Nella foto sopra,
l’arrivo delle auto della Polizia per lo sgombero del campo nomadi di Tor di
Quinto, dove è stato catturato il rom che ha tentato di uccidere Giovanna
Reggiani, ora in fin di vita. L’immagine sotto, documenta quello che tutti
sanno: nei campi rom si vive spesso di furti: la plastica blu riveste cavi
elettrici, di rame, oggi il business prevalente degli zingari (foto Ansa)
(ASAPS) 2 novembre 2007 – È l’Italia del giorno dopo,
quella della perenne emergenza, che si rincorre sempre, sul filo di lana, con
le proprie magagne. Peccato poi che arrivino prima loro, le magagne, e allora
al governo – di qualsiasi colore esso
sia – si accorgono di aver tirato (mollato?) troppo la corda, di aver lasciato
il paese a sé stesso. Microcriminalità, si chiama, ma a conoscerla – se non ci
fosse il risvolto tragico e drammatico di chi subisce i reati (la brava gente
come la povera signora Giovanna Reggiani) – verrebbe quasi da sorridere.
Qualche anno fa c’erano i nordafricani, con i loro spacci di hascisc ed eroina
nelle piazze di tutta Italia, quelle storiche e quelle degradate; erano tempi
nei quali i “neri-neri”, i senegalesi ed i nigeriani, quelli che passavano
sulla spiaggia a vendere accendini e kleenex, o al massimo qualche bel vestito,
vennero bollati con l’appellativo (più epiteto, a dirla tutta) di “vucumprà”. Poi venne il giorno degli albanesi, e allora si accesero i
primi allarmi per gli assalti alle ville, le violenze alle loro stesse donne –
fatte venire in Italia per prostituirsi – ed ora è la volta dei romeni, che
sembrano aver assunto una sorta di monopolio nella criminalità più cruenta. Da anni, sulle autostrade, vediamo autobus che arrivano a
frotte: intere compagnie di trasporto pubblico sono sorte dal nulla,
ingrandendosi a dismisura, e se una
decina di anni fa i pullman in arrivo dalla Romania erano vecchi e scassati,
oggi i torpedoni col carrello per le masserizie sono a quattro stelle. Arrivano pieni e tornano in patria vuoti. È un po’ come se
l’Europa dell’Ovest fosse un po’ il loro Far West, ma qui non c’è più niente da
colonizzare. Arriva tanta brava gente, tantissima, che lavora a nero, riesce a
farsi assumere, realizza i propri sogni. Qualcuno trova il business e siamo
tutti contenti. Ma arriva anche tanta feccia, arriva anche gente cattiva,
che assalta case, violenta donne, si prende ciò che vuole a tutti i costi. I
Rom, poi, sono un classico. Da decenni cerchiamo di misurarci con loro in toni
politicamente corretti: gli abbiamo riservato interi casamenti popolari, ma
nella maggior parte dei casi subaffittano senza alcuno scrupolo ad altri
immigrati, preferendo restare ammassati nelle roulotte dei tanti – troppi,
diciamolo – campi nomadi che ogni grande città sembra dover fare per forza,
sottraendo terra alle necessità fisiologiche di centri sempre più grandi,
sempre più inquinati, sempre meno vivibili. Quei campi, no, non si possono toccare. Anzi, si devono
fare! L’italiano (o il turista) che si azzarda ad entrare con un
camper in una città d’arte viene immediatamente filmato, raggiunto e multato: e
deve pagare, altrimenti sono dolori, perché è l’era della cartella esattoriale. I nomadi, invece, sembrano fare quel che vogliono.
Arrivano, piantano le tende, nelle case vicine le serrature saltano, gli ori
spariscono, le auto ed i motorini prendono il volo. Se prendono una multa, non
pagano. Se un bambino di 5 anni viene pizzicato a rubare, nessuno lo sottrae alla
famiglia per garantirgli un’educazione vera ed un futuro da persona onesta.
Provate a farlo voi, coi vostri figli. Nessuno può dire loro niente, o perché non ci sono le
prove o perché vieni bollato per razzista. Non è così, gente, non è affatto così. C’è uno scontro di
culture, che l’ipocrisia del politically-correct finisce con l’ingigantire. Le leggi vi son – diceva Dante Alighieri
nella sua Divina Commedia – ma chi pon mano
ad esse? Riflettiamo: nella trasmissione radiofonica “Zapping” – in
onda su RadioUno – l’emergenza criminalità viene affrontata da un salotto di
intellettuali e giornalisti. Il conduttore, Aldo Forbice, riceve la telefonata
di un autotrasportatore romeno. Si vergogna, per l’esempio che danno i suoi
connazionali, ma non tutti sono delinquenti. Ha ragione. Poi pone un quesito:
quando col camion passa Tarvisio e si dirige verso la Romania, viene fermato e
controllato a ripetizione. Aldiquà delle Alpi, mai. Per forza che poi arrivano i delinquenti – questo il senso
delle sue affermazioni – qui si può fare quel che si vuole. Ha torto
l’immigrato romeno? Non è forse vero che essere fermati da una pattuglia, per
un normale controllo, è storia antica? Così tanto antica che quando capita,
quasi, vien da chiedersi se sia successo qualcosa di grave. Forse, riportare
qualche divisa in mezzo alla strada non farebbe poi tanto male: anche se l’età
media di poliziotti e carabinieri continua ad aumentare (si fanno sempre meno
arruolamenti), non sarebbe davvero sbagliato se il Pacchetto Sicurezza prevedesse
strumenti operativi veri e riconoscimenti a chi sceglie di stare fuori,
piuttosto che – a rischio zero – aspirare all’aria condizionata d’estate ed al
termosifone d’inverno. Forse, visto che gli stipendi sono i più bassi d’Europa,
alla fine conviene. Il decreto legge appena varato prevede anche
l’accompagnamento degli espulsi al confine: ma, ci chiediamo, ce l’abbiamo la
benzina per le auto? Ed i soldi per i biglietti aerei? La domanda ci sovviene
perché oggi, questi soldi non ci sono. Bisogna saltare il fosso, gente, o qui
finisce male. (ASAPS)
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