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Articoli 28/11/2007

Il 34% dei giovani guidatori è a rischio

Lo rivela una ricerca eseguita dall’università La Sapienza di Roma nell’ambito del Progetto Icaro, la ricerca è stata illustrata in occasione del 60° anniversario della Polizia Stradale

(ASAPS) ROMA, 28 novembre 2007 – Un giovane su tre, il 34,3% del totale,  è un potenziale guidatore a rischio. Lo dice uno studio intitolato “Il paradosso del giovane guidatore”, condotto dai professori Anna Maria Giannini e Fabio Lucidi, docenti all’università La Sapienza, illustrato ieri pomeriggio (27 novembre) alla Biblioteca Nazionale di Roma, nell’ambito delle manifestazioni per il 60° anniversario della Polizia Stradale, così come la conosciamo oggi.
Si tratta di un progetto molto importante, perché realizzato proprio dalla Polizia Stradale nell’ambito del Progetto Icaro, giunto alla conclusione della sua settima edizione, con 133 città complessivamente coinvolte e 72mila studenti che hanno preso parte alle attività legate alla sicurezza.
Tuttavia per gli uomini e le donne della Polizia Stradale, con l’ombra della chiusura di molti importanti distaccamenti e con risorse umane e logistiche sempre più al lumicino, si tratta di un compleanno decisamente sottotono. E dire che la storia della Specialità era cominciata ben prima di 60 anni fa, ma è con la storia repubblicana che la Polizia Stradale ha fissato la propria “memoria”. Tornando al tema della notizia, le caratteristiche rilevate dalla ricerca nel cosiddetto “giovane guidatore a rischio” porterebbero spesso a comportamenti definiti pericolosi: l’identikit che emerge dall’analisi parla di un conducente più trasgressivo e maggiormente portato all’errore rispetto agli altri, che finiscono col pagare però il prezzo di questo atteggiamento. Come riconoscerlo? Innanzitutto è uno che percorre uno sacco di chilometri, spesso in ore notturne, è soggetto a guidare in condizioni psicofisiche critiche per stanchezza ed assunzione di alcolici, prende moltissime multe e, ovviamente, vanta un certo numero di incidenti stradali, in media più gravi rispetto a quelli occorsi agli altri conducenti. Eh già, gli altri: ma loro, “gli altri” appunto, come sono?
La ricerca traccia un profilo anche nei loro confronti e per fortuna si tratta di un identikit decisamente più rassicurante: il 37,8% di loro è stato definito “guidatore prudente”, mentre il 27,88 merita addirittura l’etichetta di “guidatore preoccupato/controllato”. Di loro, occorrerebbe parlare a lungo, celebrarne  con dovizia di particolari le doti espresse, ma è purtroppo il soggetto a rischio quello che ci interessa di più, che si crede Schumacher fin dal primo giorno di patente (e anche prima, con ciclomotore e primo motociclo) e che evolve la propria esperienza con una mistificazione della realtà – ma non siamo affatto sicuri di aver azzeccato il termine – definita dai ricercatori “paradosso del giovane guidatore”: si tratta in sostanza di un vero e proprio fenomeno, secondo il quale ogni volta che un conducente privo di esperienza (background e know-out) sopravvive alle proprie temerarie azioni, cresce dentro di sé la convinzione di essere riuscito ad evitare il peggio grazie alle proprie abilità, o comunque di essere immune (se non immortale) dai rischi. Purtroppo, constatiamo spesso che l’immunità da conseguenze di certi gesti non esiste affatto. Se ci pensiamo bene, è proprio così: tutti siamo stati giovani e tutti, soprattutto i maschietti, sono cresciuti con il chiodo fisso di superare l’amico in velocità, di sorpassare l’auto che procede davanti, di esibirsi davanti alla propria compagnia o alla ragazza su cui si vuole far colpo. E molti di noi, spingendosi spesso oltre la soglia della semplice temerarietà, hanno sentito quel brivido scorrere nel sangue. Si chiama adrenalina, e purtroppo gioca spesso brutti scherzi.
Chi è sopravvissuto, magari facendosi molto male ma potendo vantare la “fortuna” di essere ancora qui a parlarne, sa benissimo di cosa parliamo.
Dunque, se abbiamo capito bene, bisognerebbe convincere i giovani conducenti “potenzialmente” a rischio, che quell’immunità, quel talento che credono serva loro a salvarsi, altro non è che semplice fortuna, e che la sorte è l’ultima cosa che si possa sfidare. La ricerca si propone appunto questo: “l’obiettivo – e usiamo le stesse parole degli autori dello studio – non è quello di aspettare che il circolo vizioso venga interrotto dall’eventualità di un incidente, ma quello di mettere in atto strategie di intervento, capaci di contrastare le pericolose tendenze fataliste di fronte all’incidentalità stradale ed alla sua imprevedibilità, capaci allo stesso tempo di contrastare la percezione, altrettanto pericolosa, che l’infortunio alla  guida possa essere considerato come un equazione matematica in cui si hanno a
disposizione tutte le incognite”.
Intanto, partire dai dati. Illustrarli, spiegare nelle scuole le dimensioni del fenomeno infortunistico, accompagnare gli studenti in gite nei centri di recupero per vittime della strada, farli parlare con le famiglie degli uccisi e – aggiungiamo noi – insegnare loro a “guidare”, oltre che – semplicemente – “portare” la moto o la macchina. (ASAPS)


© asaps.it

di Lorenzo Borselli

Sicurezza stradale
Mercoledì, 28 Novembre 2007
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