Il coordinamento tra le
forze di polizia: nota dolente italiana (Foto Coraggio)
(ASAPS) ROMA, 26 luglio 2007 – “L’attività di
monitoraggio degli incidenti stradali è incompleta, perché basata unicamente
sui dati ISTAT che non sono funzionali ad un impiego operativo: sia perché vengono
pubblicati a distanza di un anno, sia perché indagano gli effetti piuttosto che le
dinamiche dei sinistri e di conseguenza non consentono interventi correttivi in
tempi brevi”. Il Vice Ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha esternato il suo
parere sulla questione della sicurezza stradale, parlando davanti alla
commissione Trasporti della Camera. Si tratta di un intervento estremamente
importante, perché centra – ed è purtroppo un’occasione rara per la politica –
uno dei temi più sentiti da parte degli addetti ai lavori. La stessa Asaps, nel
corso della sua quasi ventennale presenza sulla scena, lo ha ribadito più
volte, associando al tema della statistica da rivedere, un’altra questione
scottante, tirata in ballo da Minniti, che spesso sa quasi di “diaspora”: il
coordinamento. Troppo spesso, chi lavora sulla strada, si
scontra con le storture di un sistema che continua a lavorare in comparti
stagni: le tante articolazioni dello stato, o degli enti locali, non conoscono
l’impiego degli altri: non vi si confrontano, non parlano tra loro, non possono
lavorare insieme (se non in sparute occasioni, frutto delle iniziative di pochi
lungimiranti dirigenti e degli uomini e donne che stanno sulla strada), e
puntualmente si trovano tutte sulla stessa arteria, lasciando migliaia di
chilometri di strade secondarie alla mercè di pirati, alcolisti e velocisti. Minniti, ha infatti auspicato che il coordinamento
di tutti i soggetti che operano nel settore – e presumiamo non si tratti di
sole forze di polizia – venga affidata ad un’articolazione del Ministero
dell’Interno, sulla falsariga del Centro di coordinamento nazionale in materia
di viabilità. Il numero due del Viminale, si riferisce al
CCISS, il Centro di Coordinamento Informazioni sulla Sicurezza Stradale, nato
nel 1990, come strumento informativo permanente (legge 556 del
30.12.1988), al cui vertice c’è il Direttore Generale della Motorizzazione
e della Sicurezza del Trasporto Terrestre – Dipartimento dei Trasporti
Terrestri del Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti, affiancato dal Direttore del Servizio Polizia Stradale,
al cui interno opera una commissione consultiva. Serve, insomma, un dipartimento della
sicurezza stradale, con funzioni simili alla Sécurité Routière francese ed alla
Direcciòn General de Trafico spagnola, solo per citare due esempi. L’emergenza delle ultime settimane, ha messo
in piena luce le carenze strutturali italiane in materia: l’Italia, lo vogliamo
ricordare, non investe un euro in sicurezza stradale, da ben tre leggi
finanziarie, e solo a causa degli incidenti plurimortali registrati nel secondo
trimestre del 2007, il tema è divenuto di scottante attualità: alcol, velocità,
norme di comportamento, sono finite alla sbarra con l’imputazione di cause
principali della tragedia quotidiana sulle strade. La nostra paura è che, in assenza di un
provvedimento deciso da parte del governo, l’argomento torni ad essere
nuovamente secondario, sparendo per l’ennesima volta dall’agenda politica
italiana. Il DDL, che attende l’esame del Senato, ha
tempi eccessivamente lunghi e la discussione di Montecitorio lo ha già privato
di molti preziosissimi strumenti (molti dei quali in materia di alcol), tanto
che, nei giorni scorsi, lo stesso ministro Bianchi ha prospettato la
possibilità di passare alle vie di fatto con un Decreto Legge, per le misure
più urgenti, da rendere operative entro l’estate. “La necessità di ridurre ancora e drasticamente
i costi umani e sociali degli incidenti – ha detto Marco Minniti – deve indurre
a consolidare i progressi finora compiuti e ci deve spingere a radicare nel
Paese una ordinaria cultura della sicurezza”. La lunga relazione del vice di Amato, però, è
da tenere in debita considerazione anche perché traccia le più immediate linee
guida operative in materia: in primis, come già detto, rafforzando il
coordinamento, ed inoltre, spiegando che è ormai tempo di inasprire le pene
previste dal codice della strada. In particolare, per la guida in stato di
ebbrezza, che provoca il 30% degli incidenti. “Il fatto – ha illustrato Minniti – rappresenta
un fenomeno di gravità eccezionale, che deve essere oggetto di interventi immediati
ed incisivi […] ed occorre adeguare le sanzioni penali alla reale gravità del
fenomeno; distinguere, graduandone le sanzioni, le diverse violazioni a seconda
della loro pericolosità oggettiva”. La proposta, è quella di trasformare alcune
fattispecie di ebbrezza al volante, attualmente trattate come semplici
contravvenzioni penali (arresto o ammenda), in delitti (quei reati cioè, per i
quali è prevista la pena dell’ergastolo,
della reclusione e della multa). Si parla di prevedere la reclusione per chi
risulti avere, alla guida, un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi/litro o
che, al volante in condizioni di alterazione psicofisica, abbia causato un incidente stradale. In casi
come questo, aumenterebbe anche il periodo di sospensione della patente di
guida, prevedendo la possibilità di procedere alla confisca del veicolo quando
il conducente abbia superato del triplo la soglia legale alcolemica (1,5) o sia
sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Commentando la proposta di confisca, Minniti
ha affermato che essa “può dimostrarsi assai efficace sotto il profilo della prevenzione”. Infine, i controlli: l’Interno vuole che ne
siano fatti, da Polizia Stradale e Carabinieri, almeno un milione all’anno, a
fronte degli attuali 200mila. Ma come? Secondo Minniti, precursori (non validi
per le contestazioni) ed etilometri sarebbero già oggetto di una fornitura
appena commissionata, ma resta il problema della scarsità degli organici,
peraltro male utilizzati proprio per lo scarso coordinamento. (ASAPS)
|