foto Coraggio
Introduzione
La guida di un
veicolo è un compito assai complesso, centrato sull’interazione di tre elementi
principali: Uomo-Ambiente- Veicolo (UAV). La sicurezza di guida si
realizza quando questa interazione dinamica si mantiene entro limiti di
bilanciamento, determinati in gran parte, momento per momento, da opportune
azioni-reazioni del conducente. Un elemento che gioca in maniera decisa nel far
sì che il sistema UAV non vada fuori controllo è certamente la corretta
percezione dei possibili rischi da parte di chi sta guidando. L’uomo è
sopravvissuto e si è evoluto anche perché ha saputo organizzarsi nel prevedere
(nel senso letterale di “vedere prima”) le evoluzioni possibili di certe
situazioni: ad esempio, temiamo di cadere dall’alto, perché prevediamo cosa
verosimilmente ci accadrà (cioè, di farci molto male). Una corretta percezione
del rischio evita molti guai. Certamente, timori eccessivi (per esempio, di ammalarsi)
possono in alcuni casi sconfinare nel patologico; tuttavia, nella gran parte
delle situazioni l’abbondare in prudenza tende a far meno danni della troppa
audacia o, peggio, dell’incoscienza. Banalizzando, è meglio controllare per tre
volte se si è spento il gas, che non controllarlo affatto. Nella pratica, però,
ci si trova molte volte di fronte ad una percezione del rischio assente o
distorta. Questo accade spesso in relazione alle problematiche di sicurezza
stradale, dove - come abbiamo proposto nel titolo - ci troviamo davanti al
rischio di una percezione… che non riflette cosa effettivamente dobbiamo
temere. In questa nota esamineremo alcune di queste situazioni, proponendo
talora dei correttivi che a nostro modo di vedere potrebbero contribuire ad
indirizzare correttamente la percezione del rischio di incidente stradale dei
conducenti.
I riflessi
Una grande fiducia nella velocità dei propri riflessi è alla base di molte
tragedie, in particolare dei giovani. Questa fiducia porta a sottovalutare la
complessità del sistema UAV. Molte volte, poi, il credere di avere riflessi
rapidi è basato su esperienze che non colgono, se non in minima parte, le
capacità che debbono essere messe in gioco sulla strada. Supponiamo, infatti,
di aver misurato con uno dei tanti apparecchi disponibili, la velocità dei
nostri riflessi (ad esempio, con un apparecchio che emette un segnale sonoro o
luminoso, in seguito al quale il soggetto deve premere rapidamente un
pulsante). Ora, risultare “veloci” in questa prova attesta certo buone capacità
di risposta, ma per quella prova: in altre situazioni, forse, le cose
potrebbero non essere così soddisfacenti. Infatti, nella prova immaginata il
soggetto che attende sa che da lì a poco l’apparecchio emetterà il segnale, e
sa anche che cosa deve fare in risposta allo stimolo. Nella realtà di ogni
giorno, le cose non sono così semplici. Schematizzando molto il tutto, quello
che va considerato è quanto segue: tra un certo stimolo e una certa azione di
risposta c’è una catena complessa che deve essere percorsa, catena che - per
ben memorizzarla - abbiamo indicato con l’acronimo PERIDEA (la si
fissa facilmente ricordando la
frase “nemmeno per idea”). L’acronimo nasce dalla struttura sequenziale della
catena, data da Percezione-Riconoscimento-Decisione-Azione. In primo
luogo bisogna, dunque, percepire: e questo non è sempre detto che avvenga (ad
esempio, tra noi e quello che dovremmo percepire potrebbe esserci un ostacolo).
Una volta percepito qualcosa, il nostro cervello deve “riconoscere”, cioè
categorizzare, il percepito. Capita talora di “vedere e non accorgersi”.
Riconosciuti i caratteri salienti del segnale, bisogna poi decidere il da
farsi, magari rapidamente se si è identificata una situazione di pericolo: non
sempre questo è immediato, ognuno può in certe condizioni “esitare”. Deciso che
si sia, comunque, bisogna dar corpo alla decisione, agire. E anche questo
richiede del tempo. Sia pur su un modello altamente semplificato come quello
qui utilizzato, dovrebbe essere ben chiaro ora cosa intendevamo all’inizio:
nella prova di riflessi ipotizzata, si conosce già che qualcosa sarà nel breve
percepito, c’è ben poco da riconoscere, ben poco da decidere, solo agire. Si
provi, a mò di esercizio, ad immaginare l’influsso sulla durata delle diverse
fasi della catena PERIDEA di condizioni di scarsa visibilità, dell’ebbrezza
indotta dall’alcol o dalle droghe, della sonnolenza, della stanchezza e di
altro ancora.
La velocità (1)
In genere, il cervello valuta linearmente il rischio legato alla velocità:
se a tot km/h c’è un certo rischio, raddoppiando la velocità sembra che il
rischio raddoppi. Ora, può piacere o non piacere, ma la fisica ci insegna che
l’energia di movimento va col quadrato della velocità. Questo significa che se
viaggiamo a 20 km/h abbiamo addosso 400 punti di tale energia; se raddoppiamo
la velocità, questa energia non raddoppia, ma quadruplica: a 40 km/h i nostri
punti-energia saranno infatti 1600. Per evitare una probabile collisione,
dobbiamo scaricare l’energia accumulata, e lo facciamo frenando, trasformando
l’energia cinetica in calore che viene dissipato dall’impianto frenante del
veicolo e trasferito, grazie all’attrito, dai pneumatici alla strada. Se non
riusciamo a fermarci prima della collisione, l’energia che resta si “scarica”
sulle strutture del veicolo e su di noi, provocandoci dei traumi.
La velocità (2)
Il rischio percepito viene talora influenzato dalle unità di misura usate.
Esprimere la velocità in km/h può essere utile per stimare la durata di un
viaggio, non già per dare una percezione adeguata del rischio. Certo, se
qualcuno va a 200 km/h non ci sono esitazioni nella valutazione, ossia il
comune senso della percezione implica, in tale situazione, una sicura coscienza
(e quindi una sicura percezione-riconoscimento) dello stato di “forte
velocità”; ma i tempi cambiano: qualche anno fa, ad esempio, circolava una
canzonetta che, per mostrare la spericolatezza del giovanotto che correva dalla
sua ragazza, recitava “Andavo a cento all’ora…”: oggi, forse, il testo andrebbe
modificato, almeno portando la velocità a 180. Quello che invece può far
riflettere e percepire maggiormente lo stato delle cose è, a nostro avviso,
usare i metri al secondo (m/s) e cioè utilizzare semplicemente una diversa
unità di misura per esprimere la velocità istantanea, comunicando, di fatto, la
stessa cosa. Tecnicamente, se si ha una velocità espressa in km/h, la stessa
espressa in m/s la si ottiene moltiplicando la prima per il fattore di
ragguaglio pari a 0.28. Dunque, un tranquillo signore che viaggia ad 80 km/h e
nel pieno rispetto dei limiti imposti dal Codice della strada
sta procedendo a 22 metri al secondo. In città, immaginando di guidare a
30 km/h, stiamo facendo più di 8 metri al secondo. Si calcoli, per curiosità, a
quanti metri al secondo procede un veicolo che va a 200 km/h (risp. 55.6 m/s).
Forse, sarebbe utile mettere sul tachimetro delle auto, accanto alla scala dei
km/h anche quella dei metri al secondo. Ciò avrebbe un forte impatto
psicologico sulla percezione del rischio da parte del guidatore, senza
comportare alcuna spesa in termini costruttivi o di produzione dei mezzi.
La velocità (3)
Una diffusa confusione che esiste è quella fra “velocità massima” (limite
di velocità) e “velocità pericolosa”. La velocità massima è un limite
insuperabile, al di sotto del quale l’utente deve scegliere la velocità da
tenere in base alle condizioni generali: luminosità, manto stradale, traffico,
visibilità, presenza di bambini, ecc.. Quindi, una velocità pericolosa non è
una velocità superiore a quella massima (come è nella percezione di molti),
bensì una velocità al di sotto della massima permessa non congrua con delle
ragionevoli condizioni di sicurezza cui l’utente è tenuto a contribuire. Andare
a 40 km/h in città può essere corretto in alcuni tratti; forse, di fronte ad
una scuola, o in prossimità di incroci o di strisce pedonali, questa velocità
può testimoniare soltanto l’incoscienza del conducente - applicando quanto
visto in precedenza, a 40 km/h stiamo viaggiando quasi a 10 m/s - risultando in
realtà una velocità assolutamente troppo elevata nella circostanza ipotizzata.
Ricordiamo infatti che gli spazi di frenata sono anch’essi proporzionali al
quadrato della velocità e pertanto a 10 m/s, e cioè “solo” 40 km/h, sono
necessari mediamente 16 metri per consentire l’arresto del veicolo.
Distanza di Sicurezza e Spazio di Frenata
“Tanto poi freno, io ho i riflessi molto rapidi…”. Dichiarazioni di questo
genere sono tipiche di chi non ha ben chiaro il rischio che si corre nel non mantenere
un’adeguata distanza di sicurezza, fatto che in condizioni di emergenza riduce
il tempo a nostra disposizione per evitare l’incidente. Quanto questo sia
vitale per la nostra sicurezza dovrebbe essere ben chiaro alla luce di quanto
discusso in precedenza. Lo spazio effettivo di frenata, peraltro, oltre a
dipendere dalla velocità del veicolo e da come sono andate le cose mentre il
nostro cervello percorreva la catena PERIDEA, dipende anche dalle condizioni
del manto stradale (tipologia dello stesso, stato di manutenzione, se asciutto
o bagnato, sua temperatura, ecc.), dallo stato e dalla pressione dei
pneumatici, dalle caratteristiche e stato del sistema frenante del veicolo,
ecc.. In termini indicativi, lo spazio di frenata netto (quello calcolato dal
momento in cui il soggetto preme il pedale del freno) è pari mediamente a
V2/100 metri esprimendo la velocità (V) in km/h e può velocemente essere
valutato, sempre in metri, elevando al quadrato la cifra delle decine (o
centinaia-decine) della velocità: a 50 km/h si hanno quindi 5x5= 25 m; a 90
km/h risulta 9x9= 81 m; a 100 km/h sarà 10x10= 100 m; a 130 km/h avremo 13x13=
169 m. Si osservi che, in accordo con quanto detto a proposito dell’energia, se
la velocità raddoppia lo spazio di frenata netto quadruplica: se per
trasformare in calore la mia energia cinetica (frenando) necessito di X metri
di strada, per smaltire un’energia 4 volte più grande avrò bisogno di 4X metri
di strada (si vedano al proposito gli spazi netti di frenata a 50 e 100 km/h).
D’altra parte, lo spazio effettivo di frenata deve includere anche il tempo
impiegato dalla catena PERIDEA per attuare l’azione frenante (spazio di
reazione): questo tempo, che possiamo - come vien fatto di solito - valutare
mediamente intorno al secondo, comporta un ulteriore spazio che va ad
aggiungersi a quello precedentemente calcolato. Ad esempio, a 80 km/h in un
secondo percorriamo, come visto, circa 22 metri; lo spazio effettivo di frenata
sarà dunque: 8x8= 64 metri (spazio netto di frenata) + 22 (spazio percorso nel
tempo di reazione)= 86 metri. Come si vede, i calcoli sono abbastanza semplici,
ma non di percezione immediata. A nostro parere, sarebbe quindi importante che
il veicolo disponesse di un indicatore istantaneo di spazio di frenata
(naturalmente con espressione degli spazi in metri), posto ad esempio accanto
al tachimetro o al contagiri. Anche se l’indicazione fosse solo di massima, la
percezione del rischio ne trarrebbe certamente giovamento: avere davanti un
veicolo a 8-10 metri e vedere che, più o meno, lo spazio di frenata è stimato
40 metri dovrebbe sortire un qualche effetto di maggiore prudenza per il
conducente.
Cinture di sicurezza
Paradossalmente, mentre la percezione dell’utilità dell’uso del dispositivo
è elevata (in base alle convinzioni manifestate dagli utenti), non altrettanto
può dirsi dell’utilizzo effettivo del dispositivo. Mentre rimandiamo per questo
problema ai numerosi studi svolti al proposito (alcuni riportati anche nel
volume "Salute e sicurezza stradale: L’onda lunga del trauma")
vogliamo qui accennare al timore che molti hanno di rimanere, in caso di
incidente, “intrappolati” nel veicolo per via della cintura. Al di là del fatto
che il meccanismo di sgancio della cintura è di elevatissima affidabilità, per
valutare correttamente le cose, si rifletta ad esempio sul fatto che l’uso
della cintura evita in modo molto consistente la perdita dei sensi, fatto più
probabile nei non-cinturati. Si pensi a cosa si può andare incontro, se si è
svenuti, in caso di incendio, di caduta in acqua, o in altri casi dove la
rapidità nell’abbandonare il veicolo è cruciale.
Casco
Anche per il casco avviene quello che si osserva per le cinture, la crisi
tra la percezione della sua utilità e l’uso effettivo, che non appare
congruente con le opinioni espresse. Nel caso di questo dispositivo, un rischio
da alcuni percepito è che l’uso del casco possa favorire il realizzarsi di
traumi del collo. Questo fatto non ha evidenza epidemiologica; anzi,
studi modellistici e simulazioni depongono per un effetto protettivo
indotto dal casco anche sul collo stesso.
I seggiolini
Sull’utilità dei seggiolini sono sostanzialmente tutti d’accordo. Fatto sta
che ancora oggi non è raro vedere bambini piccoli trasportati in braccio alla
madre nella parte anteriore dell’autoveicolo. Evidentemente, l’errata
convinzione di poter trattenere e proteggere in caso d’urto il bambino,
unitamente alla relativa rarità del realizzarsi dell’incidente, portano ad una
distorta percezione del rischio. In questo caso, forse, sarebbe utile un
intervento educativo delle madri, tramite canali del Servizio Sanitario
Nazionale, nelle innumerevoli occasioni di contatto prevedibili (gestazione,
parto e primi anni di vita del bambino).
L’airbag
“Tanto c’è l’airbag…”. Paradossalmente, la presenza di airbag è vista da
alcuni come una buona ragione per non allacciare la cintura di sicurezza.
Niente di più sbagliato, in quanto l’uso congiunto di airbag e cintura eleva i
livelli di sicurezza ottenibili e previene possibili lesioni che possono
derivare dall’uscita rapidissima dell’airbag. Non usare la cintura in presenza
di airbag è, quindi, sempre un rischio.
Telefonini
Il rischio dell’uso del telefono cellulare durante la guida sembra ben
percepito nella popolazione dei conducenti. Tuttavia, come avviene per i
dispositivi di sicurezza, niente è oggi più comune che trovarsi davanti
qualcuno che guida telefonando. Peraltro, c’è una falsa percezione di sicurezza
se l’uso è conforme ai termini di legge. In questo caso, pur essendo stati
eliminati i rischi principali indotti dall’atto del rispondere, dal comporre il
numero e altro, restano comunque i rischi legati ai problemi cognitivi che
nascono nel dividere l’attenzione tra strada e telefonata. Infine, come l’ISS
sta da tempo segnalando, questi problemi saranno aggravati dal recente avvento
dei “videofonini”, dove l’immagine rappresenterà un ulteriore forte elemento di
coinvolgimento. Pur non avendo svolto ancora studi specifici in merito,
riteniamo al proposito che la percezione di questo rischio aggiuntivo (che
potrebbe essere anche molto elevato) sia praticamente assente tra gli utenti.
L’alcol e le sostanze d’abuso
“Sta tranquillo, io lo reggo”: frase tipica di chi ha buona confidenza con
le bevande alcoliche. Quanto la percezione del rischio sia falsata in questo
caso lo si evince facilmente considerando gli effetti dell’alcol sulla durata
delle singole fasi della catena PERIDEA, inevitabili anche per chi “lo regge”.
Lo stesso può dirsi per le sostanze d’abuso, dove una nostra indagine ha
rilevato che un giovane su cinque ritiene la cannabis ininfluente sulla
sicurezza di guida. Allo stato delle conoscenze sembra ragionevole affermare in
termini definitivi che alcol e sostanze sono incompatibili con la sicurezza di
guida. In relazione all’alcol, poi, pur essendo stato stabilito
(opportunamente, date le pesanti conseguenze per i trasgressori) un limite
legale del tasso alcolemico (2), il messaggio dovrebbe essere
sintetizzato in “O bevi o guidi”.
Il sonno e la stanchezza
“Io resisto al sonno”. Dichiarazione di molti, ma i risultati di tanti
studi parlano chiaro: al sonno non si resiste, né ci si rende conto di quando
ci si sta addormentando alla guida. L’unico modo di contrastare questo problema
è far guidare un altro che sia in migliori condizioni, o se questo non è
possibile, dormire un quarto d’ora (non di più, altrimenti la sonnolenza si
ripresenta presto) e poi prendere uno-due caffè (e non di più). Se la meta è
lontana, meglio fermarsi a dormire da qualche parte.
Conclusioni
In termini di percezione del rischio di incidente stradale abbiamo a che
fare, quindi, con diverse situazioni: - il rischio è percepito
correttamente e ci si comporta di conseguenza; - il rischio è percepito
correttamente, ma il comportamento non corrisponde a questa percezione; - il
rischio non è percepito correttamente, perché ampiamente sottovalutato o
addirittura non viene percepito affatto; - un rischio minimo o inesistente
viene percepito al punto da inibire la percezione di un rischio reale e
consistente. Appare necessario far sì che in tempi brevi la percezione del
rischio di incidente stradale tra gli utenti, specie se giovani, divenga
prevalentemente corretta e, soprattutto, che a questo corrispondano
comportamenti congruenti. È nostra opinione che ciò possa essere ottenuto
attraverso l’attuazione di quanto previsto dal Piano Nazionale della Sicurezza
Stradale, in particolare tramite azioni di educazione/informazione del pubblico
e controlli/azioni mirate su conducenti che violano il Codice della Strada.
*Istituto Superiore di Sanità - Dipartimento Ambiente e Connessa Prevenzione
Primaria - Reparto Ambiente & Traumi
**Ministero dei Trasporti - Dipartimento Trasporti Terrestri - DG
Motorizzazione [Note]
() Questo articolo è tratto dal libro: “Salute e Sicurezza stradale:
L’Onda Lunga del Trauma” a cura di Franco TAGGI e Pietro MARTURANO,
CAFI Editore.
2 - Con l’art.13 del D.Lgs. 15 gennaio 2002 n.9 è stato modificato il
parametro di concentrazione alcolemica ammissibile da 0,8 grammi/litro a 0,5
grammi/ litro (cfr. art. 186 C.d.S. e art.379 del Regolamento), inoltre
l’articolo 14 dello stesso decreto ha reso più incisiva la procedura di
controllo e sanzionamento di coloro che guidano sotto l’influenza di sostanze
stupefacenti, innovando l’originario disposto dell’art.187 C.d.S.
da Il
centauro n.116
|