Ora girate l’interruttore della batteria… sinistra, ricordatevi… sinistra” Si sentì un ronzio come quello di un’ape gigantesca. “Sentite, è avvenuto il contatto. Se non fa contatto è un guaio, bisogna metter mano alla lima”. Si accorse dello sguardo costernato di Adam. “Potete studiarvelo sull’opuscolo”, disse gentilmente. Si spostò sull’avanti della macchina. “Ora guardate la manovella, e… vedete questo fil di ferro che spunta dal radiatore?... E’ il regolatore della miscela. Attenti che vi faccio vedere. Stringete la manovella in questo modo e girate finché non prende. Vedete la posizione del pollice? Se la prendessi in quell’altro modo col pollice messo intorno e mi saltasse via di mano, mi farebbe partire il pollice. Capito?” Non alzò gli occhi, tanto sapeva che avevano annuito. “Ora”, disse, “fate bene attenzione. Giro la manovella finché il motore non prende e poi tiro questo filo pian piano per aspirare la benzina. Sentite questo rumore come di qualcosa che viene succhiato? E’ il regolatore della miscela. Ma non tirate troppo, altrimenti me lo ingolfate. Poi mollo il filo e giro forte la manovella e appena prende corro ad anticipare l’accensione e a lasciare il gas, poi giro l’interruttore del magnete… Vedete dove c’è scritto: ‘Mag’? Ed ecco fatto.” I suoi ascoltatori erano quasi esanimi. Dopo tutto questo si era arrivati solo a mettere in moto il motore. Questa è forse una delle pagine più significative ed “epocali” di tutta la letteratura americana. Si tratta de “La Valle dell’Eden”, uno dei capolavori di John Steinbeck, premio Nobel per la letteratura nel 1962. Il protagonista del romanzo, Adam Trash, la cui famiglia da due generazioni si è insediata in una terra vergine all’origine, una sorta di paradiso terrestre, dopo avere sudato tutta la vita per impiantare la propria fattoria e le proprie attività, per restare al passo coi tempi, deve anch’egli comperare quella nuova meraviglia che si chiama automobile, la quale gli consentirà di abbandonare il cavallo, e quindi di andare più veloce, non dovere più dipendere dal foraggio e dalle condizioni fisiche dell’animale, e, soprattutto, lo libererà dallo sterco, dal puzzo, dalle mosche e dai tafani a cui l’uso del cavallo da sempre lo costringe. Insomma, anche per lui l’automobile costituirà un mezzo assai più pulito di locomozione e di lavoro. Così, un giorno Adam Trash vede arrivare alla sua fattoria il rivenditore che gli ha portato la sua auto, una Ford ovviamente, accompagnato da un ragazzo che insegnerà allo stesso Adam e ai suoi due figli gemelli, Aaron e Cal, come questa nuova meraviglia funziona. In questa pagina Steinbeck riesce a riassumere con pochi e semplicissimi tocchi, forse in una maniera rimasta ineguagliata, l’orrore, la diffidenza, lo sconcerto che nel subconscio dell’essere umano, quando l’essere umano è ragionevole, provoca l’avvento di un nuovo marchingegno destinato a cambiare radicalmente i destini dell’umanità. La scena narrata, che risale circa a un secolo fa, ovviamente, descrive una tecnologia rudimentale, fatta di manovelle da girare a braccio incessantemente e ossessivamente perché ci possa essere quella scintilla che accende il motore, di un intreccio di fili e dispositivi collegati e sincronizzati fra loro che devono avviarsi contemporaneamente, e sempre attraverso faticosissime manovre manuali. Eppure, pur trattandosi di meccanismi primordiali, di una tecnologia primitiva, di primo acchito, questo passaggio narrativo sa comunque sempre trasmettere l’idea di qualcosa di assai complicato. Come ogni novità tecnologica che soppianta le abitudini o le cose che prima erano sperimentate e sicure, chi assiste alla dimostrazione e sa che d’ora in avanti dovrà misurarsi con la nuova macchina, è disorientato e patisce un mix di scoramento, paura, fatica, fatica non solo fisica, ma nella forma più subdola della resistenza psicologica. Dopo una lunga e contorta spiegazione per illustrare appena le modalità di accensione del motore, Adam e i suoi sono addirittura esanimi. La forza di questo solo aggettivo è già una trovata letteraria formidabile, in quanto sintetizza, attraverso l’uso di un solo vocabolo, tutto un universo collettivo che richiama fattori psicologici (lo sgomento di fronte alla nuova macchina e a quanto essa impone e richiede), culturali (il passaggio dall’animale alla macchina, che porrà l’uomo in una situazione di sudditanza e dipendenza dalla tecnologia sempre più marcati e irreversibili: oggi l’uomo occidentale vive assistito in un mondo tecnologico e un semplice black-out prolungato lo renderebbe completamente inetto e vulnerabile, cioè exanimis, senza anima), storici (il nuovo destino, verso una società tesa alla ricerca di nuove fonti di energia, e quindi di nuove lotte per impossessarsene, mentre la forza delle braccia e delle bestie era a disposizione di tutti). Non solo. Steinbeck trova anche il modo di simboleggiare la mostruosità e la pericolosità di questi nuovi beni basati sulla ricerca tecnica e sempre meno docili al comando dell’uomo, quando parla di rimetterci un braccio o un pollice, se non si gira la manovella abbastanza velocemente e con forza sufficiente. In altre parola, la macchina sarà sempre pronta a rivoltarsi contro l’uomo se l’uomo non sa farne l’uso corretto. Sono pagine profetiche, un vero e proprio paradigma. Anche se però Steinbeck, dal canto suo, qui non riesce a sfuggire a un sentimento patriottico, all’americanità delle cose. Prima che inizi la dimostrazione, al rivenditore di auto appena a arrivato alla fattoria fa dire, del suo prodotto: “La principale diversità fra una Ford e le altre automobili sta nel differenziale che funziona in base a un principio ri-vo-lu-zio-na-rio”. Difficile dire se qui si annidi una piccola apologia del fordismo, quella visione, appunto rivoluzionaria, della produzione industriale che intendeva conciliare l’esigenza di produzioni sempre più intense con retribuzioni sempre più alte per la classe operaia, una sorta di circolo virtuoso che andasse a beneficio dei lavoratori, dello sviluppo e della collettività intera, qualcosa di utopico che l’esperienza e la storia hanno poi dimostrato essere infondato, per essere l’economia comunque e sempre in balìa delle crisi dei mercati finanziari, delle speculazioni e della conflittualità di classe. Ma ripetiamo, non è detto che vi sia stata apologia. Perché dopo questa accenno di lode, poi Steinbeck ci dice in sostanza, lo ripetiamo, che l’avvento di una tecnologia, di qualsiasi tecnologia, anche se col marchio Ford, sa rendere l’uomo esanime. E forse è meglio ritenere che non vi è stata alcuna apologia, perché Steinbeck credeva, innanzitutto, di essere, nella sua qualità di scrittore, un testimone, di epoche, di saghe, di fatiche, e anche di autodistruzioni. * Gip presso il Tribunale di Forlì
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