(ASAPS) 23 ottobre 2007 – La storia di Diego l’abbiamo
raccontata molte volte, parlando di sicurezza passiva, delle cosiddette morti inutili, della violenza che –
dolosa o colposa – imperversa sulle nostre strade. È una “storia”, appunto, che
andava raccontata, per onorare il sacrificio di un ragazzo di appena 24 anni,
orgoglio di suo padre, precipitato poco più di 9 anni fa dal viadotto Quercia
Setta, nei pressi di Marzabotto (Bologna), lungo il tracciato dell’Autosole.
Stava andando con gli amici all’Oktober Fest di Monaco, ma dopo aver percorso
una sessantina di chilometri da Campi Bisenzio (Firenze), l’auto sui cui
viaggiava restò coinvolta in un lieve incidente stradale. L’aggettivo “lieve”,
però, non si addice al finale – tragico – di quella “storia”. Diego, forse
cercando un riparo una volta sceso di macchina, scavalcò un guardrail,
precipitando nel vuoto. Finita la sua giovane vita, comincia l’odissea di un
padre, Sergio, che non si è dato pace. La sua forza di gigante, in un corpo a
prima vista minuto, non si è fatta accecare dal dolore. Le sue lacrime le ha
lasciate all’intimità della sua casa, tra le braccia di un altro figlio e della
moglie, dopo giornate passate negli uffici di un avvocato, di un giornalista,
di un giudice. Come un padre sopravvissuto al figlio, ha vagato, ma con uno scopo
ed una meta precisi. Ha scritto lettere, ha fondato un’associazione (www.unaretepernonmorire.org),
ha aderito all’Associazione Europea Familiari e Vittime della Strada, ha
organizzato convegni… E ciò che ha scritto un giudice, ieri, gli dà finalmente ragione.
Conferma che ciò che diceva lui, giardiniere, era vero e non poteva bastare un
assegno: gli serviva la certezza che il sacrificio del suo Diego non fosse stato
vano, voleva ribadire che il suo dolore non doveva essere inutile e,
soprattutto, che ciò che diceva era vero. Ora la
Giustizia gli dà ragione. All’italiana, però, visto che il
reato di omicidio colposo, con le attenuanti generiche del caso, è ormai
prescritto. Perdonateci, ma anche le parole hanno il loro significato: una
morte non si può prescrivere, il dolore non sparisce alla scadenza di un
termine prefissato e la lancetta di un orologio non lenisce la disperazione per
la perdita di un figlio. Tutto questo, lo scrive la Corte di Appello di Bologna
nella sentenza di secondo grado per l’omicidio colposo di Diego Cianti,
ribaltando così il verdetto assolutorio del Giudice monocratico di Porretta
Terme (Bologna), che aveva in un primo tempo scagionato per insufficienza di
prove l’allora direttore del Quarto Tronco autostradale, oltre a due tecnici
del tratto per non aver commesso il fatto. In Appello, invece, la verità è
un’altra: proprio a lui incombeva predisporre le protezioni e purtroppo “…la
mancata protezione degli spazi tra i viadotti – così hanno scritto i giudici –
comportò la responsabilità del dirigente più elevato in grado del tronco, anche
se all’epoca la normativa specifica non era ancora in vigore, per i principi
generali di prudenza e diligenza”. A partire dal mese di agosto 2002, l’Autosole ha le sue
reti e da allora, almeno in questo tratto, le morti
inutili non ci sono state più. Dunque, Sergio, la morte di Diego non è stata affatto inutile. Molte altre, forse, lo sono
state, a causa del silenzio calato subito dopo, per l’incapacità di chi restava
di trovare la forza di mettersi al servizio degli altri e, con umiltà, cercare
di far cambiare qualcosa, fosse anche solo “idea”. È vero, è una Giustizia di carta, ma non è una Giustizia a
metà. Un verdetto è stato scritto, e quando ciò accade non è per “cancellare”
gli errori, non è per “tacere”. È per riconoscere, semmai, è per “affermare”. Di questo,
puoi esserne fiero: hai trasformato la morte di tuo figlio in vita degli altri,
che non sapranno mai di essere stati salvati dalla tua forza e dalla tua
caparbietà, poliziotti compresi. Di questo, stanne certo, ne è fiero anche lui, il tuo
Diego. (ASAPS)
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