Parlando di "luogo di
lavoro", siamo portati a pensare ad uno spazio confinato o semiconfinato,
come uno stabilimento o un ufficio; in realtà con questo termine si intende
qualunque sede di attività lavorativa, anche gli spazi naturali all’aperto.
Numerose categorie di lavoratori, tra cui addetti ai cantieri e alla
manutenzione stradale ed operatori di polizia (in particolare stradale e
municipale) operano, infatti, in ambienti esterni. Quali sono i rischi per
queste categorie di lavoratori? Quali le norme per la sicurezza? Compito del
"datore di lavoro" è quello di individuare i rischi, e mettere in
atto misure idonee a prevenirli, azzerarli o ridurli al minimo possibile, anche
fornendo ai lavoratori adeguata formazione ed informazione ed eventuali
dispositivi di protezione individuale (DPI). L’ambiente di lavoro all’aperto
presenta una serie di problematiche che sono legate essenzialmente alle
condizioni atmosferiche, a cui si aggiungono i rischi lavorativi derivanti
dalle specifiche attività. Le alte e le basse temperature possono produrre
effetti negativi sulla salute e la sicurezza dei lavoratori, determinando un
abbassamento delle loro prestazioni fisiche e mentali. Il caldo intenso
(superiore ai 30°C), unito ad un alto tasso di umidità (maggiore del 60%) e
alla scarsa ventilazione, può causare, ad esempio, colpi di calore o colpi
di sole, caratterizzati da notevole aumento della temperatura corporea,
stanchezza, vertigini, cefalea, nausea, ipotensione e tachicardia, fino al collasso
circolatorio e alla sincope. Il caldo può essere responsabile anche di
patologie localizzate, come i crampi, improvvisi spasmi muscolari
dolorosi, dovuti alla perdita di sali minerali con la sudorazione. Le basse
temperature determinano, invece, con una certa frequenza sindromi da
raffreddamento, riniti, faringiti. Gli effetti locali, soprattutto nelle
zone distali del corpo (orecchie, naso, piedi, ecc.), si manifestano con
eritemi e, in casi estremamente gravi, con il congelamento. Naturalmente
per gli ambienti aperti non è possibile prevedere requisiti specifici, ma si
possono considerare interventi di tipo protezionistico e comportamentale,
informazione adeguata ai
lavoratori, e uso di dispositivi di protezione individuale. Il lavoro
all’aperto nella stagione estiva dovrebbe essere evitato durante le ore di
maggior caldo ed irraggiamento solare (tra le 11 e le 15) e durante i picchi di
ozono a fine pomeriggio (tra le 16 e le 18). L’ozono, costituito da ossidi di
azoto ed idrocarburi colpiti dalle radiazioni solari, irrita, infatti, gli
occhi e le vie respiratorie. In ogni caso, occorre procedere a frequenti pause
in luoghi ombreggiati e aerati (importante l’installazione di tettoie o
rifugi), utilizzare copricapo e occhiali da sole con protezione dai raggi UV,
bere con frequenza acqua o altri liquidi per ristabilire l’equilibrio
idro-salino, applicare creme protettive sulle zone della pelle esposte al sole
per evitare ustioni localizzate. Nella stagione fredda è importante evitare il
più possibile le posizioni statiche, bere frequentemente liquidi caldi,
garantire all’organismo un apporto calorico sufficiente.I lavoratori dovranno
essere dotati di abiti adeguati: vestiti leggeri che proteggano dai raggi del
sole e consentano una buona circolazione dell’aria e l’evaporazione del sudore
durante la stagione estiva; giacconi termici, guanti, copricapo, abbigliamento
impermeabile, in caso di freddo e precipitazioni di pioggia o neve (DPI).
Adeguare, ove possibile, gli orari di lavoro, favorendo turnazioni più
frequenti, o più frequenti pause di ristoro, e organizzare l’attività in modo
da spostare i lavori pesanti o gravosi al momento migliore della giornata,
limiterebbe l’esposizione ai fattori climatici sfavorevoli e i conseguenti
effetti negativi sulla salute. Un rischio per i lavoratori che operano
all’esterno è rappresentato anche dall’esposizione ad agenti chimici,
che si verifica, in genere, per inalazione di sostanze aerodisperse, ma in
alcuni casi può avvenire anche per contatto. Situazioni di rischio di
assorbimento di ossido di carbonio (CO) e di idrocarburi derivati del petrolio,
rinvenibili in discrete quantità nelle miscele dei gas di scappamento, sono
state individuate nell’inquinamento prodotto dal traffico veicolare. Nelle zone
industriali e nelle aree urbane ad elevato traffico si possono raggiungere
livelli transitori di 100 ppm di CO, contro le concentrazioni di 0,1-2 ppm delle aree rurali e
suburbane. Tuttavia, a causa della rapida diffusione del CO nell’aria, della
variabilità delle condizioni metereologiche e dell’irregolarità del traffico è
difficile stabilire l’entità del rischio di esposizione. Il controllo della
quantità di CO assorbita durante 6-8 ore di esposizione alle concentrazioni
generalmente presenti nelle città (vigili urbani), ha indicato un incremento
trascurabile della dose ematica. A questo gas si aggiunge, però, la presenza
nell’aria di altri inquinanti, come le polveri sottili, gli ossidi di zolfo e
di azoto, l’ozono. Poiché l’esposizione agli inquinanti ambientali comporta
soprattutto il rischio di patologie respiratorie, tra cui asma bronchiale,
bronchite ed enfisema, bisognerebbe prevedere visite mediche periodiche per
quei lavoratori che abbiano postazioni fisse in zone ad elevata concentrazione
di sostanze inquinanti, e programmare, se possibile, turni che permettano di
evitare prolungate esposizioni nei punti maggiormente trafficati della città,
fornendo appositi dispositivi di protezione (maschere facciali o cabine fisse e
dotate di filtri). L’esposizione ad agenti chimici si può verificare anche in
corso di interventi per incidenti che coinvolgono il trasporto di merci
pericolose, ossia materiale esplosivo, infiammabile, tossico, radioattivo,
corrosivo. Esistono circa 3800 tipologie di sostanze soggette a normativa ADR
(Accord Dangereuses par Route), per le quali il trasporto su strada è il più
comune. In questi casi l’accurata formazione ed informazione dei lavoratori
sulle modalità di intervento e sull’uso dei DPI (guanti, maschere facciali,
tute, ecc.) è di fondamentale importanza. Il lavoro su strada non rientra nelle
attività considerate a rischio per le otopatie da lavoro (DPR 336/1994),
tuttavia in caso di controlli su tratti autostradali con traffico ad elevata
velocità ed intensità, si può verificare
un innalzamento temporaneo e reversibile della soglia uditiva, oltre a sintomi
aspecifici quali irritabilità, tachicardia, gastrite, stanchezza, cefalea,
variazione del rendimento. In questi casi è utile l’impiego di cuffie, inserti
o tappi auricolari (DPI). Il rischio di infortuni è rilevante per i
lavoratori che operano in ambiente esterno, ma può essere ridotto con la
rimozione di eventuali ostacoli, l’uso di barriere e segnali di avvertimento,
l’adeguata illuminazione dell’area di azione, l’adozione di misure antiscivolo
e l’utilizzo di calzature adeguate con proprietà antisdrucciolevoli delle
suole. Significativo è poi il rischio di investimenti con gravi lesioni
traumatiche, anche mortali, per quegli operatori che lavorano su tratti
autostradali, in presenza di veicoli in corsa. Anche la riduzione di questo
rischio è legata ad alcune misure precauzionali. Gli addetti ad interventi di
assistenza stradale devono essere preventivamente informati sui possibili
rischi e formati a procedure operative corrette, come l’aver cura di indossare
sempre indumenti ad alta visibilità, in tessuti fluorescenti, o bretelle
luminose (DPI); effettuare la rimozione in luogo idoneo prima di intervenire su
un veicolo che si trova in una posizione pericolosa (ad esempio dietro una curva);
usare mezzi di segnalazione (triangolo, lampeggiatore giallo, manichino
sbandieratore, ecc). In conclusione, grazie all’individuazione dei problemi,
alla pianificazione delle misure necessarie a prevenire o a contenere i rischi,
ed al successivo controllo dell’efficacia degli strumenti utilizzati, è
possibile mettere in atto un buon sistema di gestione della salute e della
sicurezza sui luoghi di lavoro anche per gli ambienti esterni.
*Medico Capo
Polizia di Stato Questura di Ragusa
da "il Centauro" n. 114
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