(ASAPS) ROMA, 23 luglio 2007 – E chi l’avrebbe
mai detto che fermarsi a prendere un caffé lungo il percorso lavoro-casa, può
invalidare l’infortunio in itinere,
riconducendolo ad un normale incidente stradale? Insomma, quante volte – appena
terminato l’orario lavorativo – abbiamo pensato di fermarci al bar e per
assaporare, in tutta tranquillità, un tazzina di cremosa miscela? D’ora in poi,
se vogliamo beneficiare dell’assistenza – e dei vantaggi – relativi
all’infortunio sul lavoro, dovremo stare certamente più attenti, almeno
limitando la durata della sosta risoratrice. La Corte di Cassazione,
infatti, ha chiuso con un bel “no”, la causa processuale intentata da un
giovane di Massa Carrara che, nel 1998, rimase coinvolto in un incidente
stradale occorsogli nel percorso tra l’ufficio, lasciato all’orario prescritto
per la fine della giornata lavorativa, e la propria abitazione. Luca, questo il
nome del ricorrente, ha avuto parere contrario in tutti e tre i gradi di
giudizio: prima, il giudice del Tribunale di Massa, poi il Tribunale d’Appello
di Genova e, infine, dalle toghe romane di piazza Cavour. In buona sostanza, il
lavoratore si era rivolto alla magistratura per il rifiuto, da parte
dell’Inail, di corrispondere la
copertura assicurativa dovuta per la fattispecie infortunistica da lui
invocata. Alla base del rifiuto, il fatto che il lavoratore, nel percorso
lavoro-casa, si era fermato a prendere un caffé in un bar, prolungando la sosta
di circa un’ora; troppo, appunto, per poter far valere le condizioni di un
infortunio in itinere. Con la sentenza 15.973, emessa venerdì scorso dai
giudici della Sezione Lavoro presso la Cassazione, sfuma ogni speranza di accedere al
risarcimento ed alla causa di servizio. L’eccessivo lasso di tempo trascorso a
tavolino, che la Suprema
Corte ha definito “sosta voluttuaria”, ha di fatto interrotto “il nesso di
causalità” necessario a far valere il principio stesso dell’infortunio in
itinere. La sentenza, che è destinata a colmare moltissimi interrogativi
suscitati nel corso degli anni, specifica infatti nel dettaglio quali siano le
condizioni previste per una “pausa di lavoro”, operando un netto distinguo tra
“soste necessitate” (trattasi di bisogni fisiologici o di brevi riposi
necessari a ristorare il lavoratore che si trovi alla guida di un’auto nel
percorso verso casa) e “soste voluttuarie”; se Luca avesse limitato, appunto,
la “sosta voluttuaria” ad un lasso di tempo compatibile alla necessità di
ristorarsi (pochi minuti e, comunque, “insuscettibili di modificare le
condizioni di rischio”), avrebbe potuto comunque ottenere quanto richiesto:
risarcimento e riconoscimenti di causa dipendente da servizio. Purtroppo per
lui, però, la pausa fu eccessivamente lunga, quasi un’ora. un lasso di tempo “tale
da far ritenere che anche la circolazione stradale possa aver avuto una modifica”,
e, quindi, causato l’incidente. Un punto di vista interessante. (ASAPS)
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