Con la sentenza 27 giugno 2007, n. 14845 la Corte di Cassazione è
tornata a pronunciarsi in merito alla risarcibilità del danno morale dovuto ai
parenti della vittima di un incidente stradale.
La decisione si inserisce perfettamente nel filone
giurisprudenziale favorevole alla risarcibilità del danno morale subito dai
prossimi congiunti delle vittime di lesioni colpose.
Nel caso di specie si trattava di un giovane medico autonomo
economicamente e che non conviveva più con la famiglia (genitori e fratelli).
L’autonomia economica ed il fatto della mancata convivenza
costituiscono una “particolarità” della vicenda giudiziaria conclusasi con la
decisione oggi in commento.
La Corte di appello di Catanzaro, aveva confermato l’ appellata
decisione del Tribunale in punto di riparto delle responsabilità, ma poi aveva
proceduto, ad una sostanziale riduzione delle somme globali per i danni dovuti
a vario titolo ai parenti del defunto tenendo conto dei rilievi critici
dell’impresa assicuratrice.
Con il ricorso per Cassazione nel primo motivo si deduce tra
l’altro la “nullità della sentenza per extrapetizione in quanto ha posto a
fondamento della decisione un fatto non allegato".
Nel secondo motivo si deduce l’error in iudicando ed il vizio
della motivazione in punto di mancata liquidazione delle perdite patrimoniali
conseguenti al decesso del giovane medico, che aveva aperto, con successo un
ambulatorio dentistico.
Quanto al primo motivo, la Suprema Corte ha accolto il ricorso
proposto dagli eredi ed ha disposto il rinvio ad altra sezione della Corte di
Appello di Catanzaro per l’esame del profilo relativo alla congruità della
liquidazione del danno.
Essendo stata dedotta la nullità della sentenza per extrapetizione
in quanto era stato posto a fondamento della decisione un fatto non allegato,
si è reso necessario il controllo delle carte processuali.
La Corte di legittimità ha riscontrato che l’impresa assicuratrice
aveva fatto rilevare la “quantificazione eccessiva del danno morale, ma
senza dedurre od eccepire il fatto della mancata convivenza del giovane medico
con la propria famiglia o con i fratelli”.
Tale difetto di prova, secondo la Corte, era stato un fattore
determinante per “la radicale riduzione del danno morale iure proprio dei
genitori (più che dimezzato) e per la più radicale riduzione del danno morale
concesso ai fratelli (ridotto a un quinto)”.
E’ apparso quindi fondato alla Suprema Corte il rilievo sulla
extrapetizione da parte della Corte di appello determinata dalla mancata
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
Infatti, “la ratio decidendi considera non fondato un elemento
di valutazione non contestato dalla parte appellante (in primo grado, dove la
circostanza della convivenza venne dedotta sin dalla denuncia di sinistro, ed
in secondo grado, dove la revisione del quantum non viene fondata su detta
circostanza )”.
L’accoglimento del motivo sotto il profilo dell’error in
procedendo, ha determinato la cassazione con rinvio, per l’esame del
“profilo della congruità della liquidazione del danno, che è nuovamente rimesso
al giudice del riesame, il quale dovrà considerare i recenti arresti di questa
Corte in materia di danno morale parentale (Cass. 15 luglio 2005 n. 15022; Cass.
12 luglio 2006 n. 15760) in relazione ai valori costituzionali della
persona e della integrità familiare che la perdita del congiunto compromette in
modo definitivo”.
Volendo aprire una parentesi sulle due precedenti pronunce di
legittimità (indicate), alle quali il giudice di rinvio dovrà rifarsi, la prima
(Cass. 15022/2005) ha sostanzialmente stabilito che la tutela del danno subito
in conseguenza della uccisione di un prossimo congiunto, è individuabile negli
artt. 2, 29 e 30 Cost. e si colloca nell’area del danno non patrimoniale di cui
all’art. 2059 cod. civ..
Tale danno si fonda sulla definitiva perdita del rapporto
parentale, che consiste nell’interesse all’intangibilità della sfera degli
affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia, nonché
all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività
realizzatrici della persona umana nell’ambito della famiglia.
Si tratta di un “danno conseguenza” che “deve essere allegato e
provato da chi chiede il relativo risarcimento, potendosi tuttavia ricorrere a
valutazioni prognostiche e presunzioni sulla base degli elementi obbiettivi
forniti dal danneggiato, quali l’intensità del vincolo familiare, la situazione
di convivenza, la consistenza del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età
della vittima e dei singoli superstiti, la compromissione delle esigenze di
questi ultimi”.
Anche la seconda decisione indicata (Cass.
15760/2006) è imperniata sulla valutazione del cosiddetto danno
morale parentale diretto, vale a dire del danno morale, che viene richiesto
"iure proprio", quale danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. consequenziale alla morte del congiunto.
Stando a tale decisione, il principio informatore della
"tutela risarcitoria integrale" del danno da morte dei congiunti,
inteso come danno morale, “si basa sulla lesione di due bene della vita,
strettamente collegati:
a) il bene dell’integrità familiare, con riferimento alla
vita quotidiana della vittima con i suoi familiari, in relazione agli artt. 2,
3, 29, 30, 31 e 36 Cost.;
b) il bene della solidarietà familiare, sia in relazione
alla vita matrimoniale che in relazione al rapporto parentale tra genitori e
figli e tra parenti prossimi conviventi, e ciò in relazione agli artt. 2, 3, 29
e 30 Cost.”
Il giudice del rinvio dovrà decidere tenendo conto del quadro
sopra delineato e delle ulteriori indicazioni del giudice remittente con le
quali si è precisato che “se il fattore della convivenza esalta maggiormente
il vincolo della vita in comune, la comunione di affetti e di solidarietà ben
può sussistere anche nel caso di una scelta di vita autonoma del figlio medico,
essendo i vincoli spirituali altrettanto stretti e degni di tutela” e che ”il
danno morale parentale, come danno ingiusto, dev’essere dunque integralmente
risarcito, e la equità del giudice deve essere adeguatamente espressa,
valutando tutte le circostanze note e non contestate”.
Per completezza di informazione in fatto di mancata convivenza si
può aggiungere che, con altra recentissima decisione (Cass. civ. Sez. III,
19-01-2007, n. 1203), la stessa sezione della Cassazione aveva stabilito che in
caso di risarcimento del danno morale da morte ai congiunti della vittima,
l’intensità del vincolo familiare (rapporto genitoriale, di fratellanza) può
già di per sé costituire un utile elemento presuntivo su cui basare la ritenuta
prova dell’esistenza del danno morale, in assenza di elementi contrari.
La mancanza di convivenza del soggetto danneggiato con il
congiunto deceduto può, invece, costituire “elemento indiziario da cui
desumere un più ridotto danno morale, influendo quindi esclusivamente sulla
liquidazione dello stesso danno”.
Per quanto riguarda il secondo motivo del ricorso per Cassazione e
cioè la, “mancata liquidazione delle perdite patrimoniali conseguenti al
decesso del giovane medico, che aveva aperto, con successo un ambulatorio
dentistico”, la Corte di appello “pur avendo constatato la omessa
pronuncia del primo giudice, ha poi seguitato nella omissione, rilevando che
«alla stregua delle emergenze di causa non è possibile formulare alcuna
previsione» in ordine al vincolo di solidarietà tra il giovane medico celibe e
la sua famiglia”.
La Cassazione fa rilevare come, “proprio per il rilievo
costituzionale della integrità e della solidarietà di una famiglia fondata sul
matrimonio e sulla comunione degli affetti e del reciproco sostegno, la valutazione
equitativa e presuntiva, si pone in relazione alle circostanze note e non
contestate e essendo riferita ad un danno futuro, di natura patrimoniale,
permanente, determina quella equità circostanziata di cui parla il legislatore
nell’art. 2057 che bene si integra con lo art. 2056 del codice civile, con riferimento
alla considerazione delle condizioni delle parti lese e della natura del danno
(la privazione di una solidarietà economica)”.
Individua l’errore del giudice del merito “nella sua
inettitudine di valutazione, pur in presenza di una lesione gravissima del bene
della integrità familiare, come se l’equità non debba operare, in una visione
cupa ed egoistica di una società disgregata, che la centralità della persona
umana non prevede, nell’attuale assetto della Costituzione e del suo essere la legge
fondamentale fondante il diritto vivente. (Cfr. Corte Cost. 28 luglio 1983 n.
252 e Corte Cost. 8 giugno 1987 n. 215)”.
In conclusione la Corte ha stabilito che “il giudice del
riesame dovrà dunque procedere, essendo incontroverso l’an debeatur, ad una
valutazione equitativa in via presuntiva ed a carattere satisfattivo, tenendo
conto della stretta relazione tra la natura del danno e le condizioni dei
parenti della vittima, nel contesto dei valori costituzionali che ancor oggi
sorreggono la solidarietà e la compattezza dei vincoli familiari”.
(Da Altalex, 30 luglio 2007. Nota di Giuseppe Mommo)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 27 giugno 2007, n. 14845
(Presidente Preden – Relatore Petti)
Svolgimento del processo
La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 3 luglio 2002,
decidendo sull’appello principale della Compagnia di assicurazioni Milano e sul
quello incidentale dei parenti del defunto dr. V. F., deceduto alla età di 28
anni, nel corso di un incidente stradale avvenuto in Vibo Valentia il 29
ottobre 1990 (autocarro contro auto) confermava la prima decisione in punto di
riparto delle responsabilità (30% al defunto ed il resto al conducente B.,
antagonista), ma poi procedeva, tenendo conto dei rilievi critici dell’impresa
assicuratrice, ad una sostanziale riduzione delle somme globali per i danni
dovuti a vario titolo, ai parenti del defunto, dandone ragione nella parte
motiva.
Contro la decisione hanno proposto ricorso gli eredi, proponendo
tre motivi di ricorso, illustrati da memoria, resistono con controricorso
l’assicuratore ed il responsabile civile C. F.; non ha svolto difese il
conducente B. R..
Motivi della decisione
Il ricorso merita accoglimento per quanto di ragione.
Nel primo motivo si deduce : "Nullità della sentenza per
violazione degli artt. 1226, 2056, 1223 c.c. 115, 116 c.p.c. nonché vizio della
motivazione su punto decisivo prospettato dalle parti e rilevabile di ufficio;
nullità della sentenza per extrapetizione in quanto ha posto a fondamento della
decisione un fatto non allegato".
Preliminare è il dedotto error in procedendo, che determina
necessariamente il controllo delle carte processuali. Dall’esame dell’atto di
appello della impresa assicuratrice, risulta in vero che la stessa ebbe a
dedurre una ultrapetizione in ordine ad una liquidazione di somme superiori a
quelle richieste (deduzione ritenuta infondata dalla Corte di appello) e la
quantificazione eccessiva del danno morale, ma senza dedurre od eccepire il
fatto della mancata convivenza del giovane medico con la propria famiglia o con
i fratelli. Tale difetto di prova, secondo la Corte, era un fattore
determinante per la radicale riduzione del danno morale iure proprio dei
genitori (più che dimezzato) e per la più radicale riduzione del danno morale
concesso ai fratelli (ridotto a un quinto).
Poiché la ratio decidendi considera non fondato un elemento di
valutazione non contestato dalla parte appellante (in primo grado, dove la
circostanza della convivenza venne dedotta sin dalla denuncia di sinistro, ed
in secondo grado, dove la revisione del quantum non viene fondata su detta
circostanza ) appare evidente la mancata corrispondenza tra il chiesto e il
pronunciato che determina la extrapetizione ( cfr. Case. 24 giugno 2003 n. 1009
e Cass. 6 giugno 2002 n. 8218 tra le tante) da parte della Corte di appello.
L’accoglimento del motivo sotto il profilo dell’error in
procedendo, determina la cassazione con rinvio, posto che resta in esame il
profilo della congruità della liquidazione del danno, che è nuovamente rimesso
al giudice del riesame, il quale dovrà considerare i recenti arresti di questa
Corte in materia di danno morale parentale (Cass. 15 luglio 2005 n. 15022; Cass.
12 luglio 2006 n. 15760) in relazione ai valori costituzionali della persona e
della integrità familiare che la perdita del congiunto compromette in modo
definitivo. Se il fattore della convivenza esalta maggiormente il vincolo della
vita in comune, la comunione di affetti e di solidarietà ben può sussistere
anche nel caso di una scelta di vita autonoma del figlio medico, essendo i
vincoli spirituali altrettanto stretti e degni di tutela.
Il danno morale parentale, come danno ingiusto, dev’essere dunque
integralmente risarcito, e la equità del giudice deve essere adeguatamente
espressa, valutando tutte le circostanze note e non contestate.
Nel secondo motivo si deduce l’error in iudicando ed il vizio
della motivazione in punto di mancata liquidazione delle perdite patrimoniali
conseguenti al decesso del giovane medico, che aveva aperto, con successo un
ambulatorio dentistico, come risultava dalla prova per testi e dalle
indicazioni circa un reddito professionale medio nella ridente Vibo Valentia.
Il motivo è fondato: ed in vero la Corte di appello pur avendo
constatato la omessa pronuncia del primo giudice, ha poi seguitato nella
omissione, rilevando che «alla stregua delle emergenze di causa non è possibile
formulare alcuna previsione» in ordine al vincolo di solidarietà tra il giovane
medico celibe e la sua famiglia. Dove, proprio per il rilievo costituzionale
della integrità e della solidarietà di una famiglia fondata sul matrimonio e
sulla comunione degli affetti e del reciproco sostegno, la valutazione equitativa
e presuntiva, si pone in relazione alle circostanze note e non contestate, ed
essendo riferita ad un danno futuro, di natura patrimoniale, permanente,
determina quella equità circostanziata di cui parla il legislatore nell’art.
2057 che bene si integra con lo art. 2056 del codice civile, con riferimento
alla considerazione delle condizioni delle parti lese e della natura del danno
(la privazione di una solidarietà economica). Dove l’errore del giudice del
merito è nella sua inettitudine di valutazione, pur in presenza di una lesione
gravissima del bene della integrità familiare, come se l’equità non debba
operare, in una visione cupa ed egoistica di una società disgregata, che la
centralità della persona umana non prevede, nell’attuale assetto della
Costituzione e del suo essere la legge fondamentale fondante il diritto
vivente. (Cfr. Corte Cost. 28 luglio 1983 n. 252 e Corte Cost. 8 giugno 1987 n.
215).
Il giudice del riesame dovrà dunque procedere, essendo
incontroverso l’an debeatur, ad una valutazione equitativa in via presuntiva ed
a carattere satisfattivo, tenendo conto della stretta relazione tra la natura
del danno e le condizioni dei parenti della vittima, nel contesto dei valori
costituzionali che ancor oggi sorreggono la solidarietà e la compattezza dei
vincoli familiari.
Resta assorbito il terzo motivo,dovendo il giudice del merito
provvedere alla liquidazione delle spese, anche di questo grado, tenendo conto
dei principi della soccombenza.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa in
relazione e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di appello
di Catanzaro.