(ASAPS) PALERMO, 6 novembre 2007 – Sono quelli della
“catturandi”, letteralmente “da catturare”. Il termine deriva dal gerundivo
latino, ma ispira più un sostantivo che un verbo. Sono uomini e donne della
Polizia di Stato che a Palermo equivalgono ai cavalieri di un tempo. Severi con
sé stessi, pieni di segreti anche per mogli e mariti, guardinghi nei movimenti,
un occhio sempre alle spalle e la mano pronta alla pistola, per salvarsi la
vita. Sono una Squadra, serrata come i guerrieri di Leonida alle
Termopili, pronta a tutto, anche a dare la vita, se necessario. In Sicilia,
essere della Catturandi, vuol dire avere una missione da compiere, aderire ad
una sorta di fratellanza in nome dello Stato. Ed è nuovamente il loro giorno, dopo l’arresto di Brusca,
quello di Provenzano e poi quello di Franzese, avvenuto poche settimane fa. Singolare coincidenza, che fa alzare loro le mani al
cielo, che li fa uscire per una volta tutti insieme, incappucciati nei mefisto
d’ordinanza, magliette scure, armi in fondina, le manette strette ai polsi
delle loro ultime prede: è il giorno della memoria per tutte le vittime della
mafia. Poliziotti, Carabinieri, Giudici, gente comune. Sono loro che oggi
guardano idealmente la riscossa di uno Stato che, tutto sommato, fa ancora la
guerra alla criminalità. Senza benzina per le macchine, senza soldi per gli
straordinari, senza carta per le fotocopiatrici, quelli della Catturandi non si
sono curati dello stipendio da fame, non si sono risparmiati e sono andati
avanti, in nome di quelli che non ce l’hanno fatta, che hanno chiuso gli occhi
solo dopo una raffica di mitra o un colpo di lupara, dopo lo scoppio di
un’autobomba o dopo l’isolamento al quale una parte di Mafia che li spiava
dalla loro stessa parte del Fronte, li aveva irrimediabilmente costretti. I ragazzi di Palermo trovano la forza di uscire, di
vincere le resistenze della paura, dell’omertà che ha bollato l’Italia intera
al cospetto del mondo, ed hanno intonato cori al ritmo di “la Sicilia siamo
noi”, stendendo un grande striscione con su scritto “ed ora ammazzateci tutti”.
L’eredità di Fortugno si fa sentire anche qua. Oggi, quando la notizia si è sparsa, è stato impossibile
per un italiano non ripensare a quei due personaggi che catalizzarono attorno a
loro stessi il meglio della Giustizia e della Libertà, che vennero lasciati
soli, idolatrati e poi nuovamente abbandonati al loro destino. Come quelli della Catturandi, non si fermarono mai, a
nessun costo, continuando imperterriti, a prescindere, e pagarono, insieme ai
loro angeli custodi, il prezzo più alto. Sono Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino, le cui foto campeggiano ancora in tutti gli Uffici giudiziari, in
quelli delle forze dell’ordine. Fu con loro che il paese onesto alzò la testa e pensò che
poteva farcela. Di più: pensò che ce l’avrebbe fatta. Gli Onesti si sono ribellati, Carabinieri e Polizia hanno
assestato bordate tremende, i Giudici hanno disarticolato colpo dopo colpo
quella Cosa Nostra che nostra non lo è mai stata. Due dei pochi superstiti di
quell’epoca tremenda sono l’ex Capo della Polizia Gianni De Gennaro e l’attuale
Direttore Generale della Pubblica Sicurezza Antonio Manganelli: questa vittoria
è anche loro. Ed oggi, sotto quei mefisto, quelli della Catturandi
alzano le braccia al cielo. È ancora una volta il loro giorno, che è anche il
Nostro. Questo sì che lo è. Siamo tutti Siciliani, perché il
sangue versato scorre in tutto il nostro Paese. Troppo spesso male in arnese,
troppo spesso lasciato incoscientemente in balia del Male, ma che ritrova in
queste splendide giornate il proprio valore, il suo coraggio, la sua fierezza.
Eh sì, siamo tutti Siciliani. (ASAPS)
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