di Riccardo Matesic
Ormai di protezioni per i motociclisti da montare sui guard rail ne esistono
diverse, ma non c’è nessuna norma che permetta di omologarle, né in Europa né a
livello nazionale. Nel frattempo abbiamo assistito a un emozionante crash test La slitta corre rasoterra e si
blocca a un metro dal guard rail, lasciando scivolare il manichino, che sbatte
a 60 Km/h con la testa. L’angolo d’impatto è di 30 gradi, e l’urto è potente.
La visiera del casco si stacca da un lato, mentre il finto corpo scivola e si
arresta poco dopo. Corriamo a vedere: il nostro motociclista apparentemente non
ha danni. Facciamo un passo indietro. La Snoline, azienda che produce l’attenuatore d’urto per motociclisti DR46, ha organizzato questa giornata appositamente per presentare il suo prodotto, lo stesso già montato un anno fa sulla via Apecchiese (http://www.motonline.com/news/articolo.cfm?codice=80964), in provincia di Perugia. La sede scelta è il laboratorio per le prove d’impatto del Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale del Politecnico di Milano. L’obiettivo è dimostrare l’efficacia del DR46, ma anche sollevare il problema della mancanza di normative d’omologazione. Perché al momento l’attenuatore d’urto è inomologabile, come le altre protezioni dello stesso tipo. Manca una norma, sia a livello nazionale che europeo. Gli unici stati che hanno fatto un protocollo per le prove di questo tipo sono Spagna e Francia, ma non si tratta di vere norme d’omologazione, e in Italia non hanno valore. “Della questione si sta occupando la commissione europea CEN/TC 226 di cui faccio parte –dice il Prof. Marco Anghileri, del Politecnico-. L’interesse per questa tematica si è sviluppato proprio grazie alle pressioni delle associazioni dei motociclisti”. Non a caso in sala c’è Marco Guidarini, il presidente dell’AMI, l’Associazione Motociclisti Incolumi. Pro e contro del DR46 L’attenuatore d’urto per motociclisti prodotto dalla Snoline è un salsicciotto in polietilene. Per metterne a punto il materiale di produzione è servito il reparto di chimica dell’azienda lombarda, perché era necessario che la plastica mantenesse inalterate le sue caratteristiche meccaniche, indipendentemente dalla temperatura e senza la possibilità che i raggi ultravioletti le alterassero rapidamente. La forma a doppia onda è stata studiata in modo da guidare e contenere il corpo del motociclista che scivola, evitando il più possibile che qualche arto possa scivolare in alto ed essere tagliato dalla lama del guard rail. Particolare anche la costruzione cava piena d’aria, che dovrebbe permettere al DR46 di assorbire proprio grazie all’aria interna l’energia del corpo del motociclista. “Il nostro attenuatore d’urto –dice l’ing. Luca Petrozzi della Snoline- non altera il comportamento delle barriere preesistenti, cosa proibita dalla normativa, non riduce la sicurezza della strada per gli altri veicoli, ha tempi di montaggio ridotti e si adatta a tutti i tipi di guard rail. Può inoltre essere prodotto in qualunque colore, anche se riteniamo che il giallo abbia un effetto deterrente sulla voglia di aprire il gas”. Già, ma quanto costa? All’inizio c’è reticenza su questo argomento, alla fine ecco la cifra: fra i 40 e i 50 euro al metro, montato. Un po’ tanto secondo noi, perché visti i bilanci magri delle amministrazioni, ci sembra difficile che gli assessori pensino di spendere dei soldi in più. Ci sarebbe da considerare, è vero, la riduzione delle spese sanitarie, ma quelle sono del servizio sanitario nazionale, mentre i costi per la manutenzione stradale sono locali. E c’è di mezzo il federalismo. Speriamo di essere smentiti dai fatti. Altra nota dolente: in caso di urto il DR46 si rompe e va sostituito, anche solo nel segmento danneggiato. Il produttore assicura però che questo succede solo per urti di intensità particolarmente elevata, altrimenti tende a recuperare la forma originaria. E di questo abbiamo avuto dimostrazione nel crash test cui abbiamo assistito. Infine un’annotazione: sulle curve della via Apecchiese, dove il DR46 è stato installato un anno fa, non ci sono più stati incidenti. La sola vista della protezione gialla sembra aver convinto i motociclisti della pericolosità di quelle pieghe.
Il laboratorio per le prove
d’impatto del Politecnico di Milano è una struttura affascinante. Al suo
interno si fanno test d’impatto per aerei ed elicotteri, ma anche per auto e
guard rail. Il sistema di trazione è basato su un enorme pistone sotterraneo ad
aria compressa che trascina un cavo d’acciaio, al quale può essere agganciata
qualunque cosa.
Nel nostro caso, si usano circa 30
metri di corsa della slitta trainata, per imprimere al manichino la velocità di
60 Km/h senza che si muova sulla pedana di legno rivestita di teflon, per
ridurre al massimo l’attrito di scivolamento.
Sopra la zona dell’impatto è
montata una batteria enorme di riflettori e due telecamere ad altissima
velocità (2000 fotogrammi al secondo) riprendono il test, producendo
altrettanti filmati di pochi secondi, ciascuno del peso di 2 Gb!
Subito dopo l’impatto, cui noi
abbiamo assistito da una stanzetta laterale, al riparo da possibili rottami
volanti, il manichino appariva un po’ segnato nella zona del braccio destro. E
segnato era anche il casco, cui –come detto in apertura- si era staccata la
visiera.
“In questi test -ci dice il prof. Anghileri- l’impatto
della testa non è mai troppo forte; raggiungiamo un HIC – Head Injury
Criterion, indice dei danni alla testa- pari a 200, mentre per i test
d’omologazione del casco il valore limite è 2000. A noi però in questo caso
interessa soprattutto la dinamica del corpo, la deviazione che la barriera
inferiore è in grado di imprimere senza apportare danni, come succederebbe
invece con un guard rail normale”.
Che tipo di strumentazione ha
questo manichino?
“Tre accelerometri nella testa e
un trasduttore di forza a 6 campi alla base del collo”. Tradotto dal linguaggio tecnico,
si misurano le accelerazioni subite dalla testa del motociclista e le forze
esercitate sul collo, che in molti casi di urti con guard rail non protetti
possono portare alla rottura delle vertebre cervicali.
“Abbiamo condotto prove con il
manichino in varie posizioni –continua il docente-, e abbiamo messo accelerometri
anche nell’addome, nel torace e alla base della colonna vertebrale. Però per
questi valori mancano degli indici di lesione, dei protocolli cui fare
riferimento”.
Ancora una volta il nodo è una
normativa lacunosa. Ma questi crash test servono in ogni caso?
“No, perché a volte sono antieconomici. Se dovessimo in laboratorio tutti i guard rail esistenti, la spesa sarebbe enorme. Per questo a livello comunitario vengono accettate anche delle simulazioni al computer. In questo noi siamo parecchio avanti, avendo sviluppato già un modello numerico del motociclista”. In pratica al Politecnico hanno “scritto” in formule matematiche leggibili dal computer i dati del corpo umano tipo. Ne hanno calcolato masse, leve e dinamica in caso di caduta. In questo modo il computer, dotato degli opportuni programmi, può elaborare delle simulazioni grafiche di impatto del corpo contro barriere di tipo diverso, con differenti angoli, posizioni e velocità.
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