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News 19/10/2007

Due poliziotti protagonisti della giornata più lunga di Reggio Emilia
Pronti ed efficienti, hanno evitato ulteriori morti nel Tribunale trasformato in poligono

Per noi Stefano e Fabio, agenti della Questura reggiana, sono eroi
Siamo orgogliosi perché sono anche soci Asaps

Uno dei feriti viene soccorso davanti al tribunale e trasportato al pronto soccorso. Foto Quotidiano.net

(ASAPS) REGGIO EMILIA, 19 ottobre 2007 – Cos’è la paura? Cos’è la tensione che cresce all’improvviso, il cuore che sale in gola alla velocità di una palla verso il vivo di volata di un cannone? Cos’è il silenzio della quotidianità, della giornata che pensi di poter concludere come quella precedente, quando all’improvviso un colpo, fragoroso, azzera i tuoi pensieri, che sono quelli di un essere umano qualunque, con il diritto di tutti ad avere paura ma col dovere che deve per forza avere il sopravvento, per via di quel valore aggiunto che, in questi frangenti, fa la differenza?
La giornata più lunga di Reggio Emilia comincia con un autunno che non vuole arrivare, con il sole ancora caldo che pare infondere voglia di vivere e fiducia già al mattino e che non ti costringe a girare intabarrato con la sciarpa e coi guanti.
Martedì è una giornata difficile per Vjosa, una ragazza albanese scappata da Durazzo nel 2001 insieme al fidanzato di una vita, Clirim. Scappano dal paese delle aquile per tentare la fortuna in Italia, dove si rifanno una vita, dove lavorano e dove crescono due figlie.
L’inizio, forse, non è stato nemmeno male, ma Clirim diventa violento, la minaccia, la picchia. Dopo i pianti, la ragazza trova il sostegno di un’associazione coraggiosa, che si chiama “Nondasola” e che l’aiuta a ricominciare una volta di più, a mettersi al riparo dai cazzotti e dalla paura.
Resta l’ultimo ostacolo, “la burocrazia”, spietata perché costringe le persone a rivedersi, stavolta nell’aula di un tribunale, per disdire il contratto sottoscritto davanti agli uomini quando l’amore sembrava eterno, quando la vita pareva non poter avere fine. Volano le parole grosse, lo sguardo diventa minaccioso, il buio cala sull’umanità dell’uomo che un giorno l’aveva ammaliata, facendola innamorare e costringendola a pronunciare un “sì” che la condannò a morte.
Il boia decide di eseguire la sentenza, e dalla cintola prende una pistola. Ecco la paura, il terrore, la certezza di essere rimasti soli mentre dalla canna l’arma sputa il fuoco. Il rumore non lo senti, quando arriva così all’improvviso. Ti fischiano le orecchie, diventi sordo e senti solo il cuore che batte in gola. Il caricatore finisce alla svelta: la prima ad essere colpita è lei, Vjosa, al torace ed al collo, e stramazza a terra senza riprendere conoscenza. Poi tocca all’avvocato della donna, Giovanna, raggiunta alla spalla senza gravi conseguenze, ed al cognato, Arjan, che tenta una disperata reazione, finendo con l’essere abbattuto.
Clirim ha sparato davanti alle due figlie, 12 e 16 anni, che restano impietrite, orfane nel giro di pochi secondi. La fuga del pazzo si conclude davanti a Stefano Marcaccioli e Fabio Stella, due poliziotti della Questura (Commissariato S.Lazzaro di Reggio Emilia), che erano in un’aula vicina.
Se lo trovano davanti mentre inserisce un altro caricatore nel serbatoio della 7,65. Quando vedi un uomo con la pistola, finisce che non ci credi. Lavori una vita, portando in fondina una Beretta da guerra, ma in fondo è come se fosse un inutile ammennicolo. È lì, la tieni oliata, la chiudi nel cassetto, spari al poligono un paio di volte l’anno e poi sfotti il collega che ha messo un colpo fuori sagoma. Clirim vuole portare a termine la sua missione, che è quella di uccidere più che può. Ormai ha saltato il fosso e ci prova. Tira il grilletto e la canna rincula di nuovo, colpisce Stefano ad un ginocchio, che cade quasi subito, mentre Fabio estrae e spara. Il cuore rimbomba in gola, il sangue scorre, le grida si fanno più lontane ed il silenzio torna padrone. È finita. Si aprono i tiggì, rullano i tamburi della polemica, si freme per il destino di Vjosa, che si avvia alla morte cerebrale dopo un disperato intervento chirurgico. Mentre tutti si chiedono come un uomo possa entrare armato nell’aula di un tribunale, le due bambine vengono portate in un centro di prima accoglienza, in attesa di essere affidate ai parenti.
Stefano viene portato in ospedale, insieme agli avvocati colpiti dalle stesse pallottole. Fabio consegna la sua arma alla scientifica, mentre il procuratore della città si congratula con lui. Stefano e Fabio non sono nomi nuovi, per noi: un controllo negli schedari ed arriva la conferma. Sono soci dell’Asaps e dunque sono nostri amici. Ma sono anche i nostri Eroi, perché hanno vinto la paura ed hanno dimostrato di avere quel valore aggiunto che a volte fa la differenza e che tutti definiscono con un sostantivo di derivazione latina: “coraggio”. Viene dal cuore e si vede. Stefano potrà usufruire della nostra piccola assicurazione, un piccolo ristoro per una ferita che lo proverà duramente. (ASAPS)

© asaps.it
Venerdì, 19 Ottobre 2007
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