Un
esercitazione all’interno del tunnel del Monte Bianco (Foto GEIE). Quante
esercitazioni si fanno nei tunnel non in concessione?
(ASAPS) LECCO, 11 settembre 2007 – Definirlo pomeriggio d’inferno non è affatto
un eufemismo. Alle 13,05 i centralini di 113, 112, 118 e 115 sono letteralmente
impazziti. In tal proposito, in concomitanza di macroemergenze come questa,
dovremmo poter contare su un numero unico di emergenza, con personale
addestrato a gestire il tipo di chiamata ed allertare contemporaneamente tutti
i soccorsi necessari. Invece… Torniamo all’evento: alle 13,05 – dicevamo –
scatta l’allarme. Pochi secondi prima, l’Opel Tigra condotta da un uomo di 33
anni, V.C. di Abbadia Lariana (Lecco), aveva imboccato il tunnel “San Martino”,
realizzato circa 8 anni fa per consentire alla nuova statale 36 del Lago di
Como e dello Spluga (in questo tratto una vera e propria tangenziale cittadina)
di liberare il capoluogo dalla morsa del traffico. La piccola spider del
giovane si schianta contro il guardrail e si incendia nell’impatto. Per lui non
c’è alcuna speranza: muore all’istante ed il suo corpo verrà estratto,
carbonizzato, molte ore dopo. La volta della galleria si riempie all’istante di
fumi densissimi, probabilmente con base di cianuro (gli stessi del Monte Bianco
e di mille altre tragedie analoghe): un camionista lituano, che probabilmente
aveva tentato di salvare l’automobilista dalle fiamme, non riesce ad
allontanarsi in tempo. Stramazza al suolo a pochi metri dall’incendio,
intossicato dalla nube che lo aveva avvolto. Molti altri, per fortuna, riescono
ad uscire vivi dall’inferno sotterraneo. Si contano, alla fine, una ventina di
intossicati, due dei quali in condizioni serie, e più di un centinaio di
evacuati. L’Anas, a quanto ci consta, ha annunciato che aprirà un’inchiesta,
affidando il compito di chiarire le cause ad una commissione già nominata e
presieduta dal professor Vincenzo Ferro (Politecnico di Torino). A fianco di
Ferro, ci saranno anche l’ingegner Amleto Pasquini (responsabile dell’Area Nord
della Direzione esercizio e coordinamento del territorio dell’Anas) e l’ingegner
Luigi Carrarini (funzionario tecnico responsabile della Disciplina specialistica
impianti della Direzione centrale progettazione dell’Anas). Il professor Ferro,
è considerato uno dei maggiori esperti internazionali di impiantistica dei
tunnel e dovrà consegnare un’approfondita relazione entro 30 giorni. L’indagine
giudiziaria, nel frattempo, è già partita, con i rilievi della Polizia Stradale
e quelli dei Vigili del Fuoco, che dovranno redigere due rapporti distinti
circa le cause dell’incidente, gli effetti dell’incendio e del perché, in una
struttura nuova come quella lecchese, qualcosa sembri non aver funzionato a
dovere. In effetti, secondo quanto riportato dall’Adnkronos nel primo
pomeriggio di ieri (10 settembre), l’impianto di aerazione sarebbe partito con
un ritardo di almeno 40 minuti, citando un Vigile del Fuoco impegnato
nell’opera di soccorso, definita “molto difficoltosa” proprio per la presenza
dei fumi in eccesso. Il tunnel “San Martino”, inaugurato 8 anni fa,
misura in tutto 2.060
metri ed è direttamente collegato – senza soluzione di
continuità – al sottopasso di Lecco, lungo a sua volta 2 chilometri. In
tutto, dunque, oltre 4mila metri nelle viscere della terra. Il manufatto è
dotato di 22 telecamere ed è percorso in media da 22mila veicoli al giorno. È
dotato di due carreggiate separate (una per ogni senso di marcia), ognuna delle
quali costituita da 2 corsie (3,75
m ciascuna), con ai lati due banchine pedonabili di 0,75 m. nei 2mila metri del
tunnel, ci sono 3 bypass, che consentono l’attraversamento in caso di
emergenza, ma ad aiutare l’utente ci sono colonnine SOS, impianti di
ventilazione (che a quanto pare non avrebbero funzionato), sistemi di
rilevazione incendi e ripetitori telefonici. Si dovranno attendere gli esiti dell’inchiesta
giudiziaria, per poter esprimere valutazioni, ma quel che è certo è che se un
evento del genere si fosse verificato in una qualsiasi galleria della E45, a
nostro parere letali anche per l’incuria e l’indifferenza con cui (non) vengono
mantenute, o di quelle monitorate dall’ACI nell’ambito di un’indagine europea
eseguita dagli automobil club dell’UE e giudicate pericolose, sarebbe stata una
carneficina. L’ANAS, questo, non può più ignorarlo e secondo noi è arrivato il
momento di affidare certi compiti di controllo ad un organismo effettivamente
terzo, che non sia “ente proprietario di strada”. (ASAPS)
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