Mercoledì 17 Luglio 2024
area riservata
ASAPS.it su
Articoli 04/05/2005

Dalla scorta alla condanna. Cronaca di un servizio che finisce con un processo per gli operatori della stradale

 

Dalla scorta alla condanna.
Cronaca di un servizio che finisce con un processo per gli operatori della stradale

di Lorenzo Borselli

C’è una storia, che val la pena di raccontare. È un’altra storia ingiusta, forse perché incompresa, perché alla fine non c’è mai nessuno in grado di giudicare correttamente. È la storia di una pattuglia della sottosezione di Bellano, un reparto territoriale in provincia di Lecco, e del suo comandante, che manda i suoi due uomini a fare una scorta ad un trasporto eccezionale. E pur dovendola raccontare tutta, questa storia, bisogna per forza partire dalla fine, con un giovane che si ferma all’alt della pattuglia che deve scortare il tirannosauro con le ruote fino a destinazione, salvo poi ripartire e provare a passare. Supera gli agenti e poi si sfracella contro la sporgenza del carico, riportando ferite così gravi da morire dopo alcuni giorni di ospedale. La colpa, ora, è tutta della Polizia Stradale. Grottesco, siamo d’accordo, ma tutto vero, tanto che una sentenza di colpevolezza, che riguarda il capopattuglia che ha scelto il rito abbreviato, è già stata emessa, comprensiva di risarcimento per la vittima. La richiesta di rinvio a giudizio per il comandante del reparto, è stata estesa anche alla dirigente della Sezione; ma cerchiamo di farci un quadro chiaro della vicenda. È notte, e la Stradale deve portare il carico in condizioni che potremmo definire comuni, vista la mole di servizi analoghi che ogni giorno la specialità effettua, siamo nel 2002. È un trasporto eccezionale in larghezza, che comporta forti restrizioni alla circolazione. Gli agenti bloccano il traffico che arriva loro incontro, ed un giovane, con appena tre mesi di patente, prima ubbidisce all’ordine e poi riparte, superando gli agenti e finendo contro quella sporgenza per la quale la Polizia era stata chiamata ad pianificare la sua tutela, insieme ad un veicolo di scorta tecnica.

Morale della favola: condanna per il capopattuglia a 5 mesi di reclusione, pagamento delle spese processuali e provvisionale di 90mila euro per la famiglia della vittima, richiesta di rinvio a giudizio per cooperazione in omicidio colposo nei confronti del comandante del reparto e della dirigente della sezione.
Potremmo, a questo punto, cominciare a disquisire sulla ratio di questo procedimento penale, nel quale – ci dicono i protagonisti – si accusano i poliziotti di non aver avvisato il conducente di quel pericolo imminente che lo attendeva, né, e qui siamo al grottesco, di essersi assicurati che quel giovane rimanesse fermo.
Avrebbero dovuto togliergli le chiavi dal quadro? Non bastavano, evidentemente, l’ordine impartito, i lampeggianti, un carico eccezionale che sta davanti e che ha più luci, con la vettura di scorta tecnica, di un albero di natale e le torce brandite dai poliziotti? Ed a noi, che poliziotti siamo a nostra volta e che sovente portiamo a spasso quei pachidermi a passo di lumaca, ci viene in mente che non c’è scorta in cui non si debba gridare a qualcuno, con tutta la nostra voce, di fermarsi, di avere pazienza, che il carico deve passare.
Ci viene in mente che ogni volta che siamo in strada i nostri “ordini”, perché questo sono, vengono puntualmente trasgrediti da persone che non vogliono fermarsi, che vogliono passare per forza, che non accettano di confrontarsi con la realtà oggettiva del traffico, sempre più spesso bloccato o fermo: è il prezzo della mobilità veicolare, delle infrastrutture, dell’era moderna. Mettetela come volete, ma non è colpa nostra.
Ora, se permettete, una legittima suspicione? Ma è chiaro, ai giudici, ai CTU – che ci dicono non aver minimamente tenuto in considerazione il comportamento della giovane vittima – alla gente di strada, che c’è un motivo per cui questi uomini e donne in divisa si sbracciano, agitano bandiere, si mettono di traverso? Un motivo che non è quello del delirio d’onnipotenza da divisa o dovuto a quella scarsa intelligenza che spesso le barzellette ci addebitano. Noi, francamente, crediamo che manchi in tutti, una vera coscienza di ciò che accade, persi come siamo a convincerci dell’inconsistenza di un verbale d’autovelox e stressati dalle code che tutti i giorni ci dobbiamo sorbire.
E allora, che cosa c’è di meglio – per una volta – che dare la colpa a chi c’era senz’altro, su quella strada, (ci riferiamo alla Polizia Stradale) e che non è riuscito a garantire la sicurezza ad un giovane che ha deciso, purtroppo, di passare? Lo sa, chi deve giudicare, chi ha redatto la perizia, che a scuola guida nessuno insegna cos’è un trasporto eccezionale? Lo sa, che la Polizia non può sparare alle gomme di una macchina che di fatto ha forzato un blocco, o quantomeno ha trasgredito ad un ordine impartito? O si deve per forza dare la colpa a qualcuno rimasto vivo? Troppe domande, alle quali noi, ovviamente, abbiamo una risposta: manca, a tutti i livelli, una “giustizia della strada”, capace di districarsi nella giungla di leggi e regolamenti, capace di interpretare i comportamenti di chi si muove e guida, una “toga tecnica” che possa interpretare nella maniera giusta un avvenimento.
La nostra interpretazione sarà, ovviamente, criticata, additata come “di parte”, eppure vorremmo poter convincere tutti del contrario. Vorremmo poter convincere i nostri futuri critici, con tutta serenità, che esiste una differenza sostanziale tra la causa di incidente e la causa di lesione o di morte, o tra quello che umanamente si può fare – in certi contesti – e quello che invece è impossibile.
Perché se la tesi accusatoria dovesse passare – e nel rito abbreviato così è già stato – nessun appartenente alla Polizia Stradale, a partire dai Dirigenti fino ad arrivare agli Agenti, avrà alcun tipo di tutela nel momento in cui, durante il servizio, dovesse capitare un incidente stradale, indipendentemente dalla loro perizia o prudenza.
L’impressione è infatti che solo per il fatto di esserci, la Polizia Stradale, debba per forza evitare che un sinistro accada. Ma quanti mezzi di scorta si devono mettere su strada per essere sicuri che tutti si fermino? E se si trova quello che non vuole proprio fermarsi cosa si deve o si può fare per fermarlo prima che sbatta contro il trasporto eccezionale? Potremmo girare la domanda anche ad un altro contesto, ancora più comune: ci sono stati processi a carico di poliziotti che non avevano segnalato la coda in autostrada.
Ora: se un’autovettura procede a 200 orari ed uscita da una curva trova il traffico fermo, e ci va a sbattere, la colpa di chi è? Dell’automobilista, che trasgredisce nonostante l’evidente violazione del limite, o degli agenti – magari impegnati nella risoluzione del blocco o non ancora arrivati – che non stavano sbandierando? Ma si sa che anche quando si sbandiera, centinaia di veicoli continuano alla medesima velocità incuranti dei poliziotti?
Attenzione: non esce minimamente illesa, da questa nostra presa di posizione, la fiducia che nutriamo nella magistratura, ma ci sembra giusto stigmatizzare che non sempre chi deve decidere ha gli strumenti giusti per farlo. Come in tutti i servizi, compreso il nostro. In attesa dei futuri pronunciamenti, noi, siamo solidali con gli uomini di Bellano. Viene da domandarsi, però, in che modo potremo fare la prossima scorta, stanotte.
Se lo domandano anche gli altri colleghi impegnati in questi servizi.

 

 

di Lorenzo Borselli

Mercoledì, 04 Maggio 2005
stampa
Condividi


Area Riservata


Attenzione!
Stai per cancellarti dalla newsletter. Vuoi proseguire?

Iscriviti alla Newsletter
SOCIAL NETWORK