Con
la recente sentenza n. 6070/2007, dell’11 ottobre 2007, il Tribunale di Torino
affronta in un sol colpo le diverse questioni e problematiche sorte con
l’introduzione del risarcimento diretto previsto dagli artt. 141 (e 149) del Codice
delle Assicurazioni. Il
caso nasce a seguito di un ricorso notificato da un trasportato il quale,
avendo subito lesioni in conseguenza ad un sinistro, intraprende l’azione non
nei confronti del proprio vettore e della di lui compagnia assicuratrice come
previsto dall’art. 141 ma, bensì, contro colui che ritiene civile responsabile
del danno e la società assicuratrice di quest’ultimo. Stante le eccezioni
sollevate dalla assicurazione costituitasi in giudizio, il Tribunale di Torino
cerca di sciogliere i dubbi che attanagliano gli operatori del settore oramai
da diversi mesi.
Il caso fortuito Poiché
l’art. 141 C.d.A., al primo comma, prevede che il terzo trasportato sia
risarcito dall’impresa di assicurazione del veicolo sul quale era a bordo,
salva l’ipotesi di sinistro cagionato da caso fortuito, il Giudice affronta in
primo luogo questa questione, ovvero: il fatto del terzo deve considerarsi caso
fortuito? Il Tribunale, pur riconoscendo che la giurisprudenza e la
dottrina concordino nel ricondurre il fatto del terzo alla nozione di caso
fortuito, ha ritenuto che l’art. 141 del D.Lgs.
209/2005 avrebbe accolto una nozione più restrittiva di caso
fortuito, escludendo, pertanto, che nella fattispecie del sinistro stradale
previsto dall’art. 141 C.d.A., tale categoria giuridica non ricomprenda il
fatto del terzo. Sempre secondo il Tribunale questa sarebbe l’unica
interpretazione possibile poiché, altrimenti, non sarebbe stato rispettato il
dettato dell’art. 4 lett. B) delle Legge Delega, poiché si costringerebbe il
trasportato (che, dovrebbe identificarsi nel consumatore previsto dal citato
art. 4) ad individuare esattamente il responsabile civile prima d’intraprendere
l’azione. Naturalmente,
l’interpretazione data dal Tribunale di Torino presta il fianco a numerose
critiche (il caso è fortuito in base alla sua dinamicità e non certo in base
alle conseguenze giuridiche che da esso ne derivino) ma appare l’unica
possibile. Se si dovesse ritenere che il fatto del terzo escludesse già di per
se l’applicabilità dell’art. 141 C.d.A., tale norma non avrebbe più motivo
d’esistere. L’errore, ancora una volta, l’ha commesso il frettoloso legislatore
il quale non ha pensato al fatto che nel caso fortuito andava ricondotto anche
il fatto del terzo. Ma poiché nella nozione consolidata di caso fortuito
rientra anche il concorso colposo del creditore, ci si dovrà chiedere se,
quando il trasportato concorra a cagionare il proprio danno (poiché, ad
esempio, non indossi le cinture di sicurezza), potrà comunque invocare
l’applicazione dell’art. 141 C.d.A.. Ovviamente anche in quel caso, se si
dovesse sposare la tesi estensiva data la Tribunale di Torino, dovrebbe trovare
applicazione l’art. 141 C.d.A., con buona pace di decenni d’interpretazione
giurisprudenziale e dottrinale.
La possibilità d’evocare in giudizio il responsabile civile del danno La
seconda questione che il Tribunale affronta è se il ricorrente avesse o meno la
facoltà di esercitare l’azione direttamente anche nei confronti del civile
responsabile, conducente-proprietario dell’altro veicolo. Anche
in questo caso viene data risposta positiva. Infatti, sempre secondo il
Tribunale, poiché l’art. 141 D.Lgs.
209/2005 “non reca alcuna espressa preclusione in tal senso” deve
ritenersi che il legislatore non abbia voluto escludere le azioni
precedentemente esperibili ai sensi degli artt. 2043 e 2054 c.c.. Se
ciò può considerarsi pacifico, resta aperta la questione (alla quale il Giudice
non poteva dare risposta poiché non interpellato sul punto) se, qualora in
giudizio fosse stata citata la sola compagnia del vettore, ai sensi dell’art.
141 C.d.A., anche il vettore medesimo (conducente-proprietario) dovesse essere
convenuto ancorchè non responsabile nella causazione del sinistro. Secondo
la logica seguita dal Tribunale di Torino, poiché si ritiene che convenire in
giudizio il responsabile civile ex art. 144 D.Lgs.
209/2005 sia una facoltà, mentre nulla si dice sull’obbligatorietà
(o facoltatività) del convenire in giudizio il vettore non responsabile (il
quale non è stato nella fattispecie chiamato in causa), è da escludere che tale
chiamata in giudizio debba-possa avvenire. Pertanto, se il vettore non
responsabile non deve partecipare al giudizio (del resto, ciò non è previsto neppure
dall’art. 141 D.Lgs. 209/2005) ci si trova nella bizzarra
situazione di una possibile causa intrapresa nei confronti della sola compagnia
assicuratrice (quella del vettore), che non rappresenta neppure il soggetto
responsabile, con tutte le implicazioni procedurali che ciò comporta. Avremmo
un danneggiato che agisce per ottenere il risarcimento del danno nei confronti
di un solo soggetto (la compagnia assicuratrice del vettore non responsabile)
con la quale non ha alcun rapporto neppure di natura contrattuale. E la
compagnia assicuratrice medesima non avrebbe neppure la possibilità di chiamare
in causa il responsabile del danno (conducente-proprietario del veicolo
antagonista) per farsi “raccontare” quanto meno la propria versione dei fatti.
Ciò costituisce un grave limite del diritto di difesa per la compagnia
assicuratrice, ma potrebbe comportare anche un grave problema per il ricorrente
stesso che si troverebbe nella spiacevole situazione di dover provare i fatti a
fondamento della propria pretesa risarcitoria senza avere nessuno a cui
deferire l’interrogatorio formale. In attesa che il legislatore rimedi alla
propria miopia giuridica, non si potrà se non attendere le decisioni sul punto
delle Corti Superiori, ivi inclusa quella costituzionale.
La facoltatività del risarcimento diretto La
questione principale che il Tribunale ha dovuto affrontare è stata però quella
relativa alla possibilità di convenire in giudizio non la compagnia assicuratrice
del vettore come previsto dall’art. 141 D.Lgs.
209/2005, ma bensì la compagnia assicuratrice del responsabile
civile. La risposta a tale quesito è di fondamentale importanza poiché tale
impostazione giuridica, per analogia, non riguarda solo il danno al trasportato
ma anche tutti i danni previsti dall’art. 149 C.d.A.. Infatti, sia l’art. 141 D.Lgs.
209/2005 che l’art. 149 D.Lgs.
209/2005, fanno riferimento all’art. 145 D.Lgs.
209/2005 al fine di consentire l’azione diretta nei confronti anche
della compagnia assicuratrice. Detto
questo, il Tribunale di Torino non ha affrontato tutte le questioni di
illegittimità costituzionale sollevate in passato dalla dottrina, ma si è
limitato ad una, ovvero: poiché l’art. 4 quinquies della Direttiva
2005/14/CE ha previsto che “gli Stati membri provvedono affinchè le persone
lese a seguito di un sinistro, causato da un veicolo assicurato ai sensi
dell’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva 72/166/CE, possano avvalersi di
un diritto di azione diretta nei confronti dell’impresa che assicura contro la
responsabilità civile la persona responsabile del sinistro”, poiché l’art.
4 della legge delega 29.7.2003 n. 229 nel dettare i
principi e criteri direttivi ai quali il Governo avrebbe dovuto attenersi
nell’emanare il C.d.A., vi era l’adeguamento della normativa alle disposizioni
comunitarie e agli accordi internazionali e poiché gli artt. 141 e 149 D.Lgs.
209/2005 non rispecchiano quanto previsto dalle direttive
comunitarie, detti articoli sono da ritenersi anticostituzionali non avendo il
Governo rispettato i limiti previsti dall’art. 76 della Costituzione. Da
ciò, secondo il Tribunale di Torino, possono sorgere due conseguenze ben
precise: la prima, la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale affinchè
ne dichiari, appunto, l’incostituzionalità; la seconda, la disapplicazione
degli artt. 141 e 149 C.d.A., consentendo al danneggiato d’agire direttamente
nei confronti della compagnia assicuratrice del civile responsabile. Il
Tribunale di Torino (a differenza del Giudice di Pace di Montepulciano e del
Giudice di Pace di Pavullo del Frignano che hanno rimesso gli atti alla Corte
Costituzionale) ha ritenuto d’aderire a questa seconda tesi. Ciò, ovviamente,
apre un nuovo scenario anche per tutta la fase stragiudiziale. Infatti, a
questo punto, se gli artt. 141 e 149 C.d.A., in base alla interpretazione
“Costituzionalmente orientata” del Tribunale di Torino sono disapplicabili,
nessuno sarà più costretto a chiedere il risarcimento alla compagnia del
vettore (in caso di trasportato) o alla propria (in caso di risarcimento
diretto ex art. 149 D.Lgs. 209/2005) ma potrà rivolgersi alla
compagnia del responsabile civile ai sensi dell’art. 144 C.d.A., con tutte le
conseguenze del caso.
Il contenuto della richiesta di risarcimento e la proponibilità della
domanda L’ultima
questione che il Tribunale di Torino ha affrontato è stata quella di stabilire
se, la raccomandata di messa in mora dovesse contenere, a pena
d’improponibilità, tutti i requisiti previsti dall’art. 148 C.d.A., ancorchè
non indispensabili alla liquidazione del danno (quale, ad esempio, il codice
fiscale). E’
noto, infatti, che con la previgente legislazione, ovvero la L. 990/69,
affinchè la domanda fosse proponibile, non era indispensabile dover indicare
nella raccomandata di cui all’art. 22 tutti gli elementi oggi richiesti, purchè
la compagnia assicuratrice fosse stata posta in grado di conoscere l’esistenza
del sinistro. Ora,
invece, il vento sembrerebbe cambiato. Il Tribunale di Torino, come già aveva
fatto alcuna dottrina in precedenza, ha accolta la tesi secondo cui l’art. 148,
II comma, C.d.A. ha introdotto un formalismo obbligatorio per la richiesta di
risarcimento, la quale deve necessariamente contenere tutte le indicazioni ivi
previste. Secondo il Tribunale, le omissioni di alcune indicazioni, ancorchè
irrilevanti ai fini risarcitori, costituiscono carenza del contenuto di un atto
formale tipico contemplato dall’ordinamento quale condizione di proponibilità
della domanda e che, in quanto tale, si sottrae alla disciplina dell’art. 156
c.p.c.. Il Tribunale sostiene che tale gravoso (ed inutile) onere non è
incostituzionale poiché di fatto non costituisce una preclusione alla tutela
giurisdizionale del diritto ma un semplice e giustificato (?) adempimento
preliminare. Il
Tribunale, però, avrebbe dovuto valutare se tale norma di carattere processuale
trovi giustificazione nella legge delega e quindi in quanto previsto dall’art.
76 della Costituzione. Se il Giudice si fosse soffermato all’esame anche di
tale questione non avrebbe non potuto non rilevare l’incostituzionalità della
norma. Infatti, tali inutili adempimento hanno senz’altro “peggiorato” la
situazione del danneggiato-consumatore e certamente violato l’art. 4 della Legge
229/03. Inoltre, non emerge da nessuna parte che la legge delega
abbia conferito al Governo il potere di introdurre norme che avessero valenza
procedurale come quella in esame. Solo
per concludere dobbiamo far notare come il Tribunale di Torino abbia commesso
un evidente errore laddove, nell’affermare che il danneggiato non aveva
l’obbligo d’inoltrare la denuncia di sinistro avvalendosi del modulo previsto
dall’ISVAP (la C.A.I., per intenderci), abbia preso come riferimento il D.P.R.
254/2006. Secondo il Giudice, poiché il D.P.R.
254/2006 è stato emanato dopo il verificarsi del sinistro per cui
era causa, e poiché è in detto D.R.P. che è prevista l’obbligatorietà del
modulo ISVAP, nel caso in specie, stante l’irretroattività della norma, non
doveva trovare applicazione. Peccato che il D.P.R.
254/2006 riguardi solo ed esclusivamente i sinistri previsti
dall’art. 149 C.d.A. e non il caso del trasportato danneggiato. In realtà
l’obbligatorietà del modulo ISVAP è prevista dall’art. 143 del C.d.A., nonché
dal successivo art. 148 D.Lgs. 209/2005, entrambi entrati in vigore
antecedentemente al sinistro. Nulla si dice in sentenza, però, sul fatto che,
ricevuta la richiesta incompleta la compagnia assicuratrice abbia o meno
richiesta l’integrazione ai sensi del comma 5 dell’art. 148 C.d.A.. Infatti, se
è vero che la richiesta debba essere completa ai fini della proponibilità della
domanda, dovrà essere ritenuto altrettanto vero che se la compagnia non
richiede l’integrazione della stessa nei termini di legge, non potrà certamente
ritenersi improponibile la successiva domanda giudiziale. Altrimenti non si
giustificherebbe in nessun modo il dettato del comma 5 dell’art. 148 C.d.A. il
quale impone alla compagnia di richiedere la dovuta integrazione della
richiesta risarcitoria incompleta. E’ evidente che la volontà del legislatore,
nell’emanare il comma 5, era quella di far ritenere comunque completa la
richiesta di risarcimento nel caso in cui la compagnia assicuratrice non
sentisse la necessità di richiederne l’integrazione.
(Altalex,
14 novembre 2007. Nota di Fabio Quadri)
Tribunale di Torino Sezione IV Civile Sentenza 11 ottobre 2007, n. 6070
Massima e Testo Integrale
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