le garanzie più efficaci con la
conseguenza che il diritto di difesa non può prescindere, in primo luogo, dalla
scelta del difensore che non possa subire limiti di sorta. La posizione di estraneità del difensore
esterno escluderebbe ogni sua soggezione ad alcuno dei poteri dell’Amm.ne della
P.S., che possono invece condizionare l’operato del difensore interno. Dette considerazioni, già
avvalorate dalla precitata sentenza n. 497/2000, rendono non manifestamente
infondata la richiesta di sottoporre al vaglio costituzionale la norma di cui
all’art. 20 del D:P.R. n. 737/81. Tale questione risulta avvalorata
anche dalla circostanza che: - per il personale appartenente al
Corpo di polizia penitenziaria che si trovi sottoposto a procedimento
disciplinare l’art. 16 del D.Lgs. n. 449/92 prevede la possibilità che lo
stesso possa farsi assistere anche da un "legale" e, cioè, da un
avvocato del libero foro; - per il personale del settore del
pubblico impiego “contrattualizzato” l’art. 55 comma 5 del decreto legislativo
30 marzo 2001 n. 165 non pone limiti alla nomina di un procuratore con funzione
di difensore. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo
regionale della Sicilia, Sezione staccata di Catania, sez. int. 3^, dichiara
rilevante per la definizione del presente giudizio e non manifestamente
infondata, nei termini di cui in motivazione, la questione di costituzionalità
delle norme dell’art. 20 del D.P.R. 25 Ottobre 1981 n. 737, nella parte in cui
impone al dipendente dell’Amm.ne della P.S. sottoposto a procedimento
disciplinare di essere assistito esclusivamente da un difensore appartenente
all’Amm.ne medesima; la sola possibilità, riconosciuta ai dipendenti
dell’Amm.ne P.S., di farsi assistere davanti al Consiglio di disciplina da un
difensore dipendente dell’Amm.ne medesima sarebbe incompatibile con il pieno
esercizio del diritto di difesa riconosciuto dall’art. 24 Cost., che lo estende
anche alla garanzia dell’assistenza tecnica che può, tipicamente e professionalmente,
essere assicurata da un avvocato del libero Foro oltre che da un dipendente
della P.A. per violazione degli artt. 3 e 24 - 2° comma - della Costituzione. Sospende il presente giudizio e
ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Manda alla Segreteria di
provvedere alla notificazione della presente ordinanza alle parti in causa, al
Presidente del Consiglio dei Ministri ed alla comunicazione della stessa ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento. Ordina che la presente ordinanza
sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Catania nella
camera di consiglio del giorno 8 marzo 2007. Depositata in Segreteria il 02
aprile 2007 |
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