(omissis)
Sul ricorso proposto da omissis in persona del socio accomandatario e legale
rappresentante pro-tempore omissis
Avverso la sentenza n. 216/05 del Giudice di pace di Pontassieve (FI) del
4.4.05 depositata il 05/04/05;
FATTO e DIRITTO
La S.a.s. ……. impugna per cassazione la sentenza 5.4.05 con
la quale il G.d.p. di Pontassieve ne ha rigettato l’opposizione proposta
avverso il verbale d’accertamento n. …… redatto nei suoi confronti dalla
polizia municipale di Rufina il 29.8.04 per violazione 180/VIII CdS.
Parte intimata non svolge attività difensiva. Attivatasi procedura ex art. 375
CPC, il Procuratore Generale invia requisitoria scritta nella quale conclude
con richiesta di trattazione in pubblica udienza.
Tale richiesta non merita accoglimento,risultando ricorso manifestamente
infondato.
Al riguardo devesi considerare che l’inammissibilità della pronunzia in camera
di consiglio è ravvisabile solo ove la Suprema Corte ritenga che non ricorrano
le ipotesi di cui al primo comma dell’art. 375 CPC, ovvero che emergano
condizioni incompatibili con una trattazione abbreviata, nel qual caso la causa
deve essere
rinviata alla pubblica udienza; ove, per contro, la Corte ritenga che la
decisione del ricorso presenti aspetti d’evidenza compatibili con l’immediata
decisione,ben
può pronunziarsi per la manifesta fondatezza dell’impugnazione, anche nel caso
in cui le conclusioni del P.G. fossero, all’ opposto, per la manifesta
infondatezza, e viceversa (Cass, 11.6.05 n. 12384, 3.11.05 n. 21291 SS.UU.).
Si duole la ricorrente che il giudice a quo abbia omesso di motivare in ordine
all’esistenza d’un vizio formale dell’impugnato verbale, nel quale era
contestato "al conducente" e non al proprietario di non aver fatto
conoscere il nome del "conducente", ed abbia erroneamente
interpretato l’art. Ì80/VIII CdS in relazione alla sentenza della Corte
Costituzionale 27/05, non avendo preso in considerazione l’allegato giusto
motivo d’impossibilità a comunicare il nome del conducente ritualmente fatto
conoscere all’autorità procedente.
I riportati motivi sono inammissibile l’uno e manifestamente infondato l’altro.
All’evidenza il primo motivo non attiene ad omessa motivazione bensì, se mai,
ad omessa pronunzia, atteso che nell’impugnata sentenza non è fatto alcun cenno
alla deduzione del vizio formale de quo quale motivo d’impugnazione del
verbale.
Ora, come ripetutamente evidenziato da questa Corte, l’omessa pronuncia, quale
vizio della sentenza, deve essere, anzi tutto, fatta valere dal ricorrente per
cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo error in
procedendo e della violazione dell’art. 112 CPC e non già con la denunzia della
violazione di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex
art.360 n. 5 CPC (Cass. 24.6.02 n. 9159, 11.1.02 n. 317, 27.9.00 n. 12790,
28.8.00 n. 11260, 10.4.00 n. 4496, 6.11.99 n. 12366); perché, poi, possa
utilmente dedursi il detto vizio, è necessario, da un lato, che al giudice del
merito fossero state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente
apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella
pronunzia si rendesse necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali
domanda od eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e
non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per
cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo del
giudizio nel quale l’una o l’altra fossero state proposte, onde consentire al
giudice di verificane, in primis, la ritualità e la tempestività ed, in secondo
luogo, la decisività delle questioni prospettatevi; ove, infatti, si deduca la
violazione, nel giudizio di merito, dell’art. 112 CPC, ciò che configura
un’ipotesi di error in procedendo per il quale questa Corte è giudice anche del
"fatto processuale", detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio,
comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità d’esaminare
direttamente gli atti processuali sia condizionato all’adempimento da parte del
ricorrente, per il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione che
non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di
merito, dell’onere d’indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice
stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (Cass. 23.9.02 n.
13833, 11.1.02 n. 317, 10.5.01 n. 6502).
Nel motivo in esame non è fatto, per contro, alcun riferimento ad un motivo
d’opposizione avente ad oggetto la questione de qua e, quindi, tanto meno alcun
puntuale riferimento ai termini della sua deduzione con l’atto d’opposizione,
ond’è che la censura d’omessa pronunzia, tra l’altro neppure idoneamente formulata
con il necessario riferimento agli artt. 112 e 360 n. 4 CPC, risulta del tutto
inadeguata all’onere di specificità sopra richiamato, imposto dall’art. 366 n.
4 CPC in relazione al principio d’autosufficienza del ricorso e, pertanto,
sotto il profilo in esame, evidentemente inammissibile.
Quanto al secondo motivo, la ricorrente non chiarisce adeguatamente se
l’opposizione fosse stata proposta avverso la decurtazione dei punti-patente a
carico dell’amministratore d’essa società ovvero avverso la sanzione
amministrativa pecuniaria.
In entrambi i casi la censura è infondata.
Quanto al primo, la ricorrente non ha, allo stato, interesse a ricorrere sul
punto, dal momento che la questione può essere risolta in via amministrativa ex
artt. 164 e 165 della L 24.11.06 di conversione dell’art. 44 del D.L. 3.10.06
n. 262 e, comunque, difetta di legittimazione a far valere un diritto personale
dell’amministratore che ha proposto ricorso non in proprio, o "anche” in
proprio, ma solo nella qualità.
Quanto al secondo, la ricorrente, allegando d’aver addotto a giustificazione
dell’omessa comunicazione dei dati relativi al conducente l’impossibilità
d’identificare quest’ultimo in ragione dei numerosi automezzi di sua proprietà
affidati a vari dipendenti e l’insussistenza d’alcun obbligo di registrare
ciascun affidamento, non ebbe a fornire, né fornisce in questa sede, un’idonea
ragione per esimersi dalla responsabilità accollatale dalla norma.
In tema di violazioni al codice della strada, integra l’ipotesi di illecito amministrativo
previsto dal combinato disposto degli artt. 126 bis e 180 cds l’omessa
collaborazione che il cittadino deve prestare all’autorità amministrativa al
fine di consentirle l’espletamento dei necessari e previsti accertamenti per
l’espletamento dei servizi di polizia stradale.
Nella specie il giudice di pace ha applicato correttamente la citata norma del
codice della strada posta a base dell’infrazione contestata al ricorrente.
Nella lettura della sentenza 27/05 della Corte Costituzionale, non va confusa
la parte del secondo comma dell’art. 126 bis CdS, come modificato dal D.L.
27.6.03 n. 151 a sua volta modificato dalla legge di conversione 1.8.03 n. 214,
dichiarata incostituzionale, che è quella in cui era comminata la riduzione dei
punti della patente a carico del proprietario del veicolo che non fosse stato
anche responsabile dell’infrazione stradale, con altra parte della stessa
norma, che è quella rilevante nel presente giudizio, non solo non dichiarata
incostituzionale ma, anzi, la cui applicabilità è espressamente richiamata dal
giudice delle leggi che, a conclusione della motivazione, ha testualmente
affermato: «L’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, per
violazione del principio di ragionevolezza, rende, tuttavia, necessario
precisare che nel caso in cui il proprietario ometta di comunicare i dati
personali e della patente del conducente, trova applicazione la sanzione
pecuniaria di cui all’art. 180, comma 8, del codice della strada. In tal modo
viene anche fugato il dubbio - che pure è stato avanzato da taluni dei
rimettenti - in ordine ad una ingiustificata disparità di trattamento
realizzata tra i proprietari di veicoli, discriminati a seconda della loro
natura di persone giuridiche o fisiche, ovvero, quanto a queste ultime, in base
alla, circostanza meramente accidentale che le stesse siano munite o meno di
patente».
Tale asserzione, in quanto interpretativa e confermativa della validità di
norma vigente, trova applicazione anche ai fatti verificatisi precedentemente e
regolati dalla norma stessa.
Il giudice a quo ha, dunque, correttamente erroneamente (?) disatteso la
giustificazione dell’omessa comunicazione dei dati relativi al conducente
dedotta dall’opponente con la pretesa impossibilità d’identificare il soggetto
autore dell’illecito in ragione dei numerosi automezzi di sua proprietà
affidati a vari dipendenti e l’insussistenza d’alcun obbligo di registrare
ciascun affidamento, dacché, con tale deduzione, l’opponente non ebbe a
fornire, in realtà, alcuna idonea ragione per esimersi dalla responsabilità
accollatagli dalla norma.
Il proprietario del veicolo, infatti, in quanto responsabile della circolazione
dello stesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei
terzi, è tenuto sempre a conoscere l’identità dei soggetti ai quali ne affida
la conduzione, onde dell’eventuale incapacità d’identificare detti soggetti,
necessariamente risponde, nei confronti delle une per le sanzioni e degli altri
per i danni, a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare
sull’affidamento in guisa da essere in grado d’adempiere al dovere di
comunicare l’identità del conducente.
L’elevato numero dei mezzi in proprietà o dei dipendenti che ne usano non fa
venir meno né tale dovere né esime dalla responsabilità in caso
d’inadempimento.
In tali termini integrata, ex art. 384 CPC, la motivazione dell’impugnata
sentenza, questa, conforme a diritto, non è soggetta a cassazione.
Parte intimata non avendo svolto attività difensiva, non v’ha luogo a
provvedere sulle spese.
P. Q. M.
La Corte respinge il ricorso. (omissis)
|