di Sandro De Riccardis Scuotono le notti con il rombo dei loro motori truccati, poi sfrecciano
sulla strada come su una pista e trasformano le curve d’asfalto nelle chicane
di un circuito, e i semafori lampeggianti di giallo in un nuovo rischio per
altra adrenalina.
Si sfidano nelle notti calde d’estate e nei week-end d’autunno. Lasciano
rombare i motori degli Enduro Husqvarna e delle Yamaha 600, delle Mini e delle
Ferrari. Come cani rabbiosi al guinzaglio prima di lanciarli nella sfida, in
fondo a una notte folle a quasi 280 chilometri orari. Come l’Obelisco dell’Eur
nelle notti romane di "Velocità Massima" - il film di Daniele Vicari
che racconta le corse clandestine della capitale e la psicologia di chi
partecipa - il cavallo di Leonardo guarda da dietro i cancelli dell’ippodromo
il popolo milanese delle gare illegali. Ragazzi capitati per caso e altri
arrivati grazie al tam tam dei messaggi cifrati negli sms. Fidanzate e
compagnie di amici, scommettitori e appassionati che dopo essersi incontrati ai
"Cinque Anelli" e alla Yamaha di via Fratelli Bozzi, due templi del
motociclismo in via Novara, collaudano i loro cavalli d’acciaio sul circuito
d’asfalto della periferia. Poi le moto partono e macinano ogni secondo sempre
più metri. Da via Caprilli fino a piazzale Lotto, quindi il salto dall’altro
lato della circonvallazione senza rallentare all’incrocio, poi a ritroso fino
all’Ippodromo.
«In tre secondi arrivano a cento chilometri orari - racconta un ragazzo che
abita in un palazzo del quartiere - . Ho provato a prendere i numeri di targa,
ma ogni volta che mi accorgo della gara, loro sono già lontani. Sfrecciano
sotto le mie finestre e spariscono. Poi ritornano dopo pochi minuti». A nord,
le chicane delle strade intorno all’ippodromo; a sud i chilometri senza curve
di rettilinei lunghissimi. Quelli di via Novara, via San Giusto e via Harar. Da settimane, ogni notte che il sonno dei residenti va in frantumi, loro
registrano gli orari delle corse, cercano di catturarne la targa e distinguere
i modelli di moto e auto, come «quando in via Novara appare dal nulla una
Ferrari rossa che fa un rumore simile a un tuono: di notte gareggia con
un’altra auto nera di analoga potenza». Dalle villette dei viali o dalle case
popolari, i veicoli appaiono come proiettili coloranti che bucano il tempo e
scompaiono nel buio. Su percorsi che hanno mille variabili, perché ogni volta
varia il numero dei partecipanti, la durata delle gare, la voglia di rischio e
il gusto di spostare il limite un po’ più in là. Puoi partire dall’ippodromo e
andare direttamente a Lotto, oppure dal piazzale dello Sport imboccare la
vietta a sud e percorrere tutta via Palatino.
«Lo fanno in contromano, con un altissimo rischio di incrociare un’auto. In
questo modo però arrivano subito in via Ottoboni, parallela a via Caprilli, e
da via Caprilli sfrecciano di nuovo in direzione dell’Ippodromo». E a sud, i
residenti vedono «irresponsabili percorrere in cinque secondi il rettilineo di
450 metri di via Novara tra piazza Sant’Elena e via San Giusto, o quello di 400
metri di via San Giusto, tra via Novara e via Harar. Con un livello di rischio
che solo chi ha bevuto o si è drogato può assumersi». Strade lunghe a
sufficienza per una sfida, ma che spesso diventano parti di un circuito unico.
«A volte, invece, preferiscono proseguire su via Novara verso piazza Amati oppure
verso l’ospedale San Carlo».
A San Siro si corre da sempre. Come in viale Fulvio Testi, viale Famagosta, via
Palmanova. Si corre e si muore. E quando qualcosa va storto il pubblico
scompare, i centauri sfrecciano via, e resta una povera vita accartocciata tra
le lamiere di un auto o sbalzata lontano dal sellino di una moto. Come un
incidente normale. Quando il motore si spegne e il contagiri si placa, resta
sempre il nome di un ragazzo scritto sul muro a spruzzi di spray, intorno a
frammenti di ricordi. «Eri veloce, forte, ma il signore con te non è stato un
gran signore», hanno scritto gli amici di Andy, morto all’incrocio tra via
Caprilli e via Palatino, un giorno di giugno del 2003.
«Il signore non ti ha dato la rivincita» hanno lasciato vicino ai fiori e agli
adesivi del numero 46, come quello di Valentino Rossi, incollato sulla
ringhiera. «Un altro altarino è all’angolo con via Odescalchi» segnala un altro
residente. Anni di vittime e di lettere. «Tutto resta uguale. Quando ci sono le
sfide i teppisti se ne infischiano delle proteste, si comportano in modo
arrogante, anche perché le forze dell’ordine non intervengono. Le chiamate
vengono considerate "per disturbo alla quiete pubblica". E ci
rispondono che al momento in città ci sono altre priorità».
17 ottobre 2007 Da Repubblica.it
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