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Con questo secondo articolo
dell’inchiesta sui furti di veicoli, Il Centauro analizza in maniera scientifica
uno dei fenomeni criminali più diffusi e, al tempo stesso, devastanti per
l’economia: il furto e la rapina dei veicoli commerciali. Il pezzo, che parte
dalla statistica diffusa dal ministero dell’Interno, cerca di dare un’idea di
quanto negli anni il fenomeno sia stato altalenante, nella sua evidente
evoluzione. Su tutto, come sempre, l’ombra della criminalità organizzata e la
necessità di affinare sempre più le tecniche investigative, interagendo con le
polizie europee e mondiali. Un compito affidato, in Italia, alla Terza Divisione
del Servizio Polizia Stradale, riferimento per l’intelligence di Compartimenti e
Sezioni della Specialità.
Un veicolo pesante rubato su due,
in Italia, viene ritrovato. È una magra consolazione? Oppure il bicchiere è
mezzo pieno? Il fenomeno criminale del furto di veicoli commerciali è, in
realtà, una delle bestie nere dell’Italia, paese che non riesce a garantire la
necessaria sicurezza, su questo fronte, rispetto a molti partner europei: ciò è
dovuto in parte alla scarsa valenza giuridica dei reati, in parte alla
circostanza che un ladro od un rapinatore di tir, figura che necessita di
un’elevatissima professionalità, non resta mai in carcere a lungo. La
statistica, nel quadriennio 2003/2006, ha evidenziato una sostanziale
stagnazione del fenomeno, sia sul fronte dei furti (nei quali va inserita una
moltitudine di reati predatori, prima tra tutte la rapina) che su quello dei
rinvenimenti. Nel corso del 2006, secondo i dati diffusi dalla Terza Divisione
del Servizio Polizia Stradale, i veicoli commerciali rubati sono stati 4.498,
mentre i rinvenimenti hanno toccato quota 2.887. La regione che “vanta” il
maggior numero di attacchi, e si tratta di un dato consolidato negli anni, è la
Lombardia (884 colpi), seguita dal Lazio (593) e dalla Campania (506). Al quarto
posto, c’è invece la Puglia, con 436 denunce presentate. A questo proposito,
bisogna però fare una constatazione: la maggior parte degli autori di questi
reati - e questo lo dice il risultato investigativo - provengono dalla mala
campana (soprattutto Napoli e Caserta), da quella Laziale (Roma e Latina in
testa) e dalla criminalità pugliese (in genere Bari, Bitonto e Taranto). È in
seno a questi gruppi che le forze di polizia localizzano di frequente le
centrali operative criminali con le rispettive maestranze, alimentate negli
ultimi anni da forti infiltrazioni di manovalanza albanese e romena. È in queste
zone che, puntualmente, le indagini di tutta Italia convergono, tanto che è
possibile affermare - con ragionevole certezza - che il fenomeno delinquenziale
connesso ai veicoli commerciali è gestito da veri e propri pendolari del
crimine. Ogni gruppo in azione si distingue dagli altri, sia sul fronte di una
sorta di spartizione del territorio che su quello delle tecniche impiegate: i
pugliesi, ad esempio, si muovono (com’è naturale) sulla direttrice adriatica,
allacciandosi poi in Emilia Romagna alla A1 ed avventurandosi fino ai confini di
Stato sulla A22 o in Piemonte, utilizzando soprattutto la tecnica del “taglio
del telone”; i campani ed i laziali (che spesso lavorano insieme), sono soliti
saccheggiare le aree di servizio della A1 o delle arterie tirreniche, preferendo
purtroppo tecniche più drastiche, come il sequestro di persona a scopo di rapina
(in danno degli autotrasportatori, ovviamente) o varie fattispecie di furto.
Quando al taglio del telone non segue il furto del mezzo, la notizia di reato
alimenta però un’altra statistica, che a noi non interessa in questa sede. La
convergenza di interessi, data soprattutto dalla floridità della logistica in
Lombardia, rende questa regione uno dei terreni di caccia preferiti da tutti i
gruppi in azione. In genere, i delinquenti si spostano a nord e poi calano
lentamente verso il mezzogiorno d’Italia, pattugliando letteralmente le aree di
servizio o agganciando convogli dei quali dispongono di informazioni relative
alla natura del carico. Esemplare, in questo caso, la strategia operativa della
cosiddetta “banda del baccalà”, che tra il 2002 ed il 2004 imperversò su tutto
il paese, arrivando a creare una sorta di incidente diplomatico tra le autorità
dei paesi scandinavi (maggiori esportatori mondiali) e quelle italiane: il
fenomeno era divenuto così rilevante che le compagnie assicurative avevano
deciso di non stipulare più polizze sulla merce trasportata in Italia, definendo
questo tipo di trasporti - nel nostro paese - eccessivamente rischioso. Gli
arrestati - in tutto una quarantina - risultarono in parte aderenti ai clan dei
“Veneruso” di Volla e dei “Vollaro” di Portici, ed in parte alla Sacra Corona
Unita. Le “batterie” - sottogruppi operativi incaricati di mettere a segno i
colpi - seguivano i camion a bordo di numerose auto, a volte per centinaia di
chilometri. Alla prima sosta, spesso in area di servizio, gli autisti venivano
assaliti sotto la minaccia delle armi e sequestrati: grazie ad alcuni inibitori
di segnale, i localizzatori GPS venivano resi inutilizzabili e dopo un lungo
viaggio fino a Caserta o Napoli, il carico veniva scaricato e reimmesso nel
mercato. L’analisi delle strategie criminali e la recrudescenza di questa
fattispecie (un furto su tre ai danni di un Tir avviene durante la sosta in
autostrada), hanno indotto la Commissione Europea a ripensare le aree di
servizio autostradali in chiave di una maggior sicurezza. Lo scorso 12 giugno,
il commissario europeo ai trasporti Jacques Barrot, ha annunciato l’avvio dei
lavori per i primi cinque parcheggi (che saranno realizzati in Francia,
Germania, Belgio e Gran Bretagna); paradossalmente, l’Italia non rientra in
questo piano di finanziamenti. Ma è proprio nelle regioni maggiormente afflitte
da questa piaga ed in quelle nelle quali i gruppi criminali sono maggiormente
concentrati, che le operazioni di polizia giudiziaria sono più frequenti:
insomma, il dispositivo è sempre allerta e - grazie al coordinamento operato
dalla III Divisione del Servizio Polizia Stradale - i risultati sono
effettivamente buoni. Si pensi infatti che nella sola Lombardia, nel 2006, a
fronte di 884 furti di veicoli commerciali, i rinvenimenti sono stati 700. Così
in Campania (412 veicoli recuperati su 506 trafugati) ed in Piemonte (307 su
432). Spicca anche il ruolo del Veneto, piazzato sulla direttrice prediletta per
l’esportazione dei veicoli rubati a fini di riciclaggio, dove 125 mezzi su 177
sono stati restituiti ai legittimi proprietari. In apertura di questa seconda
parte dell’inchiesta, abbiamo detto che parlando del fenomeno del furto di
veicoli commerciali, si deve considerare che esso è caratterizzato da una
moltitudine di reati predatori, che possono essere suddivisi in relazione alla
finalità che ogni fattispecie consente di perseguire: • Furto del veicolo al
fine di riciclaggio; • Tipologia del veicolo (autocarro, trattore, rimorchio
e semirimorchio); • Furto del veicolo al fine di trafugare il carico; •
Rapina al fine di trafugare il carico, il veicolo o entrambi; • Simulazione
di furto/rapina a fine assicurativo per la merce trasportata, per il veicolo o
entrambi. Nel corso degli anni, gli investigatori della Polizia di Stato, dei
Carabinieri e in qualche caso della Guardia di Finanza, impegnati in questo
settore, sono più volte incappati nelle indagini con i gruppi della criminalità
organizzata, soprattutto quella di stampo mafioso. È, in effetti, un reato in
grado di procurare ampi profitti con minimi rischi. Nei primi anni ‘90,
Salvatore Riina arrivò addirittura ad autorizzare l’omicidio di numerosi
rapinatori di tir siciliani che avevano operato autonomamente rispetto a Cosa
Nostra. Ne morirono una quarantina, per mano dei tanti “uomini d’onore” che
ebbero via libera da Totò u’Curtu, incalzato da Salvatore Cancemi in persona
(poi pentito ed autore di queste rivelazioni), depositario delle lamentele delle
altre “Famiglie” toccate: le troppe rapine, portate a termine senza strategia,
avevano leso trasporti per i quali la Mafia aveva garantito la protezione, con
la conseguenza di far perdere la faccia a chi aveva intascato il pizzo e
suscitando malumore in chi l’aveva corrisposto. Pino Savoca, boss di Brancaccio
ed “uomo d’onore” temutissimo, subì l’uccisione di due suoi congiunti, ma quando
venne informato delle ragioni si dice che avrebbe allargato le braccia,
accettando il volere di Cosa Nostra. Nel 1982, la gestione di alcuni pentiti
della Camorra, consentì a Napoli di arrestare i membri (52 in tutto) di un
nucleo specializzato in sequestri di autotrasportatori: nel decennio compreso
tra il 1971 ed il 1981, avevano messo a segno centinaia di colpi, tutti nel
quadrilatero Napoli-Caserta-Avellino-Salerno. Risultarono direttamente gestiti
dal clan Cutolo: tra questi spicca Mario Incarnato, pluriomicida ai vertici di
uno dei gruppi di fuoco più spietati della Nuova Camorra Organizzata, la
“Batteria di Ponticelli”. Il suo nome, da pentito, è ricordato per il contributo
allo smantellamento del clan Vollaro e per aver infamato, insieme ad altri, Enzo
Tortora. Aldilà delle considerazioni sullo spessore economico del fenomeno, e
delle ovvie aspirazioni da parte delle organizzazioni, potremmo dire che il
fenomeno dei furti di veicoli commerciali rappresenta, in linea temporale, la
naturale prosecuzione del brigantaggio più classico: l’assalto alla diligenza.
Ovvio, non si tratta più del “Passatore”, e non c’è nessuna motivazione classica
a giustificarne le gesta. Ciò che spinge qualcuno a dedicarsi a questo tipo di
attività criminale, è semplicemente il denaro facile e il desiderio di farsi una
posizione in un contesto delinquenziale. Tra il 1980 ed il 1981, l’allarme
sociale provocato da furti e rapine di Tir raggiunse punte così elevate da
indurre le associazioni di categoria (autotrasportatori e spedizionieri) a
lanciare un chiaro messaggio al governo, scrivendo provocatoriamente che “… le
strade italiane sono ancora battute dai briganti, come ai tempi del Passatore…”.
Per dare forza ed impatto alle loro rivendicazioni, vennero acquistate intere
pagine dei maggiori quotidiani, su cui venne pubblicata la riproduzione di una
stampa ottocentesca, affiancata da una didascalia fin troppo significativa: “I
briganti sono ancora tra noi”. Una situazione giunta davvero al limite: nel 1980
sparirono (dati Istat) oltre 6mila veicoli commerciali, con un danno economico
calcolato di circa 900 miliardi di lire. 900 miliardi, all’epoca, erano una
cifra inimmaginabile, che crebbe - e di parecchio - l’anno successivo. Il
ministro dei Lavori Pubblici Franco Nicolazzi, intervenendo a Novara alla
conferenza sul traffico del 1981, riferì che a fronte di un numero
sostanzialmente stabile di eventi delittuosi (6mila camion rubati o rapinati), i
danni per lo stato avevano superato i 1.100 miliardi di lire. Per intenderci, il
controvalore di 40mila appartamenti. L’Ania definì “inassicurabile” il rischio
furto dei Tir e sollecitò l’intervento del ministro dell’Interno Virginio
Rognoni, snocciolando sul tavolo la questione, già chiara fin da allora, ed
annunciando che le compagnie assicurative avrebbero escluso la copertura per i
veicoli in transito nel quadrilatero campano, l’autostrada Milano-Bergamo, la
Firenze-Roma e la Brennero, assaltati nel 60% dei casi a mano armata. All’epoca
andavano forte le pelletterie, oggi i televisori al plasma ed i computer. Nel
1987, ministro dell’Interno era Oscar Luigi Scalfaro: nella sua relazione
annuale sull’andamento della criminalità, il futuro Capo dello Stato riferì che
l’attenzione della malavita si era rivolta verso i mezzi pesanti. I furti di tir
registrarono un aumento del 21% rispetto al 1986, ed i quattro quinti dei casi
si erano verificati in Lombardia. Certamente, rispetto alle dimensioni del parco
dei veicoli commerciali odierno, rispetto alla quantità di traffici in atto, il
fenomeno è oggi decisamente diminuito, ma l’allarme è rimasto altissimo. Nel
1994, i convogli procedevano in colonna per difendersi meglio, e spesso erano
presenti scorte armate dal casello d’entrata fino al luogo di consegna. Secondo
un rapporto redatto dall’Eurispes, intitolato “l’autotrasporto merci: il bisonte
malato”, la recrudescenza degli episodi di criminalità nel settore aveva
raggiunto livelli così alti da poter affermare che in Italia veniva rubato un
camion ogni ora. In realtà ne venivano trafugati 20 al giorno - dunque 7.300
veicoli all’anno - con un danno calcolato di un miliardo di lire ciascuno.
Secondo la Criminalpol, nel 1992, il numero di sparizioni in Francia non
superava le 100 unità, mentre in Germania non si arrivava a 10. All’epoca, però,
il numero di rinvenimenti era già estremamente vicino al 50% (3.889 camion
recuperati nel 1992 a fronte di 8.200 furti), segno che l’intelligence
cominciava a dare i propri frutti. Le regioni più a rischio, nel 1994 come nel
1981, allora come oggi, erano proprio la Lombardia, la Puglia, la Campania e poi
Lazio, Sicilia, Piemonte ed Emilia Romagna. Rispetto al 1992, i premi
assicurativi vennero mediamente raddoppiati. In questo periodo, però, alle
consuete richieste (rimaste praticamente quasi lettera morta) di creare aree di
servizio attrezzate alla sosta dei veicoli commerciali, se ne aggiungono altre:
la criminalità è cambiata, e addirittura ci sono banditi in azione che riescono
a depredare i Tir in movimento. Si comincia a parlare di allarme GPS, e da
allora le cose sono cambiate moltissimo: dall’era di Cartesio (un sistema di
rilevazione satellitare ideato da Agip e Fatme) si è passati a quella dei
sistemi attuali, nella quale la centrale operativa remota è teoricamente in
grado di sentire cosa avviene nella cabina di un camion e di fermare addirittura
il motore. Ma, lo sappiamo, la criminalità si evolve, si adegua ai tempi. Ad
ogni processo penale che si conclude, le tecniche investigative impiegate
divengono prevedibili ed ogni investigatore che si rispetti deve essere bravo a
lasciarsi, nel cappello, qualche trucco da prestigiatore, da sfoderare al
momento opportuno. Quali sono, oggi, le tecniche più usate? Come si è già
accennato, ogni furto o rapina che coinvolge un veicolo commerciale, devono
essere analizzati in relazione allo scopo finale di chi opera la serie di
delitti. Chi decide di trafugare un veicolo commerciale, ha solo da scegliere:
autotreno, autoarticolato, autocarro o furgone. Più è grosso, maggiore sarà la
quantità di carico trasportato e quindi maggiori saranno gli immediati profitti
derivanti dalla vendita della refurtiva. In realtà, le modalità illecite per
entrare in possesso di un veicolo o di un complesso veicolare, sono moltissime:
• furto classico: il veicolo, o il veicolo complesso, viene fatto sparire
durante la sosta, anche all’interno di perimetri aziendali. A volte si cambiano
le centraline, altre ancora il ladro riesce ad avere le chiavi. Spesso, il
sistema satellitare ne consente la cattura; • nel sequestro di persona a
scopo di rapina o nella rapina semplice, la violenza e la superiorità numerica
riducono all’impotenza la vittima. In genere questi delitti avvengono in
itinere, autostrada o grande viabilità: l’autista dorme in cuccetta o si prepara
a ripartire, quando dalla portiera destra (effrazione non visibile durante la
marcia) viene infranto il vetro. L’irruzione è rapida e decisa: più il rapinato
si oppone, maggiori saranno le sevizie. Il sequestro si prolunga fino al luogo
di arrivo e di scarico della merce e viene in genere rilasciato a debita
distanza, legato e imbavagliato; • anche la simulazione di reato è un
espediente significativo nella filiera criminale: l’autista compiacente vende
camion e carico a conoscenti, ottenendo una ricompensa ed inscenando poi una
messinscena in luogo diverso; • la sostituzione di persona è invece una
tecnica sopraffina: gli specialisti si fanno assumere in grosse compagnie o
incaricare per singoli viaggi, esibendo documenti falsi o contraffatti, ed al
primo trasporto di valore spariscono senza lasciare traccia: grazie alle
opportune modifiche sui documenti di viaggio, raggiungono in fretta i confini di
stato, e prima di varcarli taroccano sommariamente documenti e targhe; •
truffe o appropriazioni indebite. Una volta scaricata la merce, però, cosa
succede del complesso veicolare? Se il carico soddisfa le aspirazioni dei
delinquenti, allora viene abbandonato, ma se dal colpo il gruppo intende
ricavare il massimo profitto possibile, ecco che gli specialisti lasciano il
posto ad altre figure criminali. Si entra nel campo del riciclaggio, di cui
abbiamo già parlato nel precedente numero. Il veicolo, di qualsiasi tipo esso
sia, viene ricoverato in officine ben schermate: le targhe ed i documenti
originali vengono distrutti, le matricole abrase, ripunzonate o taroccate, le
scritte cancellate. Quando si è sicuri di poter superare i controlli, il veicolo
torna in strada e prende la via di paesi lontani, per non tornare mai più. Ne
sono stati ritrovati alcuni in Qatar, nello Yemen, in Cina e perfino negli USA,
oltre che Africa e paesi dell’Est. Le vie dei briganti ci sono ancora.
(*) Sovrintendente della
Polizia di Stato, in servizio alla Squadra di PG del Compartimento
Polizia Stradale per la Toscana
da Il Centauro n.115
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