Sabato 02 Novembre 2024
area riservata
ASAPS.it su
Articoli 30/10/2007

Ahmetovic, il killer stradale, diventa personaggio televisivo (a pagamento)
“Non fate come me”: un appello di cui non si sentiva il bisogno

Un appello vero, forse, lo lancerebbero i 4 poveri ragazzi: “Non fate finire altri come noi, per colpa di incoscienti carnefici affogati nell’alcol” Ma che Paese è questo che celebra i criminali e non le giovani vittime!

La prima pagina di ieri (27 ottobre 2007) del Quotidiano Nazionale

(ASAPS) - Che il killer vada sempre di moda, ce n’eravamo accorti da un pezzo. C’è una sorta di fascino perverso che ci attira, anche se non lo ammettiamo, e che ci spinge a cercare sui motori di ricerca, a spulciare le cronache di qualche noir italiano, che porta l’uomo della modernità attuale ad appassionarsi tra il colpevole e l’innocente.

Nella fioritura dei thriller della strada, che solo la nera e la giudiziaria possono al momento veicolare, spicca il viso familiare di Marco Ahmetovic, ritratto con un bel paio di occhiali da sole, una t-shirt aderente che risalta sul fisico minuto e che maneggia un telefono cordless da 9 euro e 90.

Ahmetovic ha ammazzato quattro ragazzi, senza nemmeno sceglierli tra una lista di potenziali bersagli, come fanno i serial killer, così inspiegabilmente attraenti nel panorama criminale.

Alla guida del suo furgone, ubriaco fradicio, li ha semplicemente travolti ed uccisi, senza un movente classico, senza nemmeno volerlo direttamente. È un delitto assurdamente stupido, che sembrava aver attirato qualche attenzione solo per il fatto che le vittime erano quattro, tutte giovanissime, e che al volante del furgone che le ha travolte ci fosse un rom.

Così le telecamere hanno ripreso una caserma assediata al momento dell’arresto, hanno documentato le minacce giunte all’avvocato difensore, al pubblico ministero ed al giudice. Hanno aspettato il giorno del processo per filmare l’atteso linciaggio, scongiurato dal cordone di poliziotti e carabinieri, e poi hanno chiuso il collegamento quando l’udienza si è tolta, con una condanna esemplare per il nostro ordinamento giudiziario (ma irragionevolmente mite per poter dire giustizia è fatta).

Lui, imputato di un delitto commesso e documentato in flagranza, si è beccato 6 anni e mezzo, da trascorrere ai domiciliari. Probabilmente, tra qualche mese, l’illustre sconosciuto – che ora non lo è più – tornerà libero di fare tutto quello che ha sempre fatto. È così che si esplica la funzione rieducativa della pena?

Oppure, se il personaggio piace, ce lo vedremo apparire in televisione ad invitare i giovani a non fare ciò che ha fatto lui, chiamato ad esempio di ravvedimento – non certo operoso – per riempire le tasche di un agente pubblicitario che ha visto, in questo thriller della strada, il modo di tirare su qualche quattrino, magari cercando pure di dare ad un sanguinoso gossip l’alone di un messaggio sociale da dispensare ai giovani.

Insomma, Marco Ahmetovic è pentito di ciò che ha fatto, vuol scrivere le sue memorie (per venderle), vuol mostrarsi per quello che è (con foto da piazzare) e vuole – per l’interposta persona del proprio agente – rendere un servigio alla società prestando (a pagamento) il suo volto ad una campagna sociale del tipo “non fate come me”.

Eh no, questa proprio non deve passare. Semmai bisognerebbe lanciare un virtuale appello dei poveri quattro ragazzi: “Non fate finire altri come noi, per colpa di incoscienti carnefici affogati nell’alcol...”

Marco Ahmetovic è “ristretto” agli arresti domiciliari (?) per aver ucciso 4 persone e gli si consente di dare pure spettacolo?

Di più: gli si permette di lucrare su ciò che ha fatto, rendendo alla fine “conveniente”, per lui, aver sterminato una compagnia di amici?

Riflettiamo: prima del 23 aprile 2007, Ahmetovic era semplicemente uno sconosciuto, con qualche grana giudiziaria (le sue impronte digitali sarebbero state rinvenute su un’auto fuggita ai Carabinieri dopo una rapina), afflitto da etilismo cronico, senza il becco di un quattrino.

Poi, uccide.

In un colpo solo, in quel mattatoio che è la strada, condanna a morte Eleonora (19 anni), Danilo (17 anni), Alex e Davide (entrambi di 16) ed esegue la sentenza sul posto. Si becca una condanna leggerissima e diventa anche ricco per raccontare come ha fatto?

Ma che paese è questo? Che razza di paese può mai essere quello che vede costruire villaggi con le parabole televisive attorno alla scena di un crimine, che investiga mettendo sotto pressione gli inquirenti, che inquina le indagini millantando fonti, citando informatori, ricostruendo negli studios le personalità dei killer già condannati prima di un processo (che non potrà mai essere giusto)? In che razza di epoca viviamo se, per diventare famosi, si può anche uccidere?

Perché a nessuno interessa ricordare, invece, Eleonora, Danilo, Alex e Davide e raccontare le loro storie, portare le loro vite stroncate nei salotti della televisione? Perché non citare loro ad esempio di ciò che può accadere, invece di arricchire chi vuole insegnarci quello che già sappiamo: che è un omicida e che ha ucciso quattro ragazzi. Sappiamo anche come e perché.

Che cosa vogliono ancora, Ahmetovic ed il suo agente, da noi?

Siamo così smarriti da dover necessariamente riempire il vuoto dei valori – dei quali sentiamo la necessità – con dei personaggi a casaccio? Oppure c’è un meccanismo perverso che decide per noi cosa adorare, cosa comprare, cosa leggere?

Basta con le domande. L’Italia è un paese che ha fondato il mondo, ne ha creato in larga parte le basi. Basta ragionare.

No Marco Ahmetovic, il tuo esempio non ci piace, non lo vogliamo. Torna nell’ombra e lascia che sbattiamo in prima pagina chi vogliamo noi. La tua storia ci fa schifo, oltre che paura, e non è per un fatto personale. È una questione di causa ed effetto: la causa della morte di quattro ragazzi sei tu e l’effetto lo possiamo capire benissimo da soli, senza l’intermediazione di un sistema idiota. Non ci servi tu, non ci servono le tue memorie. Se servono quattrini, a te ed al tuo agente, trovatevi un lavoro vero. (ASAPS)

Per Asaps

Giordano Biserni

Lorenzo Borselli


Giordano Biserni e Lorenzo Borselli

Martedì, 30 Ottobre 2007
stampa
Condividi


Area Riservata


Attenzione!
Stai per cancellarti dalla newsletter. Vuoi proseguire?

Iscriviti alla Newsletter
SOCIAL NETWORK