![]() Foto Blaco Il prefetto
deve ascoltare il trasgressore prima di emettere l’ordinanza ingiunzione che
segue al mancato accoglimento di un ricorso stradale. Inoltre ha il dovere di
sottoscrivere l’atto sanzionatorio di suo pugno. Questa regola, ultimamente
ribadita dalla Cassazione con la sentenza 4861/2007, mette al centro del
sistema il contravventore ed il suo diritto di difesa a scapito della
speditezza della macchina burocratica. Inutile dire che la vicenda parte da un
verbale per velocità, tra le migliaia che gli organi di controllo stradale
della Capitale recapitano ogni anno al domicilio dei tanti trasgressori. E
spesso, complice una giurisprudenza piuttosto ballerina, proprio contro questo
tipo di rilevazione sono frequenti, per ovvi motivi, i ricorsi alla giustizia
ordinaria oppure al prefetto: la sanzione è elevata, i punti un vero guaio
perderli ed alla fine l’opposizione davanti al giudice di pace non costa
proprio nulla. Il nostro trasgressore romano, però, probabilmente sicuro del
fatto suo, aveva scelto la strada più impervia e, pur rischiando di pagare il
doppio della sanzione in caso di insuccesso, ha fatto ricorso al prefetto, che
però gli ha dato torto. Così, senza troppi convenevoli, in luogo della sperata
archiviazione, aveva ricevuto un’ordinanza ingiunzione, atto oltre il quale -
salvo ulteriore ricorso al giudice - resta solo la riscossione coatta. La
speditezza del procedimento, però, a sommesso avviso del trasgressore,
tralasciava qualcosa d’importante che, peraltro, aveva a che fare col suo sacrosanto
diritto di difesa. Secondo lui, infatti, a mente degli artt. 18 comma 2 e 23
della legge 689/81, 204 del D.lgs. 285/92, prima di decidere, il prefetto
avrebbe dovuto convocarlo per sentirne le ragioni, così come aveva richiesto.
Oltretutto, si era consumata a suo danno una antipatica beffa: sull’atto
di ingiunzione, infatti, era stampigliata in maniera preconfezionata una
formuletta di stile che dava per garantito proprio ciò che la prefettura aveva
omesso di assicurare durante l’istruttoria, cioè la convocazione del
trasgressore. Non solo, ma a proposito di snellezza della burocrazia,
l’ordinanza ingiunzione, invece che dal prefetto, era stata firmata da chissà
chi, ad onta della rigida disciplina che regola la materia. Snobbato due volte,
il trasgressore romano decideva di giocarsi un’altra briscola, portando la
questione avanti al giudice di pace. Beh, sorprendetevi se volete, ma il
giudice gli ha dato torto. Eppure si parlava di diritto di difesa, pur
tuttavia, anche se in maniera mediata, si questionava sull’autovelox: due
materie “ghiotte” per la giurisprudenza onoraria, spesso alquanto creativa su
certi argomenti. Ma qui il giudice si è allineato all’autorità amministrativa
validandone l’operato e rigettando, conseguentemente, il ricorso. Per quanto
concerne la doverosa audizione, a sopire le proteste del ricorrente era bastata
la prova (indiretta) dell’avvenuto invito, risultane da una apposita notazione
- sia pure prestampata - sul provvedimento di ingiunzione. In ordine alla
firma, poi, il giudice ha negato che dovesse essere necessariamente vergata dal
prefetto in persona, poiché non poteva recarsi in dubbio che l’atto provenisse
dall’Ufficio Territoriale di Governo competente per territorio. L’ultima
parola, infine, con piena soddisfazione del ricorrente è giunta dalla
Cassazione cui il trasgressore ha fatto ricorso con a speranza di rimettere
ordine nella questione. La sentenza (1 marzo 2007, n. 4861) si diffonde per
poco più di una paginetta, articolando un ragionamento lineare su tutti e due i
punti contestati. Punto primo: il giudice di pace ha sbagliato avendo dato per
scontato che l’invito per l’audizione fosse stato regolarmente recapitato al
trasgressore. Non bastava rilevare che nell’ordinanza ingiunzione, con una
formula di stile, si menzionasse questo adempimento. A fronte della
contestazione sollevata dal trasgressore, invece, incombeva sulla P.A. l’onere
di provare che il ricorrente era stato all’uopo convocato; e che la
convocazione fosse pervenuta a conoscenza del medesimo. Quindi, in giudizio, la
prefettura avrebbe dovuto esibire la ricevuta della raccomandata, oppure una
relata di notifica con tanto di sottoscrizione del ricevente, insomma un mezzo
certo di conoscenza a fronte del quale, se il trasgressore non si fosse
presentato ne avrebbe dovuto accettare le conseguenze negative. Invece, non
solo la P.A. non aveva allegato prove in giudizio, ma non aveva nemmeno in
alcun modo indicato i motivi che avevano determinato la sua convinzione
dell’avvenuta convocazione del trasgressore. Vale peraltro la pena di
ricordare, che l’obbligo di audizione da parte di chi ne abbia fatta preventiva
richiesta è ribadito dallo stesso Mistero dell’Interno con circolare M/2413-10
dell’8 maggio 2001. Tanto per rispolverare la disciplina, ricordiamo che - per
conferire la massima importanza al diritto di partecipazione del trasgressore -
l’audizione può essere effettuata sia prima che dopo la ricezione delle
deduzioni tecniche provenienti dall’organismo di polizia che ha proceduto.
Anzi, in questo modo, è stato osservato (G. Protospataro, 2007) il prefetto può
ascoltare le doglianze del ricorrente senza essere condizionato dalle deduzioni
dell’accertatore. Sulla obbligatorietà dell’audizione del ricorrente che ne
abbia fatto richiesta, del resto, la Cassazione era già intervenuta (sen.
7.10.1996, n. 8758), stabilendo che l’omissione costituisce violazione di legge
tale da rendere illegittimi il procedimento e, conseguentemente, l’ordinanza
ingiunzione. Sul fatto che la mancata audizione produca una nullità insanabile,
del resto, la Corte non ha mai lasciato adito a dubbi (Cass. civ. sez. I, sent.
4.4.1990, n. 2792; Cass. civ. sez. I, sent. 16.5.1990, n. 4266; Cass.
civ. sez. I, sent. 24.8.1998,
n. 8408). Infine, il Ministero dell’Interno, con la direttiva già citata datata
2001, ha rammentato ai prefetti, tanto il carattere essenziale dell’adempimento
di cui trattasi (che mira alla definizione della lite in via amministrativa),
quanto l’insanabilità del relativo vizio di procedimento che, come poi
sottolineerà anche la Cassazione (sent. 21.7.2004, n. 13505), è rilevabile
d’ufficio dal giudice dell’opposizione. Nel caso dell’automobilista romano, il
giudice di pace, non solo non aveva rilevato d’ufficio la mancata audizione, ma
addirittura non aveva acquisito in giudizio la prova dell’adempimento da parte
dell’amministrazione chiamata in causa proprio su questo vizio di forma di
sostanza insieme. Secondo punto: la firma avrebbe dovuto essere apposta dal
prefetto. Il Giudice di Pace, infatti - rileva la Cassazione - non ha tenuto
conto che la legge, attribuendo il potere di emettere l’ordinanza-ingiunzione
al Prefetto (art. 204 C.D.S.) consente, in caso di mancata sottoscrizione
autografa dell’atto da parte dello stesso, che essa possa essere effettuata da
persona abilitata per legge a sostituirlo, o da persona a ciò delegata da chi
ne ha il potere. È necessario, perciò, ai fini dell’imputabilità dell’atto al
Prefetto, che sia dichiarata l’esistenza del provvedimento che legittimi la
sostituzione e la provenienza del soggetto cui è stato attribuito il relativo
potere. Di conseguenza, in mancanza di detti elementi di forma ed in presenza
della contestazione di controparte, ove la dimostrazione non sia altrimenti
acquisita al processo, l’atto non può essere attribuito al Prefetto (Cass.
4425/94). Del resto che a firmare debba essere la predetta autorità è scritto
nelle stesse istruzioni del Ministero riprese poi dalla giurisprudenza di
legittimità. A sostituire il prefetto in questa pratica, senza necessità di
alcuna delega formale, può essere solo il vice prefetto vicario (Cass. n.
1522/1974; n. 209/1974; 464/1976). Ne discende, come già molta giurisprudenza
aveva indicato (Cass. 3031/87), che l’ordinanza ingiunzione emessa da un altro
vice prefetto (non vicario), oppure da un altro funzionario in assenza di
un’espressa delega, è radicalmente nulla per assoluta carenza di potere. In
sostanza, diritto di partecipazione e sicura provenienza dell’atto
sanzionatorio dal rappresentante locale del Governo, sono due garanzie irrinunciabili,
su cui la Cassazione non transige. da Il Centauro n.115 |
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