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Articoli 30/11/2007

La percezione del rischio e il rischio della percezione: il caso della sicurezza stradale


foto Coraggio
 

Introduzione
La guida di un veicolo è un compito assai complesso, centrato sull’interazione di tre elementi principali: Uomo-Ambiente- Veicolo (UAV). La sicurezza di guida si realizza quando questa interazione dinamica si mantiene entro limiti di bilanciamento, determinati in gran parte, momento per momento, da opportune azioni-reazioni del conducente. Un elemento che gioca in maniera decisa nel far sì che il sistema UAV non vada fuori controllo è certamente la corretta percezione dei possibili rischi da parte di chi sta guidando. L’uomo è sopravvissuto e si è evoluto anche perché ha saputo organizzarsi nel prevedere (nel senso letterale di “vedere prima”) le evoluzioni possibili di certe situazioni: ad esempio, temiamo di cadere dall’alto, perché prevediamo cosa verosimilmente ci accadrà (cioè, di farci molto male). Una corretta percezione del rischio evita molti guai. Certamente, timori eccessivi (per esempio, di ammalarsi) possono in alcuni casi sconfinare nel patologico; tuttavia, nella gran parte delle situazioni l’abbondare in prudenza tende a far meno danni della troppa audacia o, peggio, dell’incoscienza. Banalizzando, è meglio controllare per tre volte se si è spento il gas, che non controllarlo affatto. Nella pratica, però, ci si trova molte volte di fronte ad una percezione del rischio assente o distorta. Questo accade spesso in relazione alle problematiche di sicurezza stradale, dove - come abbiamo proposto nel titolo - ci troviamo davanti al rischio di una percezione… che non riflette cosa effettivamente dobbiamo temere. In questa nota esamineremo alcune di queste situazioni, proponendo talora dei correttivi che a nostro modo di vedere potrebbero contribuire ad indirizzare correttamente la percezione del rischio di incidente stradale dei conducenti.

I riflessi
Una grande fiducia nella velocità dei propri riflessi è alla base di molte tragedie, in particolare dei giovani. Questa fiducia porta a sottovalutare la complessità del sistema UAV. Molte volte, poi, il credere di avere riflessi rapidi è basato su esperienze che non colgono, se non in minima parte, le capacità che debbono essere messe in gioco sulla strada. Supponiamo, infatti, di aver misurato con uno dei tanti apparecchi disponibili, la velocità dei nostri riflessi (ad esempio, con un apparecchio che emette un segnale sonoro o luminoso, in seguito al quale il soggetto deve premere rapidamente un pulsante). Ora, risultare “veloci” in questa prova attesta certo buone capacità di risposta, ma per quella prova: in altre situazioni, forse, le cose potrebbero non essere così soddisfacenti. Infatti, nella prova immaginata il soggetto che attende sa che da lì a poco l’apparecchio emetterà il segnale, e sa anche che cosa deve fare in risposta allo stimolo. Nella realtà di ogni giorno, le cose non sono così semplici. Schematizzando molto il tutto, quello che va considerato è quanto segue: tra un certo stimolo e una certa azione di risposta c’è una catena complessa che deve essere percorsa, catena che - per ben memorizzarla - abbiamo indicato con l’acronimo PERIDEA (la si fissa facilmente ricordando la
frase “nemmeno per idea”). L’acronimo nasce dalla struttura sequenziale della catena, data da Percezione-Riconoscimento-Decisione-Azione. In primo luogo bisogna, dunque, percepire: e questo non è sempre detto che avvenga (ad esempio, tra noi e quello che dovremmo percepire potrebbe esserci un ostacolo). Una volta percepito qualcosa, il nostro cervello deve “riconoscere”, cioè categorizzare, il percepito. Capita talora di “vedere e non accorgersi”. Riconosciuti i caratteri salienti del segnale, bisogna poi decidere il da farsi, magari rapidamente se si è identificata una situazione di pericolo: non sempre questo è immediato, ognuno può in certe condizioni “esitare”. Deciso che si sia, comunque, bisogna dar corpo alla decisione, agire. E anche questo richiede del tempo. Sia pur su un modello altamente semplificato come quello qui utilizzato, dovrebbe essere ben chiaro ora cosa intendevamo all’inizio: nella prova di riflessi ipotizzata, si conosce già che qualcosa sarà nel breve percepito, c’è ben poco da riconoscere, ben poco da decidere, solo agire. Si provi, a mò di esercizio, ad immaginare l’influsso sulla durata delle diverse fasi della catena PERIDEA di condizioni di scarsa visibilità, dell’ebbrezza indotta dall’alcol o dalle droghe, della sonnolenza, della stanchezza e di altro ancora.

La velocità (1)
In genere, il cervello valuta linearmente il rischio legato alla velocità: se a tot km/h c’è un certo rischio, raddoppiando la velocità sembra che il rischio raddoppi. Ora, può piacere o non piacere, ma la fisica ci insegna che l’energia di movimento va col quadrato della velocità. Questo significa che se viaggiamo a 20 km/h abbiamo addosso 400 punti di tale energia; se raddoppiamo la velocità, questa energia non raddoppia, ma quadruplica: a 40 km/h i nostri punti-energia saranno infatti 1600. Per evitare una probabile collisione, dobbiamo scaricare l’energia accumulata, e lo facciamo frenando, trasformando l’energia cinetica in calore che viene dissipato dall’impianto frenante del veicolo e trasferito, grazie all’attrito, dai pneumatici alla strada. Se non riusciamo a fermarci prima della collisione, l’energia che resta si “scarica” sulle strutture del veicolo e su di noi, provocandoci dei traumi.

La velocità (2)
Il rischio percepito viene talora influenzato dalle unità di misura usate. Esprimere la velocità in km/h può essere utile per stimare la durata di un viaggio, non già per dare una percezione adeguata del rischio. Certo, se qualcuno va a 200 km/h non ci sono esitazioni nella valutazione, ossia il comune senso della percezione implica, in tale situazione, una sicura coscienza (e quindi una sicura percezione-riconoscimento) dello stato di “forte velocità”; ma i tempi cambiano: qualche anno fa, ad esempio, circolava una canzonetta che, per mostrare la spericolatezza del giovanotto che correva dalla sua ragazza, recitava “Andavo a cento all’ora…”: oggi, forse, il testo andrebbe modificato, almeno portando la velocità a 180. Quello che invece può far riflettere e percepire maggiormente lo stato delle cose è, a nostro avviso, usare i metri al secondo (m/s) e cioè utilizzare semplicemente una diversa unità di misura per esprimere la velocità istantanea, comunicando, di fatto, la stessa cosa. Tecnicamente, se si ha una velocità espressa in km/h, la stessa espressa in m/s la si ottiene moltiplicando la prima per il fattore di ragguaglio pari a 0.28. Dunque, un tranquillo signore che viaggia ad 80 km/h e nel pieno rispetto dei limiti imposti dal Codice della strada sta procedendo a 22 metri al secondo. In città, immaginando di guidare a 30 km/h, stiamo facendo più di 8 metri al secondo. Si calcoli, per curiosità, a quanti metri al secondo procede un veicolo che va a 200 km/h (risp. 55.6 m/s). Forse, sarebbe utile mettere sul tachimetro delle auto, accanto alla scala dei km/h anche quella dei metri al secondo. Ciò avrebbe un forte impatto psicologico sulla percezione del rischio da parte del guidatore, senza comportare alcuna spesa in termini costruttivi o di produzione dei mezzi.

La velocità (3)
Una diffusa confusione che esiste è quella fra “velocità massima” (limite di velocità) e “velocità pericolosa”. La velocità massima è un limite insuperabile, al di sotto del quale l’utente deve scegliere la velocità da tenere in base alle condizioni generali: luminosità, manto stradale, traffico, visibilità, presenza di bambini, ecc.. Quindi, una velocità pericolosa non è una velocità superiore a quella massima (come è nella percezione di molti), bensì una velocità al di sotto della massima permessa non congrua con delle ragionevoli condizioni di sicurezza cui l’utente è tenuto a contribuire. Andare a 40 km/h in città può essere corretto in alcuni tratti; forse, di fronte ad una scuola, o in prossimità di incroci o di strisce pedonali, questa velocità può testimoniare soltanto l’incoscienza del conducente - applicando quanto visto in precedenza, a 40 km/h stiamo viaggiando quasi a 10 m/s - risultando in realtà una velocità assolutamente troppo elevata nella circostanza ipotizzata. Ricordiamo infatti che gli spazi di frenata sono anch’essi proporzionali al quadrato della velocità e pertanto a 10 m/s, e cioè “solo” 40 km/h, sono necessari mediamente 16 metri per consentire l’arresto del veicolo.

Distanza di Sicurezza e Spazio di Frenata
“Tanto poi freno, io ho i riflessi molto rapidi…”. Dichiarazioni di questo genere sono tipiche di chi non ha ben chiaro il rischio che si corre nel non mantenere un’adeguata distanza di sicurezza, fatto che in condizioni di emergenza riduce il tempo a nostra disposizione per evitare l’incidente. Quanto questo sia vitale per la nostra sicurezza dovrebbe essere ben chiaro alla luce di quanto discusso in precedenza. Lo spazio effettivo di frenata, peraltro, oltre a dipendere dalla velocità del veicolo e da come sono andate le cose mentre il nostro cervello percorreva la catena PERIDEA, dipende anche dalle condizioni del manto stradale (tipologia dello stesso, stato di manutenzione, se asciutto o bagnato, sua temperatura, ecc.), dallo stato e dalla pressione dei pneumatici, dalle caratteristiche e stato del sistema frenante del veicolo, ecc.. In termini indicativi, lo spazio di frenata netto (quello calcolato dal momento in cui il soggetto preme il pedale del freno) è pari mediamente a V2/100 metri esprimendo la velocità (V) in km/h e può velocemente essere valutato, sempre in metri, elevando al quadrato la cifra delle decine (o centinaia-decine) della velocità: a 50 km/h si hanno quindi 5x5= 25 m; a 90 km/h risulta 9x9= 81 m; a 100 km/h sarà 10x10= 100 m; a 130 km/h avremo 13x13= 169 m. Si osservi che, in accordo con quanto detto a proposito dell’energia, se la velocità raddoppia lo spazio di frenata netto quadruplica: se per trasformare in calore la mia energia cinetica (frenando) necessito di X metri di strada, per smaltire un’energia 4 volte più grande avrò bisogno di 4X metri di strada (si vedano al proposito gli spazi netti di frenata a 50 e 100 km/h). D’altra parte, lo spazio effettivo di frenata deve includere anche il tempo impiegato dalla catena PERIDEA per attuare l’azione frenante (spazio di reazione): questo tempo, che possiamo - come vien fatto di solito - valutare mediamente intorno al secondo, comporta un ulteriore spazio che va ad aggiungersi a quello precedentemente calcolato. Ad esempio, a 80 km/h in un secondo percorriamo, come visto, circa 22 metri; lo spazio effettivo di frenata sarà dunque: 8x8= 64 metri (spazio netto di frenata) + 22 (spazio percorso nel tempo di reazione)= 86 metri. Come si vede, i calcoli sono abbastanza semplici, ma non di percezione immediata. A nostro parere, sarebbe quindi importante che il veicolo disponesse di un indicatore istantaneo di spazio di frenata (naturalmente con espressione degli spazi in metri), posto ad esempio accanto al tachimetro o al contagiri. Anche se l’indicazione fosse solo di massima, la percezione del rischio ne trarrebbe certamente giovamento: avere davanti un veicolo a 8-10 metri e vedere che, più o meno, lo spazio di frenata è stimato 40 metri dovrebbe sortire un qualche effetto di maggiore prudenza per il conducente.

16000

Cinture di sicurezza
Paradossalmente, mentre la percezione dell’utilità dell’uso del dispositivo è elevata (in base alle convinzioni manifestate dagli utenti), non altrettanto può dirsi dell’utilizzo effettivo del dispositivo. Mentre rimandiamo per questo problema ai numerosi studi svolti al proposito (alcuni riportati anche nel volume "Salute e sicurezza stradale: L’onda lunga del trauma") vogliamo qui accennare al timore che molti hanno di rimanere, in caso di incidente, “intrappolati” nel veicolo per via della cintura. Al di là del fatto che il meccanismo di sgancio della cintura è di elevatissima affidabilità, per valutare correttamente le cose, si rifletta ad esempio sul fatto che l’uso della cintura evita in modo molto consistente la perdita dei sensi, fatto più probabile nei non-cinturati. Si pensi a cosa si può andare incontro, se si è svenuti, in caso di incendio, di caduta in acqua, o in altri casi dove la rapidità nell’abbandonare il veicolo è cruciale.

Casco
Anche per il casco avviene quello che si osserva per le cinture, la crisi tra la percezione della sua utilità e l’uso effettivo, che non appare congruente con le opinioni espresse. Nel caso di questo dispositivo, un rischio da alcuni percepito è che l’uso del casco possa favorire il realizzarsi di traumi del collo. Questo fatto non ha evidenza epidemiologica; anzi, studi modellistici e simulazioni depongono per un effetto protettivo indotto dal casco anche sul collo stesso.

I seggiolini
Sull’utilità dei seggiolini sono sostanzialmente tutti d’accordo. Fatto sta che ancora oggi non è raro vedere bambini piccoli trasportati in braccio alla madre nella parte anteriore dell’autoveicolo. Evidentemente, l’errata convinzione di poter trattenere e proteggere in caso d’urto il bambino, unitamente alla relativa rarità del realizzarsi dell’incidente, portano ad una distorta percezione del rischio. In questo caso, forse, sarebbe utile un intervento educativo delle madri, tramite canali del Servizio Sanitario Nazionale, nelle innumerevoli occasioni di contatto prevedibili (gestazione, parto e primi anni di vita del bambino).

L’airbag
“Tanto c’è l’airbag…”. Paradossalmente, la presenza di airbag è vista da alcuni come una buona ragione per non allacciare la cintura di sicurezza. Niente di più sbagliato, in quanto l’uso congiunto di airbag e cintura eleva i livelli di sicurezza ottenibili e previene possibili lesioni che possono derivare dall’uscita rapidissima dell’airbag. Non usare la cintura in presenza di airbag è, quindi, sempre un rischio.

Telefonini
Il rischio dell’uso del telefono cellulare durante la guida sembra ben percepito nella popolazione dei conducenti. Tuttavia, come avviene per i dispositivi di sicurezza, niente è oggi più comune che trovarsi davanti qualcuno che guida telefonando. Peraltro, c’è una falsa percezione di sicurezza se l’uso è conforme ai termini di legge. In questo caso, pur essendo stati eliminati i rischi principali indotti dall’atto del rispondere, dal comporre il numero e altro, restano comunque i rischi legati ai problemi cognitivi che nascono nel dividere l’attenzione tra strada e telefonata. Infine, come l’ISS sta da tempo segnalando, questi problemi saranno aggravati dal recente avvento dei “videofonini”, dove l’immagine rappresenterà un ulteriore forte elemento di coinvolgimento. Pur non avendo svolto ancora studi specifici in merito, riteniamo al proposito che la percezione di questo rischio aggiuntivo (che potrebbe essere anche molto elevato) sia praticamente assente tra gli utenti.

L’alcol e le sostanze d’abuso
“Sta tranquillo, io lo reggo”: frase tipica di chi ha buona confidenza con le bevande alcoliche. Quanto la percezione del rischio sia falsata in questo caso lo si evince facilmente considerando gli effetti dell’alcol sulla durata delle singole fasi della catena PERIDEA, inevitabili anche per chi “lo regge”. Lo stesso può dirsi per le sostanze d’abuso, dove una nostra indagine ha rilevato che un giovane su cinque ritiene la cannabis ininfluente sulla sicurezza di guida. Allo stato delle conoscenze sembra ragionevole affermare in termini definitivi che alcol e sostanze sono incompatibili con la sicurezza di guida. In relazione all’alcol, poi, pur essendo stato stabilito (opportunamente, date le pesanti conseguenze per i trasgressori) un limite legale del tasso alcolemico (2), il messaggio dovrebbe essere sintetizzato in “O bevi o guidi”.

Il sonno e la stanchezza
“Io resisto al sonno”. Dichiarazione di molti, ma i risultati di tanti studi parlano chiaro: al sonno non si resiste, né ci si rende conto di quando ci si sta addormentando alla guida. L’unico modo di contrastare questo problema è far guidare un altro che sia in migliori condizioni, o se questo non è possibile, dormire un quarto d’ora (non di più, altrimenti la sonnolenza si ripresenta presto) e poi prendere uno-due caffè (e non di più). Se la meta è lontana, meglio fermarsi a dormire da qualche parte.

Conclusioni
In termini di percezione del rischio di incidente stradale abbiamo a che fare, quindi, con diverse situazioni: - il rischio è percepito correttamente e ci si comporta di conseguenza; - il rischio è percepito correttamente, ma il comportamento non corrisponde a questa percezione; - il rischio non è percepito correttamente, perché ampiamente sottovalutato o addirittura non viene percepito affatto; - un rischio minimo o inesistente viene percepito al punto da inibire la percezione di un rischio reale e consistente. Appare necessario far sì che in tempi brevi la percezione del rischio di incidente stradale tra gli utenti, specie se giovani, divenga prevalentemente corretta e, soprattutto, che a questo corrispondano comportamenti congruenti. È nostra opinione che ciò possa essere ottenuto attraverso l’attuazione di quanto previsto dal Piano Nazionale della Sicurezza Stradale, in particolare tramite azioni di educazione/informazione del pubblico e controlli/azioni mirate su conducenti che violano il Codice della Strada.

*Istituto Superiore di Sanità - Dipartimento Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria - Reparto Ambiente & Traumi
**Ministero dei Trasporti - Dipartimento Trasporti Terrestri - DG Motorizzazione
[Note]

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Questo articolo è tratto dal libro: “Salute e Sicurezza stradale: L’Onda Lunga del Trauma” a cura di Franco TAGGI e Pietro MARTURANO, CAFI Editore.
2 - Con l’art.13 del D.Lgs. 15 gennaio 2002 n.9 è stato modificato il parametro di concentrazione alcolemica ammissibile da 0,8 grammi/litro a 0,5 grammi/ litro (cfr. art. 186 C.d.S. e art.379 del Regolamento), inoltre l’articolo 14 dello stesso decreto ha reso più incisiva la procedura di controllo e sanzionamento di coloro che guidano sotto l’influenza di sostanze stupefacenti, innovando l’originario disposto dell’art.187 C.d.S.

da Il centauro n.116

© asaps.it

di Franco Taggi* - Pietro Marturano**

Venerdì, 30 Novembre 2007
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