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Corte di Cassazione 22/10/2007

Giurisprudenza di legittimità - Falsità in atti - In scrittura privata - Falsificazione integrale della polizza e del contrassegno assicurativo - Impedimento all’instaurazione del rapporto assicurativo - Inidoneità lesiva della condotta - Insussistenza del reato - Falsità in scrittura privata - Sussistenza

(Cass. Civ., sezione II, 22 marzo 2007, n. 12210)

Giurisprudenza di legittimità
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
Sezione II, 22 marzo 2007, n. 12210

In tema di reato di frode in assicurazione, l’in­tegrale falsificazione della polizza e del contrasse­gno assicurativo, siccome impedisce l’instaurazio­ne del rapporto tra l’autore della condotta tipica e la compagnia di assicurazione, rende l’azione ido­nea a ledere il bene protetto dalla norma incriminatrice, potendosi però configurare, in ordine a tale condotta, il delitto di falsità in scrittura privata.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con sentenza in data 21 ottobre 2005, il Giudice per le indagini preli­minari del Tribunale di Torre Annunziata, investito della richiesta di emissione di decreto penale di con­danna nei confronti di C. E. imputato del reato di cui all’art. 642 c.p. per avere formato, al fine di conseguire il vantaggio consistente nel far circolare l’autovettura tg. BS B0996l, una falsa polizza assicu­rativa con relativo contrassegno apparentemente emessa dalla compagnia assicurativa Reale Mutua, in Sorrento il 31 ottobre 2003, pronunciava sentenza di assoluzione nei confronti di C. E. perché il fatto non è previsto come reato.
Il Gip riteneva che il delitto di cui all’art. 642, come sostituito dall’art. 24 della legge n. 273/02, presuppone che tra soggetto agente e persona offesa sus­sista un valido contratto di assicurazione in quanto l’azione è qualificata dal dolo specifico rappresentato dalla finalità di ottenere il risarcimento del danno o co­munque un vantaggio derivante da un contratto di as­sicurazione (finalità conseguibile nel caso di falsifica­zione attraverso il concorso necessario con l’assicuratore in danno della compagnia). Nel caso non esisteva alcun contratto e l’azione dell’imputato era finalizzata esclusivamente a consentire la circola­zione del veicolo senza incorrere in sanzioni di tipo amministrativo. Era quindi configurabile il solo reato di cui all’art. 485 c.p. per la falsificazione del ta­gliando di assicurazione e della polizza relativa.
Contro tale decisione ha proposto tempestivo ri­corso il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Napoli che ha denunciato erro­nea applicazione della legge penale al rilievo che la nuova formulazione ha previsto un’ulteriore ipotesi di dolo specifico, costituito dalla finalità di ottenere «co­munque un vantaggio derivante dal contratto di assi­curazione» e ampliato le condotte punibili con l’inclu­sione della falsificazione o alterazione della polizza o della documentazione richiesta per la stipulazione di un contratto di assicurazione. L’integrale falsificazione della polizza e del relativo contrassegno nel caso in esame è finalizzata a conseguire il vantaggio deri­vante dalla possibilità di esibire ed esporre una coper­tura assicurativa derivante dal falso contratto di assi­curazione. Il legislatore ha infatti previsto due condotte diverse: l’alterazione, che presuppone l’esi­stenza di una polizza; la falsificazione integrale che presuppone l’inesistenza di una valida ed efficace po­lizza.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il ricorso è infondato.
Ed invero la nuova formulazione dell’art. 642 c.p., conseguente alla modifica introdotta dall’art. 24 della legge 12 dicembre 2002 n. 273 (lasciando inalterata l’intitolazione), ha ampliato il novero delle condotte penalmente rilevanti aggiungendone (per quel che attiene alle ipotesi disciplinate al comma l, che qui rileva), a quelle di distruzione, deterioramento, disper­sione ed occultamento delle cose, altresì la falsifica­zione o l’alterazione della polizza o della documenta­zione richiesta per la stipulazione del contratto di assicurazione. Inoltre ha ulteriormente qualificato il dolo specifico, aggiungendo alla finalità del consegui­mento del prezzo dell’assicurazione anche quella del conseguimento di un vantaggio derivante dal contratto di assicurazione.
Il reato in esame, definibile come di frode in assi­curazione, conserva la sua struttura di delitto a consu­mazione anticipata, che si perfeziona con il compi­mento dell’azione fraudolenta, perché prescinde dal verificarsi dell’evento, tanto è vero che il consegui­mento dell’intento (come nell’originaria formula­zione) costituisce circostanza aggravante (comma 2).
Il bene protetto è sempre di natura patrimoniale, sia per la collocazione sistematica sia perché il dolo specifico è caratterizzato, anche nell’ipotesi del van­taggio, dal collegamento con un rapporto di tipo pri­vatistico quale è un contratto di assicurazione (senza alcuna specificazione in relazione al tipo di assicu­razione e, per quel che nel caso rileva, di assicura­zione obbligatoria per responsabilità civile verso terzi derivante dalla circolazione di veicoli). In con­seguenza il bene protetto è riconducibile al patrimo­nio dell’assicuratore, quale soggetto privato-persona offesa.
Ne consegue che nel caso in cui, come quello in esame, non esiste un contratto di assicurazione, perché l’integrale falsificazione della polizza e del contrasse­gno non ha determinato alcun rapporto tra l’autore (o l’utilizzatore) del documento falsificato e la compa­gnia di assicurazione, il reato in parola non è configurabile, per l’inidoneità dell’azione a ledere il bene pro­tetto. Ed invero il vantaggio, che finalisticamente è collegato all’azione della falsificazione, è quello deri­vante dalla circolazione senza copertura assicurativa (cfr. in senso conforme, sia pure per la diversa contestazione di tentata truffa, Cass., sez. II, 3 dicembre 2006 n. 34179) e quindi del tutto eccentrico rispetto a quello preso in considerazione dal legislatore, che lo collega all’esistenza di un contratto di assicurazione (perché il vantaggio deve essere «derivante» da un contratto di assicurazione).
La dottrina più avvertita (alla quale la sentenza im­pugnata si è richiamata) ha ritenuto che l’ipotesi nuova di frode in assicurazione (quella cioè caratterizzata da condotte di falso) presuppone necessariamente il con­corso dell’assicuratore in danno della compagnia. Ed invero non è dato vedere come possa essere diversa­mente messo in pericolo il bene giuridicamente pro­tetto.
Non è quindi condivisibile la diversa conclusione alla quale il P.G. ricorrente (e alcuni commentatori) pervengono, partendo dal presupposto che la condotta di falsificazione oggetto di tutela abbia come destina­tari (vittime della «messa in scena») gli organi addetti alla vigilanza dell’adempimento dell’obbligo di assi­curazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli. Si è già rilevato che la norma ha come oggetto di tutela non tanto il rapporto di as­sicurazione c.d. obbligatorio, ma qualsiasi rapporto as­sicurativo, e non (soltanto) la pubblica fede ma il bene di natura patrimoniale riconducibile alla compagnia di assicurazione.
A conforto di tale conclusione va rammentato che nella relazione al disegno di legge governativo veniva evidenziato che «finalità della norma è quella di pre­vedere specifiche sanzioni per coloro che si rendono responsabili di fenomeni fraudolenti ai danni di com­pagnie di assicurazione», finalità sempre ribadita (an­che nelle successive modifiche del testo originaria­mente presentato dal Governo) nel corso della discussione parlamentare Esattamente la sentenza impugnata, a conclusione della valutazione di merito (non oggetto di sindacato in questa sede) secondo la quale sulla scorta delle indagini effettuate la condotta ascrivi­bile all’imputato era quella di concorso nella falsi­ficazione del contrassegno e della polizza (e non di ricettazione di modulistica falsificata), ha affermato che nel caso in esame potrebbe configurarsi il delitto di cui all’art. 485 c.p. perché la condotta è consistita nella materiale falsificazione di tali documenti, in perfetta aderenza quindi con la consolidata interpre­tazione giurisprudenziale (cfr. Cass., S.U., 24 aprile - 11 maggio 2002 n. 18056) la quale ha stabilito che: «i certificati rilasciati da persone esercenti un ser­vizio di pubblica necessità sono atte stazioni private qualificate di una particolare rilevanza pubblica, che ne giustifica la tutela anche contro la falsità ideolo­giche, punite a norma dell’art. 481 c.p.»; «l’attività di assicurazione contro i rischi della responsabilità civile nella circolazione dei veicoli e dei natanti rientra tra i servizi di pubblica necessità, essendo così qualificata dalla legge 24 dicembre 1969, n. 990, che prevede come obbligatoria la stipulazione dei relativi contratti sia per gli utenti delle pubbliche strade sia per le imprese di assicurazione autoriz­zate». Il ricorso deve in conseguenza essere rigettato.


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Lunedì, 22 Ottobre 2007
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