Rita Formisano è medico specialista in neurologia, ma
soprattutto primario dell’unità post-coma dell’ospedale Santa Lucia. Nata a
Cassino, in provincia di Frosinone, si è laureata in medicina nel 1982
all’Università “La Sapienza” di Roma. Due anni dopo, mentre svolgeva la
specializzazione in neurologia, gli venne suggerito di fare uno stage ad
Innsbruck, sede della principale clinica universitaria europea di neurotraumatologia.
Dal 1984 al 1987, dunque, si trasferisce nell’ospedale austriaco dove viene a
contatto con le decine di pazienti provenienti dall’Italia e costretti a
rivolgersi ai servizi sanitari esteri per trovare le cure più efficaci nelle
terapie postcomatose. Tornata in Italia effettua un dottorato di ricerca in
neurobiologia concludendolo nel 1989 per essere poi assunta l’anno successivo
alla Fondazione Santa Lucia. Dal 1995 è primario dell’unità post-coma che
accoglie mediamente 25- 35 pazienti, ma è responsabile di un reparto più ampio
che conta anche altre degenze per i politraumatizzati o per coloro che hanno
patologie neurologiche o reumatologiche.
Dottoressa Formisano, da quali reparti provengono i suoi pazienti?
“Accogliamo persone che escono direttamente dai reparti di terapia
intensiva e di neurochirurgia non appena hanno superato la fase acuta,
compatibilmente con la possibilità di avere posti letto nel momento
dell’effettivo bisogno.”
Qual è il bacino di utenza dei
pazienti che si rivolgono al Santa Lucia?
“Abbiamo un alto grado di attrazione da varie parti d’Italia, con
pazienti che provengono soprattutto dalle regioni meridionali e persino dalla
Sardegna. Siamo una sorta di ultimo avamposto fortemente specializzato, in
quanto al Sud esistono poche strutture e non sempre in grado di rispondere a
tutte le necessità che si presentano in questo genere di pazienti.”
Facendo riferimento al panorama specifico nazionale, come si colloca la
vostra struttura ospedaliera?
“Il nostro è un ospedale di rilievo nazionale per la specificità di
intervento e di cura neuroriabilitativa, oltre che nella ricerca scientifica, a
tal punto che alcune degenze perdurano nel tempo perché le famiglie dei
ricoverati vivono nel timore di non riuscire poi a trovare una struttura
ospedaliera adeguata in grado di seguire efficacemente le terapie intraprese
dal familiare. In realtà, dopo una prima fase di intervento e di recupero del
paziente, è opportuno che lo stesso venga reintegrato nel proprio ambiente
naturale e continui ad interagire con l’ospedale attraverso altre forme di
assistenza come ad esempio avviene per il day-hospital. Fra
l’altro, vorrei sottolineare come in questo contesto la nostra struttura offre
la possibilità di simulare il ritorno a casa attraverso una struttura chiamata
Casa Dago, così da aiutare anche i parenti ad affrontare il migliore reintegro
del paziente e prendere confidenza con una serie di azioni fino ad allora
sconosciute.”
Cosa
distingue il Santa Lucia dagli altri ospedali che curano pazienti con analoghe
patologie traumatiche?
“Più
che un raffronto con altre strutture ospedaliere, direi che la specificità
della Fondazione Santa Lucia è rappresentata dall’avere tutte le competenze
indispensabili per un paziente post-comatoso. Il ricoverato, infatti, viene
seguito dalla fase acuta, a quella della riabilitazione, alla possibilità di
fruire di consulenze altamente specialistiche, senza dimenticare l’efficacia
della riabilitazione neuropsicologica. Al di là delle difficoltà motorie,
infatti, molti pazienti debbono seguire un percorso terapeutico che consenta
loro di riprendere l’uso della parola o della memoria o della semplice
attenzione, cioè di tutte quelle funzioni cognitive che garantiscono un
reinserimento sociale soddisfacente.”
Molti dei suoi pazienti hanno
subito traumi in occasione di gravi incidenti stradali. Quale idea si è fatta a
tal proposito?
“I
ragazzi hanno un delirio di invulnerabilità tipico dell’età adolescenziale e
giovanile in genere e non sempre sono a conoscenza di realtà come la nostra che
potrebbe consentire loro una certa riflessione. Ecco perché, io credo,
occorrerebbe un maggiore coinvolgimento attraverso l’esperienza scolastica,
magari anche con momenti forti che potrebbero vedere il diffondersi di una
cultura d’impatto com’è avvenuto per la lotta all’Aids, dove il male è stato
rappresentato come un rischio certo per la prosecuzione della vita. Inoltre,
bisognerebbe sradicare quella mentalità che spesso costringe molti genitori ed
anche taluni educatori ad essere restii a divieti o costrizioni, ritenendo che
sia molto più educativo lasciare al giovane la possibilità di divertirsi come
meglio crede. Peccato che non sappiano che un terzo dei pazienti che incorre in
gravi incidenti stradali, vada poi incontro a situazioni di disabilità
permanenti che cambiano radicalmente la qualità della loro vita e delle stesse
famiglie di appartenenza.”
In
questi mesi si parla sempre più spesso della possibilità di far scontare una
sorta di pena sociale a coloro che hanno provocato incidenti stradali sotto
l’influenza di alcolici o sostanze stupefacenti, costringendoli a lavori di utilità
nei reparti di emergenza degli ospedali. Cosa ne pensa?
“Potrebbe
essere un provvedimento che ha una validità educativa nei confronti dell’interessato,
ma questo non previene il fenomeno degli incidenti stradali, semmai cerca di
porvi parziale rimedio in un secondo tempo per evitare il ripetersi di simili
fatti. Credo che si debba agire, invece, con l’intenzione di far sì che
l’incidente non avvenga mai e invece non si considerano situazioni a forte
rischio e che noi medici constatiamo periodicamente.”
Cosa
intende dire?
“Nel
passato abbiamo svolto un’indagine su 90 pazienti ricoverati dopo un trascorso
comatoso. Di questi, il 32 per cento aveva riacquistato una presunta e
sufficiente capacità psico-fisica tale da consentirgli di poter nuovamente
mettersi alla guida. Ebbene, una forte percentuale di questi soggetti è rimasta
protagonista di altri incidenti stradali per via di una naturale disattenzione,
tipica in persone che hanno vissuto stati comatosi. Purtroppo, a questo
proposito non esiste una normativa che preveda la rivalutazione delle abilità
di guida dopo che il soggetto sia stato in coma, a prescindere dagli esiti che
si sono registrati a posteriori o dal decorso positivo della malattia.”
Davvero
interessante come argomentazione, ma come si potrebbe risolvere il problema? “Basterebbe
che i medici dell’unità di terapia intensiva o di neurochirurgia presso la
quale è avvenuto il ricovero dei soggetti che hanno subito un trauma cranico o
che sono stati in coma, fossero obbligati a comunicare il nominativo del
paziente ai competenti uffici del dipartimento dei trasporti terrestri, così da
sottoporre gli stessi ad ulteriori accertamenti medici per l’idoneità alla
guida col vincolo del parere dello specialista dell’unità riabilitativa.”
Concretamente…
“Lo
specialista dovrebbe effettuare una valutazione neuropsicologica e una verifica
su strada o su di un apposito simulatore e disporre eventualmente che
l’interessato si sottoponga ad uno specifico programma riabilitativo.”
Dottoressa
Formisano, lei è quotidianamente a contatto con realtà difficili che non tutti
comprendono, ma soprattutto dove si affiancano stati di forte disperazione con
momenti di intensa speranza. Questo ha cambiato anche la sua vita nel corso
degli anni…?
“Sì,
la mia vita è cambiata tantissimo, perché operare in questi settori di
sofferenza ti porta ad apprezzare quel che nessuno di noi più apprezza nella
quotidianità, cioè tornare a casa ed avere una famiglia con dei figli sui quali
poter investire il tuo futuro. Quando seguo uno dei ragazzi ricoverati
nell’unità post-coma, confesso di pensare spesso ai rispettivi genitori e di
come sia loro cambiata la prospettiva futura. Tuttavia, questo genere di
lavoro, se così si può definire, regala anche immense soddisfazioni, come
quando vengo a sapere che uno dei nostri ex pazienti ha ricominciato a lavorare
o si è sposato o comunque ha riconquistato una vita il più possibile normale. È
una cosa che ha il potere di regalarmi un’immensa felicità, perché penso alla
sua famiglia e al fatto che i genitori potranno finalmente tornare a
reinvestire sul futuro, quello loro e del proprio figlio.”
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Nasce una proposta di legge dall’esperienza della Fondazione
Santa Lucia: "Accertamenti per la conferma della validità della patente dopo
un coma superiore a 48 ore"
Un’importante proposta di legge (la numero 1452) di natura
trasversale, sottoscritta da numerosi parlamentari di ogni appartenenza
politica, ha preso (indirettamente) avvio proprio da uno studio compiuto
all’interno della Fondazione Santa Lucia. Qualche anno fa, infatti, sono stati
presi in esame decine di pazienti che, reintegrati alla vita normale ed in
particolare riconquistata l’indipendenza alla guida pur con le dovute
limitazioni, sono successivamente risultati più soggetti ad incidenti stradali.
L’indagine ha così fatto riflettere i medici e gli sperimentatori del Santa
Lucia in merito alle condizioni psico-fisiche di chi, dopo esser uscito da uno
stato comatoso o di trauma ad alta entità, si mette alla guida di un auto. Le
conclusioni sono state quelle di colmare una lacuna legislativa che oggi non
considera questa particolare categoria di utenti ed è nata la proposta di legge
che di seguito elenchiamo. “Al comma 5 dell’articolo 126 del decreto
legislativo nr.285 del 30 aprile 1992 e successive modificazioni, sono aggiunti
i seguenti periodi: I responsabili delle unità di terapia intensiva o di
neurochirurgia presso le quali è avvenuto il ricovero di soggetti che hanno
subito un trauma cranico o che sono in coma per altra causa, devono comunicare
ai competenti uffici del Dipartimento per i trasporti terrestri i casi di coma
superiori alle 48 ore, al fine di assicurare che i medesimi soggetti, prima di
tornare alla guida di un autoveicolo o motoveicolo, siano sottoposti ad
accertamenti per la conferma della validità della patente di guida. L’idoneità
alla guida è valutata dalle commissioni di cui all’articolo 119 comma 4, previo
parere vincolante dello specialista dell’unità riabilitativa che ha seguito
l’evoluzione clinica del paziente. Tale specialista effettua una valutazione
neuropsicologica e una verifica su strada o su apposito simulatore e può
disporre che l’interessato si sottoponga ad uno specifico programma
riabilitativo”.
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Come nasce e cos’è oggi la
Fondazione Santa Lucia
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La
“Fondazione
Santa Lucia” nasce nel 1960 e l’istituto ospedaliero - allora di diversa
denominazione - iniziò l’attività avendo come scopo iniziale quello di
assistere e curare gli invalidi della Seconda Guerra Mondiale. Anche se
numerose patologie erano simili agli aspetti traumatologici oggi noti, la
medicina riabilitativa ancora non esisteva o quantomeno era trattata da pochi
medici che cercavano, nel limite delle loro possibilità e dei mezzi che la scienza
medica scarsamente offriva, di portare sollievo alle sofferenze quanti si
trovavano in condizioni disperate. A distanza di oltre quarant’anni la
situazione è notevolmente mutata e l’istituto ospedaliero Santa Lucia ospita
sei divisioni (disposte su altrettanti piani) per un totale di 320 posti letto
che ogni anno ospitano più di duemila pazienti, trattandone giornalmente circa
500 in regime di day-hospital. Tutti i reparti sono interamente dedicati alla
rieducazione funzionale e sono così suddivisi: unità mielolesi, unità
post-coma, unità di riabilitazione postacuta, unità di riabilitazione amputati,
unità di riabilitazione per la sclerosi multipla e unità di riabilitazione
specialistica con un reparto dedicato ai colpiti da ictus celebrale. La Fondazione
si occupa però anche di ricerca scientifica ed è sede di 4 corsi universitari e
per tirocinanti, oltre a possedere un centro per la didattica e la formazione
del personale che assicura un’elevata preparazione professionale di quanti
operano al suo interno. Sono invece sette le scuole di specializzazione
riservate al personale medico che fanno capo alla struttura ospedaliera:
neurologia, urologia, malattie dell’apparato respiratorio, microbiologia,
fisiatria, geriatria e medicina sportiva. Funziona, inoltre, un corso di
specializzazione di neuropsicologia, quale utile supporto a quanti svolgono
cure a pazienti usciti dal coma e da traumi particolarmente gravi. Tornando
alla clinica ospedaliera, i pazienti godono di oltre cinquemila metri quadrati
per ogni piano e stanze modernamente arredate tutte con bagno e diversi
comfort. Esistono poi spazi appositamente predisposti per i disabili,
realizzati attraverso la loro stessa collaborazione così da soddisfarne ogni
reale esigenza e persino aree esterne per la socializzazione che rendono meno
“impegnativo” il dialogo tra i pazienti ed i loro familiari. Ogni reparto,
inoltre, è dotato di una palestra di almeno 400 metri quadrati ed esiste una
piscina dedicata all’idroterapia con personale specializzato che segue ogni
paziente che fruisce di un programma personalizzato. Anche per questo,
dall’agosto del 1982, la Fondazione Santa Lucia è stata inserita nell’elenco
dei 33 istituti di ricovero e cura a carattere scientifico-ospedaliero di
rilievo nazionale ad alta specializzazione per la riabilitazione funzionale.
All’interno della struttura ospedaliera funziona anche il cosiddetto “ProgettoDago”,
che si avvale di una “casa” (dotata di 8 miniappartamenti, una sala pranzo,
sala tv e giardino) dove vengono accolti i pazienti ma anche i familiari degli
stessi. Si tratta della prima struttura in Italia per la reintegrazione
familiare, sociale, scolastica e lavorativa del paziente post-comatoso. Il Sistema Sanitario Nazionale,
infatti, non prevede strutture dedicate alla cura di questi pazienti in fase di
transizione tra la terapia riabilitativa, quella ospedaliera ed il ritorno a
casa. Ad essere ospitati sono perlopiù i pazienti con deficit neuromotori e
neuropsicologici, che seguono programmi riabilitativi in regime di day-hospital
ambulatoriale presso istituti specializzati vicini ai rispettivi luoghi di
residenza. Ognuno degli ospiti trova alloggio insieme ad un familiare ed
entrambi vengono istruiti per raggiungere e mantenere gli obiettivi del
progetto di reintegrazione. Al suo interno vengono inoltre svolti corsi
informatica, decoupage, ortoflori- frutticoltura, pet-terapia (attività con gli
animali) e arte-terapia. Importante è anche la “riabilitazione alla guida” per
la quale - al fine di verificare il recupero delle capacità di guida - sono
previste prove pratiche nei centri di mobilità della Fiat ed in collaborazione
con l’Istituto Superiore di Sanità. Fra le “caratteristiche” della struttura
ospedaliera anche un’accentuata vocazione allo svolgimento delle discipline sportive
come terapia riabilitativa per i pazienti, che permette agli stessi di
avvicinarsi a sport quali il basket, il nuoto, il tiro con l’arco e la scherma.
Per quanto possa sembrare una cosa marginale, in realtà la pratica sportiva
garantisce grossi risultati fisici e psichici ai pazienti, oltre a numerose
gratificazioni personali e non è un caso se la squadra di basket del Santa
Lucia - ben conosciuta anche al di fuori dei confini nazionali - ha conquistato
ben 14 campionati italiani, 2 coppe europee e 5 coppe Italia, senza contare le
decine di altri tornei nazionali ed internazionali che l’hanno sempre vista
salire sul podio. Per quanto riguarda l’attività di ricerca, essa comprende una
parte importante nello studio delle neurolesioni e per questo è stato formato
un comitato etico a garanzia e tutela dell’utente. Numerose sperimentazioni
vengono svolte grazie ai contributi del ministero della Salute ed alla
collaborazione con enti di ricerca internazionale fra i quali l’Istituto
europeo per lo studio del sistema nervoso, il cui presidente è Rita Levi
Montalcini, che ha sede all’interno dello stesso Santa Lucia. Un’ultima ma non
meno importante particolarità della Fondazione è l’utilizzo di apparecchiature
innovative che consentono di effettuare risonanze magnetiche per lo studio
delle funzioni del cervello, che rappresenta l’apice di una intensa quanto
complessa attività di ricerca medico-scientifica apprezzata anche all’estero.
Ecco perché la Fondazione Santa Lucia si inserisce a pieno titolo fra gli istituti
riabilitativi più importanti del nostro Paese, oltre ad essere, purtroppo,
l’ultimo dei grandi avamposti delle strutture ospedaliere di questo tipo
scendendo lungo la Penisola. Altre realtà, in Sicilia ed in Puglia, cercano di
offrire il meglio delle conoscenze e delle tecnologie oggi disponibili, ma con
prezzi e sacrifici che rasentano l’estremo e la cui disponibilità appare sempre
più limitata.
Da il Centauro n. 115
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