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Corte di Cassazione 11/10/2007

Giurisprudenza di legittimità - Delitti contro la Pubblica Amministrazione – Indebita percezione a danno dello Stato – Reato complesso...

Cass. pen., sez. VI, sentenza 26.07.2007 n° 30528
Delitti contro la Pubblica Amministrazione – Indebita percezione a danno dello Stato – Reato complesso – Assorbimento del reato di cui all’art. 483 c.p. – Mancato superamento della soglia di rilevanza penale della erogazione – Applicabilità della sola sanzione amministrativa – Autonomia del reato di falsità ideologica commessa in atto pubblico – Esclusione [artt. 316 ter, 483, 84 c.p.; art. 9 L. 689/1981]

Il delitto di cui all’art. 483 c.p. (“falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico) è assorbito nella fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p., trattandosi di reato complesso ex art. 84 c.p..

Tale conclusione rimane valida anche nella ipotesi in cui, per il non superamento della soglia minima del valore economico del contributo o della erogazione, sia configurabile una mera violazione amministrativa (ai sensi del secondo comma dell’art. 316ter c.p.), perchè rientra nelle valutazioni discrezionali del legislatore la scelta della natura e qualità delle risposte sanzionatorie a condotte antigiuridiche, e quindi l’assoggettabilità dell’autore, in una determinata fattispecie, a sanzioni amministrative, pur se frammenti di queste condotte, ove non sussistesse la fattispecie complessa, sarebbero sanzionabili con autonomo titolo di reato, dovendosi fare applicazione anche in questa ipotesi del principio di specialità intercorrente tra fattispecie penali e violazioni amministrative stabilito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9.

(Fonte: Altalex Massimario 17/2007)

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 26 luglio 2007, n. 30528

(Presidente B. Oliva, Relatore G. Conti)

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Tempio Pausania assolveva B.A.M. dal reato di cui all’art. 316 ter c.p., così qualificata l’originaria imputazione di cui all’art. 483 c.p., perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, in relazione a un finanziamento regionale ottenuto per l’acquisto di un computer, sulla base di una dichiarazione attestante un reddito imponibile non corrispondente a quello reale, trattandosi di somma indebitamente percepita inferiore alla soglia di punibilità ragguagliata al valore di Euro 3.999,96 e quindi costituente violazione amministrativa a norma del comma 2 del predetto articolo (fatto accertato in ...omissis... il 23 ottobre 2001).
Ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania, deducendo:
1. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 316 ter e 640 bis c.p., nonchè illogicità della motivazione, atteso che secondo la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, l’utilizzo di una falsa autocertificazione finalizzata all’ottenimento di contributi pubblici integra gli estremi del reato di truffa aggravata ex art. 640 bis c.p..
2. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 15 e 483 c.p., dato che nel capo di imputazione era stato contestato il confezionamento di una falsa autocertificazione, che non poteva ritenersi assorbito nella fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p., mentre il Tribunale ha erroneamente ritenuto che la condotta consistesse nel mero utilizzo di una falsa autocertificazione.
Diversamente opinando, si giungerebbe al paradosso per cui la formazione dell’atto falso sarebbe sanzionata a norma dell’art. 483 c.p. se non accompagnata dal suo utilizzo fraudolento mentre sarebbe esente da sanzione penale qualora attraverso la falsa attestazione si siano indebitamente percepiti contributi.
La inapplicabilità del principio di specialità si ricava del resto dalla diversità del bene giuridico tutelato dalla due norme.
Ricorre altresì il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, che denuncia la erronea applicazione della legge penale non avendo il Tribunale disposto la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa per l’irrogazione della relativa sanzione.
Hanno presentato memoria i difensori della B., avvocati Sanguineti Luigi Maria e Mura Giovanni Angelo, sollecitando il rigetto del ricorso del Procuratore della Repubblica e la declaratoria di inammissibilità del ricorso del Procuratore generale.

Motivi della decisione

Va preliminarmente osservato che le censure, anche se presentate in parte sotto l’aspetto del vizio di motivazione, attengono a profili strettamente giuridici, sicchè i ricorsi possono essere considerati come proposti per saltum, e ciò impedisce la loro qualificazione come appelli, pur tenendo conto degli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 26 del 2007, che ha dichiarato l’incostituzionalità della L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 1 nella parte in cui esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento.
Il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania è infondato.
Come affermato recentemente dalle Sezioni unite nella sentenza n. 16568 del 19 aprile 2007, ric. Carchivi, cui questo Collegio presta adesione, la linea di discrimine tra il reato di cui all’art. 316 ter c.p. e quello di cui all’art. 640 bis c.p., che hanno in comune l’elemento della indebita percezione di contributi da parte dello Stato o altri enti pubblici o dalle Comunità europee, va ravvisato nella mancata inclusione tra gli elementi costitutivi del primo reato dell’effetto della induzione in errore del soggetto passivo, presente invece nel secondo.
Occorre dunque guardare alle regole formali del procedimento di concessione del contributo (o di altra erogazione comunque denominata):
se il contributo consegue alla mera presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere o all’omissione di informazioni dovute, senza che rilevi che l’ente pubblico possa essere tratto in errore da tale condotta, è integrato il reato di cui all’art. 316 ter;
se invece la erogazione del contributo da parte dell’ente pubblico è l’effetto di una induzione in errore circa i presupposti che lo legittimano, dato che le regole del relativo procedimento amministrativo non fanno derivare dalla presentazione della dichiarazione un’automatica conseguenza circa l’erogabilità di esso, è integrato il reato di cui all’art. 640 bis c.p..
Nella specie non risulta dagli atti, nè è stato dedotto dal ricorrente, che, stando alle regole del relativo procedimento amministrativo, l’assegnazione del computer sia dipesa da un’induzione in errore degli organi della regione, essendo invece da ritenere che essa conseguisse automaticamente per il solo fatto di una auto-dichiarazione da parte del richiedente di un reddito rientrante nei limiti previsti.
Giustamente dunque è stata ritenuta sussistente la fattispecie di cui all’art. 316 bis c.p., e, trattandosi di una erogazione di valore inferiore alla soglia di punibilità ragguagliata al valore di Euro 3.999,96, integrata la violazione amministrativa a norma del comma 2 del predetto articolo.
Anche la seconda censura è infondata.
La condotta contestata attiene alla falsa auto-dichiarazione di un reddito imponibile inferiore al limite massimo cui era condizionata l’assegnazione regionale del computer, che corrisponde appieno a quella descritta dall’art. 316 ter c.p., dato che l’utilizzazione o presentazione di auto-dichiarazioni false presuppone necessariamente la loro previa (o contestuale) formazione da parte di chi richiede il contributo o la erogazione.
Non è dato cogliere dunque, con riferimento alla fattispecie dedotta, la distinzione fatta dall’Ufficio ricorrente tra utilizzo di una falsa auto-dichiarazione e confezionamento di essa, dato che esse nella specie coincidono, a livello sia di previsione normativa sia di condotta concretamente accertata; questa distinzione avrebbe invece senso ove si riferisse alla utilizzazione o presentazione di documenti falsi non costituenti auto-dichiarazioni, dato che in questo caso la falsificazione preesiste al suo utilizzo e deve ritenersi autonomamente punibile, ove rientrante in una della fattispecie di reati di falso (in questo senso la sentenza delle Sezioni unite, ric. Carchivi, cit.).
Ciò posto, deve ribadirsi, in conformità alla giurisprudenza di legittimità di gran lunga prevalente, avallata dalla recente sentenza delle Sezioni unite sopra richiamata, che il reato di cui all’art. 483 c.p. è assorbito nella fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p., trattandosi di reato complesso ex art. 84 c.p., e non valendo, proprio per tale motivo, il rilievo della diversità del bene giuridico tutelato dalle due norme, dato che in ogni reato complesso si ha per definizione pluralità di beni giuridici protetti, a prescindere dalla collocazione sistematica della fattispecie incriminatrice.
E’ appena il caso di notare come a tale conclusione debba pervenirsi anche nella ipotesi in cui, per il non superamento della soglia minima del valore economico del contributo o della erogazione, sia configurabile una mera violazione amministrativa, perchè rientra nelle valutazioni discrezionali del legislatore la scelta della natura e qualità delle risposte sanzionatorie a condotte antigiuridiche, e quindi l’assoggettabilità dell’autore, in una determinata fattispecie, a sanzioni amministrative, pur se frammenti di queste condotte, ove non sussistesse la fattispecie complessa, sarebbero sanzionabili con autonomo titolo di reato, dovendosi fare applicazione anche in questa ipotesi del principio di specialità intercorrente tra fattispecie penali e violazioni amministrative stabilito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9.
Consegue il rigetto del ricorso.
Il ricorso del Procuratore generale della Corte di Appello di Cagliari, sez. dist. di Sassari, è inammissibile.
La trasmissione degli atti all’autorità amministrativa per i provvedimenti di sua competenza a norma dell’art. 316 ter c.p., comma 2 è adempimento meramente esecutivo che non deve necessariamente trovare collocazione nella sentenza liberatoria che definisce il procedimento penale (v. Cass. Sez. 6^, 21 giugno 2004, Mele; Id., 16 gennaio 2007, Demartis).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania.
Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Cagliari, sez. dist. di Sassari.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2007

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2007.
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Giovedì, 11 Ottobre 2007
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