Appello - ripetizione delle somme pagate in esecuzione
della sentenza di primo grado - legittimazione ed interesse ad agire [art. 81 c.p.c.] Chi ha provveduto a pagare somme di denaro in esecuzione della
sentenza di primo grado, provvisoriamente esecutiva e successivamente riformata
in appello, ha diritto a chiederne la ripetizione. Tale diritto compete
soltanto a chi abbia effettivamente provveduto al pagamento. Ne deriva che, stante il divieto posto dall’articolo 81 c.p.c., qualora in un giudizio in
cui siano parte il danneggiante e il suo assicuratore, quest’ultimo abbia
corrisposto all’attore le somme attribuite dalla sentenza di primo grado in
favore del danneggiato, la domanda di restituzione proposta non
dall’assicuratore ma dall’assicurato è inammissibile. (Fonte: Altalex Massimario
14/2007)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE Sentenza 13 aprile 2007, n. 8829 Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato nel 1998 la sig.ra
R.B. conveniva avanti al Tribunale di Rovereto la locale Amministrazione
comunale per ivi sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti in
conseguenza di sinistro avvenuto allorquando alla guida del proprio ciclomotore
Aprilia nella locale piazza ...omissis..., direzione via ...omissis..., cadeva
rovinosamente a terra, sbalzata all’esito dell’impatto della ruota anteriore
con alcune sporgenti piastre di porfido che formavano un insidioso scalino. Nella resistenza dell’Amministrazione convenuta, che chiamava in
causa in garanzia il Consorzio Cavatori Produttori di Porfido Scarl il quale,
costituitosi, chiamava a sua volta in causa la società Assicurazioni Generali
s.p.a. al fine di essere dalla medesima nel caso manlevata, l’adito giudice con
sentenza del 2001 accertava e dichiarava la corresponsabilità nella causazione
del sinistro in oggetto del Comune e del Consorzio convenuti nella rispettiva
misura del 70 e del 30%, rigettando la domanda da quest’ultimo spiegata nei
confronti della compagnia Assicurazioni Generali s.p.a., e disponeva in ordine
alla regolazione delle spese. Interposto gravame in via principale dal Consorzio, e in via
incidentale dal Comune di Rovereto; riunito il procedimento con altro proposto
dal Comune di Rovereto; nella resistenza della R. con sentenza del 27/2/2003 la
Corte d’Appello di Trento, in riforma dell’impugnata decisione, rigettava la
domanda risarcitoria da quest’ultima originariamente proposta, compensando
interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. Avverso la detta sentenza della corte di merito la R. propone ora
ricorso per cassazione, affidato ad unico complesso motivo, illustrato da
memoria. Resistono con controricorso il Comune di Rovereto e il Consorzio
Cavatori Produttori di Porfido Scarl, che spiegano altresì entrambi ricorso
incidentale, rispettivamente affidandolo ad unico complesso motivo - illustrato
da memoria - il primo, e a 2 motivi il Consorzio, che propone anche ricorso
incidentale condizionato, sulla base di 3 motivi.
Motivi della decisione
Con unico, complesso motivo la ricorrente principale R. denuncia
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto della
controversia prospettato dalle parti e rilevabile d’ufficio, in relazione
all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Lamenta che l’impugnata sentenza risulta inammissibilmente basata
solo su un documento proveniente dal Comune di Rovereto, avendo la corte di
merito "esaltato una improbabile (quanto chiaramente precostituita)
valenza probatoria di una nota datata 05.12.97 del Dirigente del servizio
progettazione e sviluppo del Comune di Rovereto, ing. G.P., asseritamente riferentesi
ad un sopralluogo effettuato in piazza ...omissis......", riformando il
giudizio emesso dal primo giudice in quanto asseritamente formato "sulla
base di una apodittica ed assoluta valorizzazione della dichiarazione
testimoniale di B.G., in contrasto con gli altri elementi probatori". Deduce al riguardo che a tale stregua essa ha commesso un
"eclatante errore di giudizio", in quanto la dichiarazione del teste
B. fornisce viceversa "un’unica lettura all’unisono con gli altri elementi
probatori (ivi compresa la CTU medico-legale e la documentazione fotografica in
atti) della dinamica e, quindi, della causa del sinistro", l’unico
elemento con cui essa risulta in contrasto essendo la suddetta nota di
controparte, asseritamente inserentesi "in un’ulteriore visione probatoria
del servizio progettazione e sviluppo del Comune di Rovereto, che aveva
collaudato in data 29.10.97 (ovvero 6 giorni prima del sinistro) i lavori di
pavimentazione ed arredo di piazza ...omissis......", sicchè "tutte
le risultanze istruttorie sono state giudicate sulla base di un errore di
giudizio e valutazione della nota di parte dd. 05.12.97 e di una
interpretazione delle risultanze istruttorie attraverso il caleidoscopio
rappresentato da tale documento". Allega che le "foto in atti si riferiscono allo stato dei
luoghi a soli otto giorni dalla caduta, e da sole evidenziano la sussistenza di
una insidia o trabocchetto sulla piazza"; e che l’erronea valutazione
delle risultanze processuali ha indotto la Corte di merito ad emettere "una
sentenza totalmente priva di qualsiasi riferimento di diritto, sicchè non è
data neppure la possibilità di valutare l’iter e le motivazioni
logico-giuridiche che volevano la signora R. caduta a terra senza alcun
responsabile". Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. Come questa Corte ha avuto ripetutamente modo di affermare, i
motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata
debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della
riferibilità alla decisione stessa. Ai fini della sussistenza del requisito dell’esposizione sommaria
dei fatti di causa prescritto a pena d’inammissibilità per il ricorso per
cassazione dall’art. 366 c.p.c. è infatti necessario che nel contesto dell’atto
d’impugnazione si rinvengano gli elementi indispensabili perchè il giudice di
legittimità possa avere, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del
processo, ivi compresa la sentenza impugnata, una chiara e completa visione
dell’oggetto dell’impugnazione, dello svolgimento del processo e delle
posizioni in esso assunte dalle parti (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass.,
17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998; Cass., 21/5/1999, n. 4916;
Cass., 25/3/1999, n. 2826). E’ cioè indispensabile che dal contesto del ricorso sia possibile
desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale,
sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche
rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v. Cass., 4/6/1999, n. 5492). Quanto al vizio di omessa pronunzia, perchè esso possa utilmente
dedursi in sede di legittimità è necessario, da un lato, che al giudice del
merito siano state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente
apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni vengano riportate
puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il
principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto
difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre sono state
proposte, al fine di consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la
ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (v. Cass., Sez.
Un., 28/7/2005, n. 15781). Risponde del pari a consolidato principio di questa Corte che il
vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con
ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si
configura solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del
merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o
insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle
parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le
argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione del
procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare Cfr.
Cass., 25/2/2004, n. 3803). Tale vizio non consiste invero nella difformità dell’apprezzamento
dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal
giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322),
solamente a quest’ultimo spettando individuare le fonti del proprio
convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e
la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee
a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo
di prova (v. Cass., 25/2/2004, n.
3803; Cass., 21/3/2001, n. 4025; Cass., 8/8/2000, n. 10417; Cass., Sez. Un.,
11/6/1998, n. 5802; Cass., 22/12/1997, n. 12960). La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata
con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non
già, come evidentemente suppone l’odierna ricorrente, il potere di riesaminare
il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la
mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della
coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito,
cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità
e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo,
quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad
esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge)
prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v., da ultimo v.
Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 20/10/2005, n. 20322; v. Cass., 27/4/2005, n.
8718; Cass., 25/2/2004, n.
3803; Cass., 21/3/2001, n. 4025; Cass., 8/8/2000, n. 10417; Cass., 8/8/2000, n.
10414; Cass., Sez. Un., 11/6/1998, n. 5802; Cass., 22/12/1997, n. 12960). Orbene, tali principi sono rimasti nel caso dalla ricorrente non
osservati, avendo essa anzitutto omesso di riportare nel ricorso gli atti
richiamati, ed in particolare l’evocato documento dell’Amministrazione
comunale. Sotto altro profilo, la ricorrente si è invero limitata a
sostenere che "La Corte di Cassazione, in ossequio al disposto di cui all’art.
360 c.p.c., n. 5, dovrà controllare, sotto il profilo logico-formale e della
correttezza giuridica, l’esame e le valutazioni compiuti dal Giudice di merito
... con particolare riferimento alla valenza probatoria da attribuirsi ad un
documento proveniente da una parte in causa. La sentenza d’appello è, infatti,
viziata in quanto fondata esclusivamente su un documento - dichiarazione
proveniente da una parte (ovvero dal convenuto Comune di Rovereto) sulla base
della quale è stato snaturato l’intero iter logico della sentenza di primo
grado: tale argomentazione e percorso logico-giuridico hanno condotto ad una
sentenza ingiusta ... Da parte del Giudice di appello vi è stato un inesatto
apprezzamento delle risultanze processuali integranti un errore di giudizio ...
Erroneamente la Corte di Appello di Trento ha esaltato una improbabile (quanto
chiaramente precostituita) valenza probatoria di una nota datata 05.12.97 del
Dirigente del servizio progettazione e sviluppo del Comune di Rovereto, ing.
G.P., asseritamente riferentesi ad un sopralluogo effettuato in piazza
...omissis... il giorno 07.11.97 ovvero due - tre giorni dopo il sinistro
occorso alla ricorrente, signora R.B., ritenendo erronea la sentenza di primo
grado per aver deciso sulla base di una apodittica ed assoluta valorizzazione
della dichiarazione testimoniale di B.G., in contrasto con gli altri elementi
probatori". Al riguardo altresì aggiungendo: "La Corte di Appello ha
commesso un eclatante errore di giudizio, in quanto: 1) la dichiarazione del teste
B.G. fornisce un’unica lettura all’unisono con gli altri elementi probatori
(ivi compresa la CTU medico-legale e la documentazione fotografica in atti)
della dinamica e, quindi, della causa del sinistro; 2) l’unico elemento in
contrasto con tutti gli elementi probatori assunti nel giudizio di primo grado
è costituito dalla nota dd. 05.12.97, nota che, chiaramente di parte, si
riferisce, tra l’altro, agli esiti di un sopralluogo del 07.11.97 (eseguito dal
Comune di Rovereto su segnalazione di personale operaio (teste G.) da
dipendenti comunali, che dichiaravano non esservi in loco particolari
sconnessioni), salvo, poi, in data 12.11.97 ripetere il sopralluogo e mettere
idonea segnaletica per rendere sicuro il transito: sostiene la Corte che i
distacchi delle piastre del sottofondo si sono verificati in data 12.11.97 e
non già in data 05.11.97, quando si verificò il sinistro (salvo che il Comune
di Rovereto l’apposita segnaletica la mise in esito al sopralluogo effettuato
per la caduta della signora R. ed i sopralluoghi effettuati all’esito di
segnalazioni pervenute prima del sinistro); 3) la nota dd. 05.12.97 si
inserisce in un’ulteriore visione probatoria che ne appalesa il suo
precostituito fine, in quanto firmata dal responsabile del servizio progettazione
e sviluppo del Comune di Rovereto, che aveva collaudato in data 29.10.97
(ovvero 6 giorni prima del sinistro) i lavori di pavimentazione ed arredo di
piazza ...omissis..., lavori ultimati ... il 24.10.96. 4) tutte le risultanze
istruttorie sono state giudicate sulla base di un errore di giudizio e
valutazione della nota di parte dd. 05.12.97 e di una interpretazione delle
risultanze istruttorie attraverso il caleidoscopio rappresentato da tale
documento; 5) la caduta della signora R. come rappresentata dal teste B. (e
confermata dalla C.T.U. con riferimento alla tipologia delle lesioni subite)
esattamente descritta dal teste, viene indicata trovare fonte nei meandri della
psiche del B. ... La dinamica del sinistro ovvero il nesso causale tra la
caduta della signora R. ... e le piastre sollevate trova puntuale conferma in
tutte le risultanze istruttorie ... Le foto in atti riferiscono dello stato dei
luoghi a soli otto giorni dalla caduta e da sole evidenziano la sussistenza di
una insidia-trabocchetto sulla piazza ...". Orbene, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti
in relazione ai sopra indicati profili, emerge evidente come la ricorrente si
sia nel caso limitata a mere apodittiche allegazioni che, oltre a risultare
formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c.,
comma 1, n. 4, si risolvono in effetti nella mera doglianza circa
l’asseritamente erronea attribuzione da parte della corte di merito agli
elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative
(v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura
delle risultanze di causa diversa da quella nel caso operata da tale giudice
(cfr., da ultimo, Cass., 18/4/2006, n. 8932). Emerge evidente, pertanto, come invece di censurare la sentenza
peruno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c. la ricorrente in
realtà ad altro non mira se non a sollecitare, contra ius e cercando di
superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio
di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il
giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale
possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte di Cassazione
elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire
ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 31/5/2006, n. 12984;
Cass., 14/3/2006, n. 5443). Con unico motivo il ricorrente in via incidentale Comune di
Rovereto denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 336 c.p.c.,
in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn, 3 e 4. Lamenta che la corte di merito ha omesso di pronunziare in ordine
alla restituzione da parte della R. degli importi in suo favore versati in
esecuzione della sentenza di 1 grado, oggetto di specifica domanda proposta in
sede di appello e da emettersi in conseguenza dell’accoglimento del medesimo in
ordine al profilo dell’an della propria responsabilità nella causazione del
sinistro de quo. Il ricorso è inammissibile. Come questa Corte ha già avuto modo di precisare, ben è possibile
la ripetizione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado
provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata in appello (con sentenza
confermata dalla Corte Suprema di Cassazione), pur non ricorrendo in tal caso
un’ ipotesi di condictio indebiti (art. 2033 c.c.), dalla quale differisce per
natura e funzione, laddove non vengono nella specie in rilievo - tra l’altro -
gli stati soggettivi di buona o mala fede dell’accipiens, atteso che il diritto
alla restituzione sorge direttamente in conseguenza della riforma della
sentenza, la quale, facendo venir meno ex tunc e definitivamente il titolo
delle attribuzioni in base alla prima sentenza, impone di porre la controparte nella
medesima situazione in cui si trovava in precedenza (v. Cass., 5/8/2005, n.
16559). In giurisprudenza di legittimità si è ulteriormente precisato che
non incorre conseguentemente nel vizio di omessa pronuncia il giudice di
appello il quale, nel riformare completamente la decisione impugnata, non
dispone la condanna della parte vittoriosa in primo grado a restituire gli
importi ricevuti in forza dell’esecuzione della sentenza appellata (v. Cass.,
5/7/2006, n. 15292; Cass., 24/6/2002, n. 11729; Cass., 26/4/2003, n. 562476. v.
anche Cass., 8/1/2004, n. 88; Cass., 28/11/2003, n. 18238; Cass., 10/12/2001,
n. 15571; Cass., 19/8/1999, n. 8781; Cass., 6/4/1999, n. 3291). Nella specie, l’Amministrazione odierna ricorrente incidentale
afferma nei propri scritti difensivi (v. p. 12 del ricorso incidentale) di
avere nell’atto di appello dedotto che in esecuzione della sentenza appellata
aveva "provveduto, per il tramite del proprio assicuratore RAS S.p.a., al
versamento in favore di R. Barbara dell’importo corrispondente alle somme
liquidate nella sentenza impugnata per capitale, interessi e spese, per
complessivi Euro 120,786,36". Altresì aggiungendo che
"Dall’accoglimento delle domande di cui al presente atto di appello dovrà
pertanto derivare la condanna della R. alla restituzione dei predetti importi,
o comunque di quegli importi che dovessero risultare non dovuti per effetto
della riforma della sentenza". Precisa, ancora, di avere nelle conclusioni
rassegnate in sede di appello chiesto "in ogni caso, condannarsi R.B. e/o
il Consorzio Cavatori e produttori Porfido alla restituzione in favore del
Comune di Rovereto dell’importo di Euro 120.786,36, maggiorato di interessi dal
24.1.02 al saldo, o di quel maggior o minor importo che risulterà non dovuto,
all’esito dell’invocata riforma della sentenza impugnata". E si duole al
riguardo che la "Corte di Appello, malgrado la specificità della
domanda", non abbia deciso al riguardo, così incorrendo nel tipico vizio
di omessa pronuncia". Orbene, alla stregua dei più sopra richiamati principi emerge
evidente, da un canto, che il lamentato vizio di omessa pronunzia è invero nel
caso inconfigurabile; da altro canto, come sia la stessa Amministrazione
ricorrente a dare atto dell’essere il pagamento oggetto della domandata restituzione
stato in realtà effettuato da soggetto altro e diverso da sè, e cioè dalla
compagnia assicuratrice RAS s.p.a., anch’essa invero parte del presente
giudizio, per esservi stata proprio dalla predetta odierna ricorrente
incidentale chiamata in manleva. L’Amministrazione comunale fa pertanto in tal modo valere in nome
proprio un diritto del suindicato solvens, in spregio invero del divieto posto
dall’art. 81 c.p.c, in ordine a tale domanda pertanto inammissibilmente
difettando di interesse e legittimazione (relativamente alla declaratoria di
inammissibilità del ricorso per cassazione per difetto di interesse cfr.,
seppure con riferimento ad altra fattispecie, Cass., 25/2/1966, n. 579). Risponde d’altro canto a principio affermato in giurisprudenza di
legittimità che colui il quale agisce in giudizio per far valere un diritto
altrui prospettandolo come proprio non può invero giovarsi dell’eventuale
ratifica del suo operato da parte del vero titolare di quel diritto, in quanto
una ratifica è concepibile soltanto nel caso di chi agisca in nome e per conto
di altri senza averne i poteri (v. Cass., 5/4/1995, n. 4000; Cass., 30/10/1986,
n. 6376). Con il 1 motivo il ricorrente in via incidentale Consorzio
Cavatori Produttori di Porfido Scarl, denunziando violazione e falsa
applicazione degli artt. 2043, 1218, 2055 c.c., art. 185 c.p. lamenta
l’infondatezza e l’eccessività del risarcimento del danno riconosciuto dal
Tribunale di Rovereto a titolo di "danno patrimoniale, biologico, non
patrimoniale e per perdita di chances". Si duole, in particolare, che non siano stati correttamente
applicati i criteri di quantificazione del danno biologico e del danno morale
introdotti dalla L. n. 57 del 2001. Lamenta che "il giudice di primo grado" ha
"aumentato il quantum aggiungendo al già consistente importo l’ulteriore
voce di danno relativa alle spese mediche da sostenere in futuro", voce di
danno peraltro "assolutamente ingiustificata", oltre che non provata,
trattandosi di "credito non liquido nè esigibile". Con il 2 motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art.
92 c.p.c.. Lamenta l’erroneità della disposta compensazione delle spese di
lite, essendo la pretesa azionata dalla R. del tutto infondata, e non
sussistendo diversamente da quanto affermato dalla corte di merito-alcuna
"delicatezza e complessità della valutazione delle fonti probatorie". Con il 1 motivo del ricorso incidentale condizionato il Consorzio
Cavatori Produttori di Porfido Scarl denunzia, nei confronti del Comune di
Rovereto, violazione e falsa applicazione dell’art. 1667 c.c.. Lamenta l’erroneità della ravvisata ammissibilità - tempestività
della domanda di manleva proposta dal Comune di Rovereto, essendo erroneo
l’assunto secondo cui la condotta del Consorzio successiva al collaudo dei
lavori di pavimentazione integra un preteso riconoscimento rispetto ad asseriti
vizi e difetti della pavimentazione medesima riconducibili a sue pretese
responsabilità. Deduce che la testimonianza Be. non mette in luce alcuna relazione
tra la rottura della lastra e la esecuzione non a regola d’arte dei lavori di
pavimentazione da parte del Consorzio. Lamenta di avere tempestivamente eccepito in comparsa di
costituzione la decadenza del Comune di Rovereto dalla garanzia ex art. 1667
c.c. in ordine agli asseriti vizi e difetti dei lavori di pavimentazione
appaltati, così come la prescrizione del termine biennale per la relativa
azione. Allega che, diversamente da quanto dedotto dal Comune in sede di
primo grado di giudizio, trattasi nel caso di vizi non occulti, essendo pertanto
essi, ove effettivamente sussistenti, rilevabili sin dall’atto di consegna dei
lavori ovvero in sede di collaudo finale. Con il 2 motivo denunzia, nei confronti del Comune di Rovereto,
violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2055 c.c.; erroneo
apprezzamento delle risultanze processuali e difetto di motivazione; insussistenza di responsabilità a sè imputabile per vizi e difetti
intrinseci della pavimentazione. Con il 3 motivo denunzia, nei confronti delle Assicurazioni
Generali s.p.a., violazione e falsa applicazione degli artt. 1341 e 1904 c.c.; nonchè motivazione erronea e comunque insufficiente. Lamenta che la polizza in vigore al momento del sinistro riporta
quale oggetto della garanzia assicurativa "Le conseguenze della
Responsabilità Civile ai sensi di legge derivanti all’assicurato nella sua
qualità di esercente un’impresa effettuante posa in opera di porfido, senza uso
di impalcature e/o scale", a tale stregua pertanto delineando una limitazione
di responsabilità, e conseguentemente richiedendo apposita sottoscrizione, nel
caso invero mancante. Il rigetto del ricorso principale comporta l’assorbimento dei
ricorsi incidentali del Consorzio Cavatori Produttori di Porfido Scarl. La reciproca soccombenza e le ragioni della decisione
costituiscono giusti motivi di integrale compensazione tra tutte le parti
costituite delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso
principale. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale del Comune e
assorbiti quelli del Consorzio Cavatori Porfido. Compensa integralmente tra
tutte le parti le spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso
in Roma, il 17 gennaio 2007. Depositato in
Cancelleria il 13 aprile 2007.
Da Altalex
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