Un terribile
incidente stradale. Foto d’archivio.
(ASAPS) Torino, 10 dicembre 2007 – Una donna 37enne di
nazionalità rumena, che stava camminando sul marciapiede, è stata investita ed
uccisa a Torino dall’auto di un italiano di 34 anni, in stato di ebbrezza, che
aveva perso il controllo del veicolo condotto ad altissima velocità. La
notizia, che racconta il tragico destino di una sola delle 15 vittime che si
registrano ogni giorno nel nostro paese, è degna di approfondimento, per almeno
tre motivi. Il primo, perché l’investitore aveva un tasso alcolemico
relativamente basso, pari a 0,54 grammi di alcol per litro di sangue. Non si
tratta dunque di “conducente ubriaco”, come hanno titolato alcuni giornali, ma
semplicemente di un uomo con lo stato di coscienza alterato dagli effetti di
un’assunzione limitata di sostanze alcoliche. La Polizia Locale, intervenuta
sul posto per i rilievi, lo ha denunciato anche per il rifiuto di sottoporsi ad
accertamenti in merito all’assunzione di sostanze stupefacenti, incognita di
non poco conto. L’uomo, colto da malore dopo l’incidente, è stato condotto in
ospedale dove ha rifiutato di farsi prelevare liquidi biologici. Se non aveva
nulla da temere, perché dire no? La seconda
questione è invece riferita alla velocità: l’auto, una potente Alfa GT, è
piombata sul marciapiede falciando la povera ragazza. La velocità, anche in
questo caso, è un fattore di primo piano nelle due fasi cruciali dell’incidente
stradale. Parliamo di quella antecedente e di quella culminante: l’auto, per
effetto della velocità eccessiva, non viene mantenuta lungo la sua traiettoria
(complice anche lo stato di alterazione del conducente) e, sempre per colpa
della velocità, impatta violentemente contro la vittima. Queste due prime
considerazioni sono di carattere puramente tecnico e servono da monito a chi
vuole “darci a bere” che un bicchiere in più non è in fondo un crimine
(l’omicidio, seppur colposo, lo è) e che la velocità non è la causa principale
della sinistrosità. Ma c’è un terzo particolare su cui intendiamo soffermarci:
stavolta un italiano ebbro (che alcuni quotidiani hanno definito “ubriaco”)
uccide una donna romena che camminava sul marciapiede. La notizia ha occupato
sì e no una breve nei fatti di cronaca locale e questo non è giusto. Per chi si
occupa di violenza stradale, una morte come questa ha lo stesso valore di
quella dei quattro ragazzi uccisi da Marco Ahmetovic. Ci dispiace constatare
che per i media, non sia invece la stessa cosa. Significa che nella democratica
Repubblica Italiana, la vita di uno straniero vale meno? Forse perché quando il
carnefice è italiano, ci pensiamo su due volte prima di dargli dell’assassino.
(ASAPS)
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