(ASAPS) BOLOGNA, 30 luglio 2007 – Sull’alcol
alla guida, l’attenzione cresce ogni giorno che passa, e ormai, con cadenza
quotidiana, assistiamo a sollevazioni popolari ed a proclami politici: nelle
prime i cittadini chiedono pene esemplari, i secondi, dal canto loro,
promettono leggi severe. Nelle more di una riforma di codice stradale e
penale, però, alcuni magistrati (coraggiosi e competenti), hanno lanciato
segnali importanti: una legge esiste e, dunque, applichiamola. Dopo le iniziative del Procuratore Capo di
Treviso, Antonio Fojadelli, che ha approntato un decreto di sequestro
preventivo dei veicoli, in caso di recidiva dell’ebbrezza da parte del
conducente o di sinistro stradale alcolcorrelato, un altro fortissimo segnale giunge da Bologna. Nella città delle due torri, il Pubblico
Ministero Valter Giovannini ha chiesto, al Giudice per le Indagini Preliminari,
l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un
39enne che, all’alba dello scorso 31 marzo, uccise un altro automobilista.
“Omicidio volontario”, recita il capo d’imputazione inizialmente contestato
all’indagato. L’articolo 575 del codice penale, racchiude,
in uno dei precetti più brevi una sanzione molto pesante: “chiunque cagiona la morte di un uomo e’ punito con la reclusione non
inferiore ad anni ventuno.” Siamo lontani anni luce dall’omicidio colposo,
previsto e punito dall’articolo 589 del codice penale: “chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la
reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione
delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da uno a
cinque anni.
Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di
lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per
la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non
può superare gli anni dodici”. Agostino Cané, questo il nome della vittima,
aveva 70 anni, e stava recandosi a Forlì per censire gli ungulati delle
montagne romagnole. Sulla via Emilia, vicino a Castel San Pietro, un giovane
del posto invase la corsia opposta ad altissima velocità (90 all’ora rispetto
ai prescritti 50, quasi il doppio del limite), provocando uno scontro
terribile. L’investitore era in stato di ebbrezza (2.9 g/l) e, nel suo sangue,
c’era prova evidente del recente uso di oppiacei e cannabinoidi: cocaina ed
hascisc. Assumere sostanze alcoliche, sniffare coca e
farsi una canna, per poi mettersi alla guida, significa – secondo la tesi del
magistrato, sposata da tempo anche dall’Asaps – accettare il rischio di
ammazzare qualcuno: dolo eventuale, appunto. Le indagini hanno chiarito la condotta
dell’investitore, per il quale il Pubblico Ministero bolognese ha ravvisato
l’ipotesi del dolo, chiedendo al GIP di spiccare un mandato di cattura,
ottenendo in questa sua interpretazione innovativa anche l’avallo del
Procuratore Capo di Bologna, Enrico Di Nicola, che fin dall’inizio ha sempre
sostenuto analoga tesi. A Bologna, da tempo, viene disposto anche il
sequestro preventivo della patente di guida di chi viene colto in stato di
ebbrezza, sommando alla sospensione amministrativa un provvedimento giudiziario
di grande efficacia. “In casi come questo – ha dichiarato a suo
tempo il dr. Di Nicola – la Polizia
Giudiziaria ha facoltà di procedere all’arresto, ma è
comunque possibile successivamente procedere alla richiesta di misura cautelare
nel caso si possa prefigurare l’ipotesi di omicidio volontario commesso con dolo
eventuale, cioè con l’accettazione del rischio che guidando ubriaco e drogato
si può uccidere. Oppure, in subordine, chiedere una misura cautelare per l’ipotesi
di omicidio con la colpa di previsione dell’evento”. È quello che ci vuole: condivisione degli
strumenti esistenti, in attesa di una legge più definita, che da tempo sempre
più soggetti si auspicano. Si legga, sull’argomento, anche l’articolo
dell’avvocato Carlo Alberto Zaina, pubblicato sul nostro sito e su quello di
Altalex. Il GIP, tuttavia, ha successivamente rigettato
la richiesta, affermando nel provvedimento la condotta dell’investitore integra
il reato di omicidio colposo e, come tale, da trattare: nessun rischio evidente
di reiterazione del reato o di recidiva e, dunque, niente arresto in custodia
cautelare. Un semplice processo, da affrontare a piede libero. La procura, però, non ci sta ed ha
immediatamente presentato ricorso al Tribunale del Riesame del capoluogo
emiliano ridefinendo l’accusa in omicidio colposo (con colpa cosciente, però),
chiedendo la misura degli arresti domiciliari e sottolineando che, per trovare
elementi a supporto della possibile reiterazione del reato, si sarebbe dovuto
attendere un altro incidente. “Il gravame è fondato – hanno sentenziato i
giudici del Riesame (presidente Alberto Albiani, giudice Eleonora Frangini,
giudice relatore Giovanni Treré) – e come tale merita di essere accolto”. Nel
dispositivo di sentenza, è stato sottolineato “l’elevatissimo grado di
alterazione psicofisica nel quale si trovava l’indagato quando intraprendeva il
viaggio” e che l’altissima concentrazione di alcol nel suo sangue “rasentava il
rischio di coma etilico o comunque della totale incoscienza”, nonostante
l’accertamento fosse stato eseguito due ore dopo il sinistro. La contestuale
presenza di droghe, inoltre, è divenuta dimostrazione di come l’indagato sia “privo
di freni inibitori idonei a impedire la commissione di comportamenti improntati
alla più assoluta pericolosità per l’altrui incolumità”. A niente è servita, in questa decisione del
Tribunale del Riesame, l’assoluta incensuratezza dell’investitore, attenuante
minata dal giudizio negativo stilato sulla sua personalità. Insomma, solo gli arresti domiciliari possono
tutelare la collettività dal forte pericolo di reiterazione dei reati. Lui,
l’indagato, per ora resterà comunque libero, visto che gli resta da giocare un’ultima
mano alla Corte di Cassazione. Comunque vada, è un inizio. (ASAPS)
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