Sostituzione di
persona – account – posta elettronica – nome sostituito – sussistenza [art. 494 c.p.]
E’
configurabile il reato di sostituzione di persona, laddove si crei un account
di posta elettronica usando un nome altrui e fingendosi tale persona. (1)
(2) (1)
In materia di diffamazione via internet e messaggi nei forum, si veda Tribunale
di Lucca, sezione civile, sentenza 20.08.2007.
(2) In materia di sequestro di periodici in internet, si veda Cassazione penale 39354/2007.
SUPREMA
CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE
V PENALE
Sentenza
14 dicembre 2007, n. 46674
Svolgimento
del processo
...omissis...
Con
l’impugnata sentenza è stata confermata la dichiarazione di colpevolezza di A.
M. A. in ordine al reato p. e p. dagli artt. 81, 494 c.p., contestatogli
“perché, al fine di procurarsi un vantaggio e di recare un danno ad A. T.,
creava un account di posta elettronica, ********@libero.it., apparentemente
intestato a costei, e successivamente, utilizzandolo, allacciava rapporti con
utenti della rete internet al nome della A.T., e così induceva in errore sia il
gestore del sito sia gli utenti, attribuendosi il falso nome della A.T.”. Ricorre
per cassazione il difensore deducendo violazione di legge per l’erronea
applicazione dell’art. 494 c.p. e per la mancata applicazione dell’art. 129
c.p.p.. Lamenta
che non siano state confutate dalla corte fiorentina le critiche rivolte al
convincimento di colpevolezza espresso dal primo giudice siccome basato sulla
duplice errata considerazione, inerente la prima alla tutela di stampo
civilistico al nome e allo pseudonimo, l’altra, più propriamente tecnico-informatica,
alla sostenuta necessità di fornire all’ente gestore del servizio telefonico
l’esatta indicazione anagrafica al momento della richiesta di fornitura della
prestazione telematica. Tali
doglianze non possono essere condivise. Oggetto
della tutela penale, in relazione al delitto preveduto nell’art. 494 c.p.,è
l’interesse riguardante la pubblica fede, in quanto questa può essere sorpresa
da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai
suoi attributi sociali. E siccome si tratta di inganni che possono superare la
ristretta cerchia d’un determinato destinatario, così il legislatore ha
ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica, e non soltanto alla
fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome. In
questa prospettiva, è evidente la configurazione, nel caso concreto, di tutti
gli elementi costitutivi della contestata fattispecie delittuosa. Il
ricorrente disserta in ordine alla possibilità per chiunque di attivare un
“account” di posta elettronica recante un nominativo diverso dal proprio, anche
di fantasia. Ciò è vero, pacificamente. Ma
deve ritenersi che il punto del processo che ne occupa sia tutt’altro. Infatti
il ricorso non considera adeguatamente che, consumandosi il reato “de quo” con
la produzione dell’evento conseguente all’uso dei mezzi indicati nella
disposizione incriminatrice, vale a dire con l’induzione di taluno in errore,
nel caso in esame il soggetto indotto in errore non è tanto l’ente fornitore
del servizio di posta elettronica, quanto piuttosto gli utenti della rete, i
quali, ritenendo di interloquire con una determinata persona (la
A.T.), in realtà inconsapevolmente si sono trovati ad avere a
che fare con una persona diversa. E
non vale obiettare che “il contatto non avviene sull’intuitus personae, ma con
riferimento alle prospettate attitudini dell’inserzionista”, dal momento che
non è affatto indifferente, per l’interlocutore, che “il rapporto descritto nel
messaggio” sia offerto da un soggetto diverso da quello che appare offrirlo,
per di più di sesso diverso. È
appena il caso di aggiungere, per rispondere ad altra, peraltro fugace,
contestazione difensiva, che l’imputazione ex art. 494 c.p.p. debitamente
menziona pure il fine di recare - con la sostituzione di persona - un danno al
soggetto leso: danno poi in effetti, in tutta evidenza concretizzato, nella
specie, come il capo B) della rubrica (relativo al reato di diffamazione,
peraltro poi estinto per remissione della querela) nitidamente delinea nella
subdola inclusione della persona offesa in una corrispondenza idonea a ledere
l’immagine o la dignità (sottolinea la sentenza impugnata che la A.T., a
seguito dell’iniziativa assunta dall’imputato, “si ricevette telefonate da
uomini che le chiedevano incontri a scopo sessuale”).
Il
ricorso va pertanto respinto, con le conseguenze di legge.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento.
Da Altalex.com
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