foto Blaco - archivio Asaps
Il sistema sanzionatorio italiano che riguarda
le violazioni al Codice della Strada, è costituito da una gradualità e da una
diversa tipicità delle pene che comprendono aspetti di carattere penale,
amministrativo ed accessorio. Tuttavia, non sempre è possibile darvi piena
applicazione e le difficoltà operative che spesso incontrano le forze di polizia
stradale, rendono di fatto meno efficaci tali norme, oppure, ne limitano notevolmente
l’effetto deterrente. Taluni meccanismi, sia di origine giuridica
che di natura burocratica, andrebbero rivisti anche attraverso provvedimenti
legislativi attualmente lacunosi o che si prestano ad interpretazioni che
naturalmente mutano a seconda del soggetto giudicante che deve darvi seguito. Particolare incisività, nelle considerazioni
che seguono, verrà data alla figura del Giudice di Pace. Ciò non per mera
critica nei confronti di questo Istituto che indubbiamente ha garantito un’accelerazione
di talune procedure giurisdizionali a favore del cittadino, quanto per non
avere previsto un’adeguata regolamentazione delle possibilità al giudice
ascritte nell’ambito del codice stradale.
Decurtazione dei punti della patente di guida Allo stato attuale la normativa prevede la
decurtazione dei punti per talune violazioni considerate particolarmente gravi;
decurtazione che viene effettuata alla scadenza dei termini di pagamento della
sanzione pecuniaria, salvo presentazione di un atto ricorsuale. In quest’ultimo caso, non sussistono
particolari problemi quando, al termine dell’esamina di opposizione da parte
del Prefetto o del Giudice di Pace, il verbale di contravvenzione viene
interamente confermato e l’organo di polizia stradale procede all’inserimento
informatico per la decurtazione dei punti dalla patente di guida del
trasgressore. Il problema vero nasce per le violazioni di
carattere penale (cioè più gravi) che prevedono il ritiro della patente di
guida e la conseguente sospensione e/o revoca del documento. Questa la
procedura:
1) L’organo accertatore
redige una “informativa di reato” destinata alla Procura della Repubblica
competente territorialmente e l’Autorità giudiziaria che dovrà procedere all’irrogazione
della sanzione è rappresentata dal Tribunale del luogo dov’è avvenuta la
violazione.
2) Nel frattempo, la Prefettura (ora Ufficio
Territoriale del Governo) provvede ad emettere una “ordinanza di sospensione”
della patente di guida, che potrà essere impugnata davanti al Giudice di Pace,
cioè da un’Autorità Giudiziaria diversa dalla
prima.
3) Secondo il dettame
legislativo, il Giudice di Pace dovrebbe limitarsi a verificare la sussistenza
dei requisiti necessari per la formulazione dell’Ordinanza prefettizia, con
particolare riguardo alla presenza di errori, vizi, ecc… Tuttavia, quasi sempre
entra nel merito della violazione (che dovrà invece giudicare il Tribunale),
anche a seguito di alcune opinabili interpretazioni giuridiche.
4) Nel contempo, la Procura emetterà un
“decreto di condanna” a carico del contravventore, il quale avrà un periodo di
tempo predeterminato per accettare la sanzione irrogata, ovvero, per scegliere
la via dell’opposizione attraverso il dibattimento processuale. Nel frattempo,
saranno trascorsi dalla data della violazione almeno 12/16 mesi.
5) Poniamo ora l’ipotesi
migliore (per l’organo che ha proceduto alla contestazione), cioè che il
contravventore accetti il decreto di condanna e paghi la sanzione pecuniaria
che gli è stata inflitta; questi dovrà attendere la sentenza del Tribunale, il
quale dovrà poi informare anche l’organo che ha accertato la violazione. Un
simile meccanismo, comporta il trascorrere medio di altri 8/10 mesi.
Da ciò, se ne deduce che il comando di polizia
stradale che dovrà procedere all’inserimento informatico che riguarda la
decurtazione, verrà posto in condizioni di farlo dopo oltre 24 mesi dalla data
in cui si è verificata la violazione (per la verità vi sono province dove le
sentenze di condanna vengono notificate all’organo accertatore anche dopo 3 o 4
anni!). Poiché, secondo l’articolo 126 Bis del Codice
della Strada, trascorsi due anni dall’ultima violazione che ha comportato una
decurtazione di punti dalla patente di guida, al conducente vengono
ripristinati 20 punti, se ne rileva che:
1) L’organo accertatore,
all’atto dell’inserimento della decurtazione dei punti al conducente
responsabile della violazione, vedrà ripristinare immediatamente il punteggio pieno in virtù del tempo trascorso (di
oltre 2 anni) e della norma sopra richiamata;
2) L’efficacia del
sistema deterrente della patente a punti risulta applicabile per le sanzioni
non penali (dunque meno gravi) piuttosto che per talune, di elevata gravità
quali la guida in stato di ebbrezza o sotto l’influenza di sostanze
stupefacenti che, paradossalmente, “garantiscono” al conducente la mancata
decurtazione dei punti;
Se poi si considera l’altra ipotesi, ovvero,
che il conducente risultato ebbro voglia andare al dibattimento per dimostrare
la sua innocenza, allora, in caso di conferma della condanna, l’Autorità
giudicante (in virtù delle norme penali) non è tenuta ad inviare la sentenza
all’organo accertatore, che ne dovrà invece fare specifica richiesta. Inoltre, proprio in virtù delle norme che
regolano la procedura penale, il dibattimento può trascinarsi nel tempo e
persino sfociare in una non procedibilità per intervenuta prescrizione
(nonostante una trafila di questo genere comporti non poche spese legali per
l’interessato…).
Congruità della pena Fra i “meccanismi” di inceppamento del sistema
sanzionatorio del Codice della Strada, se ne rileva uno particolarmente
frequente in sede giudicante e relativo all’articolo 142, ovvero, il
superamento (anche elevato) dei limiti di velocità. La patente di guida, opportunamente ritirata e
inviata alla Prefettura competente per la successiva sospensione, viene
restituita all’interessato pochi giorni dopo a seguito della presentazione di
un atto ricorsuale davanti al Giudice di Pace, chiedendo allo stesso di
sospendere ogni effetto sanzionatorio fino a giudizio e la restituzione del
documento di guida per necessità
lavorative. Una volta giunti alla trattazione del ricorso
(diversi mesi dopo), si assiste con una certa frequenza alla conferma dell’atto
contravvenzionale, ciononostante il giudice delibera la “congruità” del periodo
di sospensione avvenuto precedentemente la presentazione dell’atto ricorsale,
che generalmente è di 7/8 giorni. Da ricordare, che il Codice della Strada
prevede una sospensione minima di 30 giorni!
Competenza territoriale In maniera del tutto analoga, diversi Giudici
di Pace si attribuiscono anche la competenza territoriale di verbali di
contravvenzione redatti a centinaia di chilometri di distanza dalla loro sede
giurisdizionale. Nonostante l’organo accertatore comunichi al
giudice interessato tale irritualità, alcuni giudici continuano a trattenere
l’atto ricorsuale e si verifica, ad esempio, che il conducente di un’auto
contravvenzionato a Milano presenti ricorso presso il giudice della sua
località di residenza (che potrebbe anche essere Agrigento).
Difficoltà di appello Taluni dei casi sopra evidenziati, potrebbero
trovare facile risoluzione mediante l’appello delle sentenze presso il
Tribunale competente ad opera degli Uffici Territoriali del Governo (chiamati alla
rappresentanza passiva davanti ai Giudici di Pace). Tuttavia, sia per motivi di carattere
burocratico e di impiego di personale, sia per la difficoltà a reperire le
risorse economiche del caso, sono davvero poche le sentenze appellate e le
garanzie previste per il contravvenzionato non trovano eguale applicazione per
l’organo che ha accertato la violazione.
Il nuovo decreto legge sulla sicurezza
stradale Il decreto legge nr.117 entrato in vigore
all’inizio dello scorso agosto, prevede per i casi più gravi quali la guida
senza avere conseguito la patente, ovvero, in stato di ebbrezza o sotto
l’influenza di sostanze stupefacenti, sanzioni sia penali che accessorie di
significativo rilievo. In particolare, ai fini di garantire la
sicurezza degli altri utenti della strada e sottrarre all’interessato il
veicolo che potrebbe utilizzare in condizioni psico-fisiche non idonee, la
norme prevede (a seconda delle situazioni) la possibilità di provvedere al
sequestro preventivo del veicolo, ovvero, al fermo amministrativo. Il primo, di competenza dell’Autorità
giudiziaria, è stato oggetto di lunghe discussioni nelle varie Procure della
Repubblica di tutto il Paese e si è giunti alla conclusione (da parte dei
procuratori) che è difficilmente applicabile se non in casi estremi. Il secondo, di competenza delle Prefetture
(Uffici Territoriali del Governo), incide notevolmente dal punto di vista
economico (per le finanze dello Stato) qualora il conducente rifiuti o non si
presenti nella sede del soccorso stradale a ritirare il veicolo o decida di non
sostenerne le spese di recupero. Tale fatto, negli anni passati, è stato
oggetto di numerose diatribe e non è un caso se proprio in una trascorsa legge
finanziaria è stato prevista, per le forze di vigilanza stradale, la
possibilità di affidare in “giudiziale custodia” al conducente i veicoli
risultati privi di assicurazione anziché provvedere al loro recupero e deposito
presso un soccorso stradale fino a definizione della violazione. In tale contesto, le Prefetture (con nota del
Ministero dell’Interno) hanno invitato gli organi di polizia ad evitare
l’utilizzo dell’istituto del fermo amministrativo, sostituendolo con
l’affidamento del veicolo a persona terza. Ciò significa, tanto per
esemplificare i fatti, che un conducente ebbro fermato a Rimini ma residente a Piacenza,
dovrà essere invitato a chiamare un amico o un parente (qualora nella stessa
auto non si trovi altra persona o non vi sia alcuno in stato psico-fisico
idoneo alla guida) per poter ritirare la vettura. In alternativa, potrà
chiedere personalmente l’intervento di un soccorso stradale, col quale dovrà
però rapportarsi in maniera privatistica e non attraverso l’organo accertatore
(eventualità pressoché rara). Le forze di vigilanza stradale, dunque,
nonostante il decreto legge preveda in maniera inequivocabile il ricorso al
“sequestro preventivo” ovvero al “fermo amministrativo”, sono state sollecitate
a non operare né in un senso né nell’altro, così da rendere palesemente
inefficace la legge e perdere un congruo lasso di tempo per decidere come
comportarsi, su strada, in questi casi (con conseguente diminuzione del numero
di controlli effettuati).
Depenalizzazione del rifiuto di sottoporsi ad
accertamento alcolemico Il nuovo decreto legge, che ha trasformato il
reato di rifiuto di sottoporsi ad accertamento alcolemico in sanzione
amministrativa, secondo numerosi rappresentati delle Procure della Repubblica
rafforzerà il “ricorso” a questa violazione per evitare conseguenze di
carattere penale. Ciò significa, che persone manifestamente ebbre, potranno
rifiutarsi di sottoporsi alla prova dell’etilometro, preferendo una sanzione
che – seppur pesante dal profilo economico – eviterà denunce e conseguenze
peggiori. Pur vero che chi sarà contravvenzionato per
aver rifiutato l’accertamento alcolemico si vedrà inflitta una sanzione
pecuniaria di rilievo e un altrettanto elevato periodo di sospensione della
patente di guida; tuttavia, la possibilità di ricorso e quanto precedentemente
illustrato sui meccanismi di giudizio, potranno dare luogo a conclusioni di
minore impatto sia economico che accessorio. In sostanza, la norma istiga a rifiutare
l’accertamento alcolemico ed accresce le possibilità ricorsuali, con
conseguenze di carattere burocratico che si andranno ad aggiungere a quelle già
pesantemente rilevanti per gli uffici di polizia stradale.
(*) di Roberto Rocchi, Consigliere naz.le Asaps e Ispettore Capo della Polizia Stradale
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